Se ti chiedo chi era William Golding, sai rispondermi? Molto probabilmente mi dirai che è stato l’autore di quello che è diventato ormai un classico della letteratura: Il signore delle mosche (1954). Ma la scrittura di William Golding non si esaurisce con il suo primo e prorompente romanzo.
Nato nel 1911 in Cornovaglia, William Golding studiò Letteratura inglese presso l’Università di Oxford – dopo aver frequentato per due anni il corso di Scienze naturali. Per anni lavorò come insegnante, iniziando anche la carriera di scrittore, prima di arruolarsi in marina ed essere mandato al fronte. Nel 1944 partecipò allo sbarco in Normandia. A guerra conclusa, lasciò la marina e tornò a fare l’insegnante. Nel 1954 pubblica quello che poi sarà il suo romanzo più famoso: Il signore delle mosche. Il titolo lo suggerì T.S. Eliot, direttore della casa editrice Faber&Faber che pubblicò il romanzo, alludendo a Satana.
Oltre a più di dieci romanzi, William Golding ha scritto anche opere teatrali, saggi, racconti, poesie e un libro di viaggio sull’Egitto. Diversi e prestigiosi furono i premi e i riconoscimenti che vinse: nel 1979 il James Tait Black Memorial Prize, nel 1980 il Booker Prize e, nel 1983, il Premio Nobel per la Letteratura.
La motivazione per quest’ultimo è la seguente: “…i suoi romanzi che, con la perspicacia dell’arte narrativa realista, la diversità e l’universalità del mito, illuminano la condizione umana nel mondo di oggi”.
Nel 1988, la Regina Elisabetta II d’Inghilterra lo nomina baronetto. William Golding muore nel 1993 per un attacco di cuore.
Tre libri per conoscere meglio William Golding
Premetto che, purtroppo, la scelta dei libri di William Golding tradotti in Italiano è esigua. Tra questi, ho scelto – ovviamente – Il signore delle mosche, pubblicato Mondadori nella traduzione di Laura De Palma. Poi Il destino degli eredi, anche questo pubblicato da Mondadori (traduzione di Giorgio Monicelli) e, infine, Fuoco sottocoperta, pubblicato da Longanesi (traduzione di P. F. Paolini).
Il signore delle mosche, di William Golding
Le emozioni, in questo romanzo, ci sono tutte. Poi ci sono coraggio, dolore e piacere. La protagonista è l’ombra. L’ombra da cui ognuno di noi cerca di fuggire, ma che poi ci prende. Ma cosa fare quando la tua parte nascosta finisce dentro il corpo della persona che ami? Forse, non resta che mollare le cime dal pontile e salpare verso la follia. E qual è la follia?
Quella di ritrovarsi all’Inferno senza aver peccato? Oppure affidarsi a un sistema non strutturato per la presa in cura, che si affida alla tecnica, che non approfondisce e non si pone troppe domande? In questo romanzo il tempo sembra scandire la vita, ma il tempo qui non c’è. La vita ha un sapore magico e nella vita c’è qualcosa di più forte di tutte le emozioni e di tutti i sistemi, un amore, qualcosa che va contro la morte. Qualcosa che non muore. Postfazione dell’autore.
Il destino degli eredi, di William Golding
Come sempre, a primavera, la gente si sposta dai territori invernali, presso il mare, attraversa il fiume, passa la cascata e si arrampica su per le rocce boscose. Ma quest’anno suoni misteriosi, odori mai sentiti indicano la presenza di creature sconosciute. Romanzo di grande sperimentalismo stilistico, drammatico e avvincente, “Il destino degli eredi” (“The Inheritors”, 1955) narra l’incontro fatale tra una piccola comunità di neanderthaliani e i più aggressivi ed evoluti sapiens.
«Beati i miti, perché erediteranno la Terra» dice il Vangelo; non saranno tuttavia i pacifici Neanderthal, con il loro linguaggio immaginifico capace di “nominare” il mondo, gli eredi. L’uomo ha appena iniziato il proprio cammino, eppure il Paradiso è già, definitivamente, perduto.
Fuoco sottocoperta, di William Golding
Con i suoi legni decrepiti, tenuti assieme da cime, la vecchia nave da guerra si muove e ondeggia pesantemente, talora guidata da verdi montagne d’acqua, talora sospinta dai venti che strappano la voce dalle gole e il timone dalle mani, e rolla così verso l’ignoto sospirando la terraferma. Trasporta il suo microcosmo di esseri provati da estasi e tormenti, da torpori e disperazioni, attraversati da panico, crisi e angosce, toccati dalla morte. E’ in questo scenario che Edmund Talbot continua a sondare le profondità del proprio essere e a cercare una soluzione ai suoi dolori. I
l bisogno di comprensione che esprime riguarda il suo essere e la sua anima, ma egli non smette di interrogarsi sulla donna amata: sarà salva? potrà rivederla? sarà ricambiato? Il riesame di un fuggevole incontro lo spinge all’insofferenza. Un destino ineluttabile è messo a dura prova dai flutti e queste anime, sospese tra la vita e la morte, si trovano a combattere la natura per conquistarsi l’esistenza.
Ma il mare non dà pace, mette tutti continuamente e reciprocamente alla prova… Dopo “Riti di passaggio” e “Calma di vento” siamo giunti all’ultima tappa della grande trilogia del mare di William Golding, un continuo e lento progredire verso un nuovo tipo di comprensione, verso la definizione di quanto sia complesso il mondo, di quanto sia sorprendente e ridicolo, straordinario e felice il nostro posto in esso.