Il disprezzo di Alberto Moravia, pubblicato nel 1954, riflette sulla condizione di un uomo che non sa di essere felice. Condizione che tutti attraversiamo in alcune fasi della vita, perché, come Moravia in questo classico ci insegna, spesso si tende a dare valore alle cose solo quando le si perde e «la felicità è tanto più grande quando meno la si avverte».
Il disprezzo: perché questo titolo?
Il libro racconta una relazione coniugale, cercando di aiutare sia il lettore che il protagonista (Riccardo Molteni) a capire quando le cose hanno cominciato a volgere al peggio.
Riccardo ed Emilia vivono in modo perfetto (forse) i primi due anni di matrimonio, e il romanzo si apre addirittura con un elogio dei difetti di Emilia (che ricorda vagamente il monologo di Robin Williams in Good Will Hunting), eppure a un certo punto subentra in Riccardo un elemento molto caro a Moravia: la noia.
Così Riccardo, che non riesce a scindere noia e serenità, comincia a cercare mille modi per rendere più “frizzante” la propria vita, sottovalutando l’indifferenza di Emilia. Finché un giorno, all’improvviso, capita che Emilia gli urla contro tre parole “Io ti disprezzo“, con la stessa viscerale sincerità di quando aveva pronunciato le tre speculari “Ti amo tanto”. Da qui il titolo del romanzo.
Da questo momento, tra i due inizia il silenzio e Riccardo scivola in una sorta di automatismo: nulla ha più senso perché Emilia non lo ama più.
La riflessione sul cinema: il mestiere di sceneggiatore
Tutti sottovalutano che, in questo romanzo, Moravia affronta l’argomento dell’industria del cinema. Riccardo Molteni, da critico cinematografico, si approccia al mestiere di sceneggiatore. Attraverso gli occhi di Riccardo, Moravia descrive lo studio affollato di un produttore ed emerge forte e chiaro anche l’urlo del teatro schiacciato dal cinema, sostituito e abbandonato.
Emerge in lui una “sensazione di schiavitù”: che posto ha lo sceneggiatore nella “catena produttiva” del cinema? Citando testualmente «rimane sempre nell’ombra», sempre subordinato a tutti, «un artista che pur dando il meglio di sé, non ha poi la consolazione di sapere che avrà espresso se stesso».
Moravia pone l’accento sulla differente condizione del regista (che detto in parole povere può permettersi di fare come gli pare) e dello sceneggiatore (sottomesso alla volontà del produttore). Emblematica poi la figura del produttore, che Moravia presenta come una novella volpe, un trionfo di astuzia ed egocentrismo!
Interessante la metafora dei pezzetti di vetro colorati del caleidoscopio per descrivere la vita ormai frammentata. Il cinema è illusione che una storia sia reale, ma il caleidoscopio del protagonista è ora infranto e i pezzi di vetro sono sparpagliati e senza senso.
Un classico dentro il classico: L’Odissea dentro Il disprezzo
Il produttore per cui Riccardo lavora vuole realizzare un adattamento dell’Odissea. Moravia utilizza questo escamotage per dare un’interpretazione tutta sua della storia di Omero, che diventa il dramma psicologico di Ulisse «che ama Penelope ma non è riamato». Amore o fedeltà, quella di Penelope?
Moravia (sempre tramite Riccardo) riflette sui classici, definendoli “allegorie della vita umana”. E per lui il dramma di Ulisse non è quello del marinaio, ma il dramma di ogni uomo. Un dramma senza tempo e senza luogo: eterno. La metafora è molto più complicata e interessante, e per comprenderla invito a leggere il romanzo.
Il tema dell’Odissea non è più la peripezia del ritorno, ma il rapporto Ulisse-Penelope. E Moravia ci dice che la difficoltà non è negli ostacoli, bensì in Ulisse stesso che non vuole tornare a casa. Ma perché non vuole tornare? Ovvio che si voglia instaurare un parallelismo tra Ulisse-Penelope e Riccardo-Emilia… chi sono i proci nella vicenda de Il disprezzo? Da cosa deriva, in fondo, quel disprezzo?
In definitiva, la tematica di questo romanzo è universale e possiede mille sfumature. La riflessione che voglio lasciare sta nella risposta che Moravia dà alla richiesta di quale sia il segreto per il successo in un mondo governato dal denaro:
Mettersi in fila nella vita, come in fila davanti allo sportello dei biglietti, in stazione… viene sempre il nostro momento se si ha pazienza e non si cambia fila.
Molto interessante l’adattamento cinematografico del romanzo, Le Mépris, realizzato da Jean-Luc Godard, assolutamente consigliato dopo la lettura!