La scatola di cuoio di Gianni Spinelli
«La scatola di cuoio vissuto era sistemata da sempre su un cassettone di legno massiccio nello studio di don Pantaleo, a San Clemente. Dal giorno di Natale 1968 aveva colpito la fantasia di Antonio Fiorini, trentasei anni, magro, un po’ curvo, quasi calvo, lenti spesse da miope, strampalato, un tipo che, fra centomila lire e un portachiavi di metallo, sceglie il portachiavi, senza pensarci due volte.»
Iniziamo questa nostra recensione con uno stralcio tratto proprio la libro La scatola di cuoio di Gianni Spinelli, edito Fazi Editore. Cosa ci racconta l’autore in questo suo libro? Anche se in realtà la domanda esatta sarebbe un’altra: cosa ci vuole dire l’autore con questa sua opera?
Devo subito dire che sono rimasta affascinata da questo piccolo romanzo: il titolo, già di per sé, mi ha incuriosita parecchio: mi sono chiesta, infatti, cosa questa scatola di cuoio contenesse e perché l’autore avesse intitolato il proprio libro così.
E di certo, caro amico mio lettore, non sarò io, quest’oggi, a svelartene le ragioni anche perché, credimi, ti guasterei il piacere di quest’opera che merita di essere letta.
Iniziamo con il dire che il tutto si svolge tra la fine degli anni ’50 coprendo un arco temporale che arriva sino al 1970. Ci troviamo in Basilicata, esattamente in un paesino quasi anonimo, le cui tracce di perdono persino sulla carta geografica, chiamato San Clemente. Un bel giorno in questa località quasi dimenticata, giunge un frate, tale Don Pantaleo il Provinciale che «abitava in una casona, circondata dal mistero che dava adito alle voci più disparate: riti, malefatte, perversioni, orge. Ogni giorno, sul Provinciale che nessuno vedeva, i sanclementesi si esibivano senza saperlo in una specie di Lo cunto de li cunti, versione aggiornata per adulti.»
Sarà proprio la casona a diventare la protagonista inconsapevole di questo romanzo, teatro delle vicende che coinvolgeranno tutti i personaggi. Cosa accadeva realmente all’interno della casona? Don Pantaleo, questo frate, considerato come L’Onnipotente in terra, cosa nascondeva in realtà? Il Provinciale, però, bada bene, non abitava in quella enorme casa intrisa di mistero da solo: questo è un aspetto che va ad impreziosire la storia narrata.
Analizzando l’aspetto prettamente tecnico di questo libro posso dirti quanto segue: il primo capitolo potremmo definirlo come una sorta di prologo che ti introduce sulla scena, è come quando vai a teatro e le tende vengono tirate, la scena si apre e tu vieni accolto in quello che sarà poi lo spettacolo vero e proprio. Terminato questo primo capitolo l’autore fa un salto temporale indietro nel tempo, dove ti narrerà la vicenda dagli albori, ti prenderà per mano e ti spiegherà i fatti passo passo.
I capitoli sono 37 e sono molti brevi: da una a tre pagine massimo ciascuno. Il romanzo viene narrato in terza persona, vi sono parecchie parti descrittive, che si alternano in modo equilibrato ai dialoghi espressi in forma diretta. I personaggi sono di numero consistente, è vero che possiamo individuare il protagonista, colui che occupa la scena principale, ma è altrettanto vero che ognuno dei soggetti riveste un ruolo chiave: ognuno a suo modo diventa indispensabile per la narrazione.
Forse questo cospicuo numero di personaggi inizialmente può creare una leggera confusione perché ti vengono introdotti uno dopo l’altro, tutti dotati di caratteristiche peculiari: una volta però che li avrai inquadrati saprai collocarli nella giusta prospettiva.
Devo essere onesta: un plauso va all’autore per aver inserito molteplici soggetti in una sola storia e averli saputi discernere l’uno dall’altro. Ognuno è caratteristico a modo proprio: persone tra loro eterogenee e misteriose al tempo stesso, come in una sorta di vedo non vedo, dico non dico. Ciascuno di essi parla sinceramente solo tra sé e sé. Pochissimi i refusi che ho riscontrato.
Nella vicenda, peraltro, vengono intercalate delle espressioni nel classico idioma lucano.
La storia, per tutto lo svolgimento, mantiene un ritmo costante, poi, al capitolo 24 il ritmo incalza, e un velo di mistero accompagna il lettore:
«Quella porta non deve essere aperta. Ecco le chiavi della casa, le potete usare tutte, quando volete. Questa di ottone dall’impugnatura con scolpito al centro un bocciolo di rosa apre la porta della stanza dopo il grande corridoio, accanto alla mia camera da letto. In quella stanza, non si deve mettere piede. Lo proibisco in maniera così assoluta che, se vi accadesse per disgrazia di entrare, potete aspettarvi tutto dalla mia collera.»
Il linguaggio è scorrevole, piacevole, ironico, ho molto apprezzato lo stile fluido e arguto che l’autore ha utilizzato sia riguardo la scrittura che nella descrizione degli eventi, dei luoghi e dei personaggi.
Lo scrittore, quindi, ci ha raccontato questa storia e lo ha fatto in modo lineare come se ci raccontasse un qualsiasi avvenimento che si è svolto in un comune, comunissimo paesino sperduto della Basilicata, a trenta chilometri da Matera; tuttavia dietro quella che è la facciata principale si cela un’altra storia: quella dell’animo umano che Gianni Spinelli ci ha descritto con grande acume misto a sarcasmo, in maniera irriverente, prendendosi quasi gioco di questi personaggi che si calano sul viso la maschera del finto perbenismo miscelato a simulata umiltà per celare, in realtà, il loro modo di essere subdoli, bramosi di potere e avidi di denaro. Ebbene sì, tutto ruota attorno al voler a tutti i costi apparire piuttosto che essere, al potere piuttosto che al sapersi accontentare di ciò che si possiede, con un egoismo ed una cupidigia inaudite.
L’autore nel suo modo di raccontare ci mette dinanzi la verità degli uomini che con tracotanza ed ingordigia pensano solo ad accumulare, come se la ricchezza e l’essere potenti rappresentassero il famoso passepartout per la felicità. A questo proposito mi viene in mente una novella di Giovanni Verga Mastro don Gesualdo e il culto della roba.
Il personaggio meglio descritto, a mio avviso, è quello di Donna Marta: lei più di tutti rappresenta il concentrato di tutti i vizi e i lati oscuri dei soggetti qui presenti, una donna che difficilmente dimenticherai per tante ragioni che, naturalmente, solo leggendo potrai comprendere. Tra tutti questi personaggi vi sarà qualcheduno che sarà un’eccezione a quanto sinora detto.
Consiglio La scatola di cuoio di Gianni Spinelli perché ti conduce alla riflessione senza essere pesante e con quel tocco di ironia che ti rende piacevole la lettura e tu allora, da lettore saggio, coglierai al volo il messaggio che l’autore tra le righe vuole darti e ti renderai conto, ancora una volta, come i veri valori della vita siano altri, come sia semplice cogliere la felicità anche in un briciolo di cielo senza grandi pretese né lussi smodati.