Caro iCrewer, oggi condivido insieme a te l’esperienza della lettura di Miwgu, il libro di Gianluca Gualano edito da Abel Books Editore. Ho volutamente usato il termine esperienza perché di questo si tratta: un romanzo che racconta la storia di un uomo alle prese con le domande sostanziali della vita, che, di ritorno, travolgono il lettore ponendolo nelle condizioni di fare i conti con sé stesso e con la propria esistenza.
Come ben anticipato dalla segnalazione dello scorso fine anno in occasione dell’uscita del libro, Miwgu inizia con la più classiche delle affermazione che accomuna un po’ tutti noi: mollo tutto e me ne vado. Quanti di noi non l’hanno pensato almeno una volta? Quanto il nostro quotidiano ci spinge al limite della sopportazione? E soprattutto, quanti di noi ritengono che la vita non può essere tutta lì, nello spendersi sempre uguale delle giornate che trascorrono una dopo l’altra?
È con queste premesse, con questo input, che prende il via il romanzo di Gianluca Gualano. Un libro che ho molto apprezzato, sia per le doti di scrittura dell’autore che per i temi trattati. Quando si parla di senso della vita e di perenne ricerca della felicità, caro lettore, io sono sempre in prima linea!
Miwgu: il romanzo di Gianluca Gualano
Proprio così, il turbamento classico di chi non è mai contento e vive con una insoddisfazione di fondo sempre presente, è uno dei temi che più mi sta a cuore. La sensazione che ci sia qualcosa che deve ancora arrivare e che stia solo aspettando che sia io a fare il primo passo per trovarlo mi ronza nell’anima da sempre e, di conseguenza, la continua ricerca di questo qualcosa, che non so bene cosa sia, è una costante della mia vita.
Per questo mi sono molto riconosciuto in Miwgu, il protagonista dell’omonimo romanzo. Un uomo normalissimo, con una buona posizione lavorativa, una bella casa, un matrimonio felice che presto lo renderà genitore e, cosa più importante, una buona salute che gli permette di affrontare le giornate al meglio.
La vita viene scandita dalle ore in ufficio, spesso anche oltre l’orario stabilito per terminare alcuni lavori, dalle chiacchiere serali con l’amata moglie e dai progetti per il nascituro che verrà a portare gioia nella loro vita.
Mi capita spesso di pensare che questa situazione ambita dalla maggior parte delle persone sia la vera felicità. Lo penso e ne sono convinto. Ma ritengo anche che questa felicità ripetuta allo stesso modo giorno dopo giorno, mese dopo mese e anno dopo anno, finisca per rendere la vita un insieme di fogli in bianco e nero usciti da una fotocopiatrice.
Così accade a Miwgu, che un giorno, dopo aver accumulato stress e frustrazione per settimane intere, decide di mollare tutto e partire. Lascia il posto di lavoro invidiabile e la moglie che lo ama – e che porta in grembo suo figlio – e se ne va. Senza una destinazione, senza sapere dove e come. Parte alla ricerca di quel qualcosa che penso si possa rivelare soltanto nel momento in cui lo si troverà.
Inizia qui la seconda parte di Miwgu, quella in cui il lettore segue il protagonista nel percorso di ricerca di sé stesso. Un viaggio in Oriente, per l’esattezza nel Laos, dove troverà riparo e conforto in un villaggio Akha. Si tratta di una comunità che vive in palafitte e isolata dal resto del mondo, spesso su alture attorniate dalle foreste. Hanno uno stile di vita molto differente dal nostro e vivono un’esistenza molto spirituale. L’ho fatta molto breve e molto semplificata.
Qui Miwgu, guidato dal capo villaggio, farà un percorso all’interno di sé stesso che lo porterà a essere un’altra persona. A conoscersi e a comprendere il legame dell’uomo con la natura e con il proprio destino. Un percorso che durerà trent’anni e che lo condurrà anche a vivere in una grotta insieme a un branco di lupi.
La terza parte del libro, ovvero l’epilogo, vede il protagonista, ormai anziano e malato, tornare nella sua città al cospetto della moglie abbandonata. Lascio a te, carissimo lettore, il gusto di scoprire come andranno le cose; ti posso solo confessare che leggendo le ultime pagine, qualche lacrima è venuta a far visita alle mie guance. Come spesso dico, quando un testo suscita emozioni così importanti, è tutto merito della capacità dell’autore.
È chiaro che trattandosi della trama di un libro, la reazione alle domande con cui si è aperto questo articolo, prende una strada voluta e decisa dall’autore. Gualano punta molto sull’aspetto spirituale e ascetico della questione, e lo fa davvero bene. Tutti i capitoli ambientati nella natura sono ben descritti e le sensazioni che vive il protagonista sono molto chiare e comprensibili. Il lettore riesce ad immedesimarsi nel personaggio.
Personalmente ho apprezzato molto la prima parte, quella in cui nasce il malessere nel protagonista, quella in cui giorno dopo giorno le domande sulla vita si insinuano in Miwgu.
La parte centrale, invece, quella dell’isolamento e della solitudine, seppur molto ben scritta, ha generato in me meno entusiasmo. Semplicemente perché non vorrei mai scegliere quel tipo di vita così solitaria per ottenere il risultato conseguito dal protagonista nel lavoro svolto su sé stesso. L’ideale per me sarebbe arrivarci senza privarmi dei contatti umani e delle relazioni.
Non intendo per nulla sminuire la scelta narrativa dell’autore, che tra l’altro, ribadisco, è ben sorretta da una scrittura capace che va dritta all’obbiettivo di emozionare.
Bellissimo l’epilogo. Umano e commovente.
In conclusione, consiglio di leggere Miwgu a tutti quelli che pensano fuori dai binari. A quelli che sentono la vita stringere ai fianchi e guardano le nuvole con gli stessi occhi di un uccello in gabbia. Ai sognatori, ai coraggiosi e a chi sente l’esigenza di trovare altro.
Io credo di averlo trovarlo, almeno un piccolo pezzettino, nella scrittura.