Ciao iCrewer!
Oggi per la nostra rubrica di Spazio ai Classici, ti parlerò di Dante Alighieri e della sua (Divina) Commedia, in particolar modo, mi concentrerò sulla cantica dell’Inferno.
Tutti conosciamo, o abbiamo sentito una volta nella nostra vita, Dante Alighieri, padre della letteratura e lingua italiana; e oggi, in onore del Dantedì (in anticipo) e per il fatto che a marzo, Dante ha iniziato a scrivere il suo viaggio, andremo alla scoperta di questi tre mondi.
Dante iniziò la composizione della Commedia durante l’esilio, probabilmente intorno al 1307 (oggi è scartata l’ipotesi secondo cui avrebbe scritto i primi sette canti dell’Inferno quando era ancora a Firenze). La cronologia dell’opera è incerta, ma si ritiene che l’Inferno sia stato concluso intorno al 1308, il Purgatorio intorno al 1313, mentre il Paradiso sarebbe stato portato a termine pochi mesi prima della morte, nel 1321.
Il titolo originale è Commedia, o meglio Comedìa, secondo la definizione dello stesso Dante; l’aggettivo Divina fu aggiunto da Boccaccio e comparve per la prima volta in un’edizione del 1555 curata da Ludovico Dolce.
La Divina Commedia (di Dante Alighieri) è un poema didattico-allegorico, scritto in endecasillabi e in terza rima. Racconta il viaggio di Dante nei tre regni dell’Oltretomba, guidato dapprima dal poeta Virgilio (che lo conduce attraverso Inferno e Purgatorio) e poi da Beatrice (che lo guida nel Paradiso). L’opera si propone anzitutto di descrivere la condizione delle anime dopo la morte, ma è anche allegoria del percorso di purificazione che ogni uomo deve compiere in questa vita per ottenere la salvezza eterna e scampare alla dannazione. È anche un atto di denuncia coraggioso e sentito contro i mali del tempo di Dante, soprattutto contro la corruzione ecclesiastica e gli abusi del potere politico, in nome della giustizia.
L’Inferno di Dante Alighieri
Nei trentaquattro canti dell’Inferno, Dante racconta l’inizio del suo viaggio ultraterreno, a partire dallo smarrimento nella «selva oscura», dove incontra la sua guida, il poeta Virgilio, giù per i diversi gironi fino all’orrenda visione di Lucifero e alla faticosa risalita «a riveder le stelle». Un itinerario nell’animo umano lungo il quale Dante incontra indimenticabili personaggi (Paolo e Francesca, Farinata, il conte Ugolino, Ulisse…), alle cui tristi vicende guarda con giudizio fermo ma anche con una pietas che è forse il maggior segno del suo profondo immedesimarsi nell’umano. Da questo atteggiamento di estrema modernità deriva l’universalità dell’Inferno, che fa dell’esperienza ultraterrena di Dante un viaggio che può essere di tutti.
E per concludere il tutto, non posso non mettere i versi di uno dei canti più famosi (e a parer mio più romantico e commovente) dell’Inferno… Mi riferisco al canto numero cinque, dedicato a Paolo e Francesca!
Ci troviamo nel secondo cerchio nel quale risiedono delle anime che sono trascinate da una bufera infernale che non si ferma mai. Per contrappasso queste anime, che in vita si sono lasciate trascinare dalla tempesta delle passioni, ora subiscono le offese di questa furiosa tempesta infernale. Queste anime sono i lussuriosi, peccatori che hanno sottomesso la ragione al piacere.
«Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona»
(Verso 103, canto V, cantica Inferno)
Parafrasando ciò che Dante, vuole dirci: L’amore, che non consente a nessuno che sia amato di non ricambiare, mi prese per la bellezza di costui con tale forza che, come vedi, non mi abbandona neppure adesso.
“Traducendo” con parole dei giorni d’oggi: l’amore obbliga chi è amato ad amare a sua volta.