“Corro con il silenzio nella testa, perchè la vera sfida è disconnettersi”
La storia di Markus Torgeby sembra essere uscita dalla sceneggiatura di un film, in verità è la storia di un grande uomo che ama correre da sempre, ma soprattutto di un uomo che ha scelto di non rinunciare a se stesso. Leggendo il primo pensiero è stato quello di considerarlo un matto scatenato, in effetti, come si può improvvisamente lasciare tutto e ritirarsi nel punto più profondo della foresta svedese per un anno, correndo tutto il giorno e vivendo sotto una tenda indiana? Lo ammetto, è stato un pensiero troppo superficiale; ad una lettura più attenta, mi sono dovuta ricredere: Markus Torgeby non è affatto un matto anzi, è un campione a tutti gli effetti, lo è stato quando ha scelto di correre per gli altri ma soprattutto quando ha scelto drasticamente di vivere la sua vita lontano dal mondo moderno. Essere campioni nel coraggio è un traguardo diverso, un risultato che non è facile raggiungere, non per tutti, non per coloro che automaticamente hanno standardizzato la vita in gesti scontati e in momenti tutti uguali, dove il benessere personale è sottinteso alle aspettative degli altri e alle pressioni di chi ti vuole diverso, omologato, costantemente sotto i riflettori. Decisioni di questo genere non si prendono tuttavia senza che non ci siano le giuste motivazioni ed è per questo che ho scelto di raccontarti la sua storia, una vita che parla di passioni ma anche di riscatto, di talento e della consapevolezza necessaria per comprendere che i limiti non vanno superati se a perdere è la propria identità.
Senza dubbio il suo nome può non alimentare ricordi molto recenti, ma negli anni Novanta Markus Torgeby era considerato una grande promessa dell’atletica svedese. Al di là delle sue attitudini la passione per la corsa rappresentava, già da giovanissimo, l’unico modo per dimenticare i problemi familiari, soprattutto quella legata alla malattia degenerativa della madre che peggiorava ogni giorno di più. Le evidenti attitudini del giovane non passano inosservate allo sguardo attento di un allenatore di atletica che lo sottopone da subito ad estenuanti allenamenti. Gli obiettivi sono chiari, le potenzialità di Markus non sono mai messe in discussione ma, sempre più spesso, i risultati in gara non coincidono con le performance in allenamento. I fallimenti ingiustificati durante le competizioni e la pressione a cui è sottoposto spengono gradualmente il piacere di correre e così l’unica risorsa che fino a quel momento lo aveva aiutato a superare le difficoltà, di fatto, diventa la sua fonte principale di stress.
È il 1999, a poco più di vent’anni Markus, penalizzato da un brutto infortunio agli Europei nella gara dei 3000 siepi e lontano dalle piste, decide di ritirarsi per un anno, nelle foreste della Svezia settentrionale nei pressi del lago Helgesjön, nella contea di Jämtland, per vivere in una tenda da campo come un eremita, riscaldato dal fuoco di bivacco, a completo contatto con la natura. Le disillusioni, i fallimenti, il dolore per la madre lo spingono ad una scelta estrema, la più difficile, per lui la più giusta per riscoprire nel silenzio dei boschi la sua passione, ma soprattutto ritrovare sé stesso. Inevitabile che trascorso l’anno, Torgeby abbia poi deciso di allungare la sua esperienza decidendo di trascorrere nella foresta altri quattro anni, senza mai smettere di correre, condividendo successivamente le sue scelte con la moglie e i suoi tre figli con i quali ha scelto poi di trasferirsi in un paesino poco distante da Göteborg, e Järpen, molto vicini alla foresta che lo ha accolto.
Running Wild, trovare se stessi nella foresta artica, il libro edito da UTET, raccoglie i ricordi da adolescente, la sua vita da campione e la sua incredibile esperienza nella foresta svedese; a mio avviso un libro straordinario come il suo autore.