In uno dei miei ultimi articoli ho espresso il concetto di quanto è bello andare alla scoperta di nuovi autori, confrontarmi con loro e scoprire attraverso la lettura il loro talento letterario. Oggi, nel nome di questa passione, faccio la conoscenza dell’autrice Bianca Folino, attraverso una lunga e interessante intervista che condividerò con te, caro iCrewer prima di tutto appassionato di scrittura.
Bianca Folino è una autrice che vive in Lombardia, più precisamente nella zona della Brianza che si estende intorno al capoluogo Monza. Mi è stata presentata da una amica, Sabrina Servucci, a sua volta autrice già passata sotto le mie grinfie dell’intervista per la rubrica Sogni di carta.
Nel mese di febbraio di quest’anno, la Folino è uscita con il suo nuovo libro, Sonorità Vitali, pertanto, con la scusa di parlare di questo nuovo lavoro, che presto recensirò qui sulle pagine di libri.iCrewplay, ne abbiamo approfittato per dilungarci in una chiacchierata che presenta l’autrice a trecentosessanta gradi.
BIANCA FOLINO: l’AUTRICE
Essendo l’intervista molto corposa, non mi dilungherei in preamboli ma lascerei direttamente alla nostra ospite il compito di parlare di sé e di presentarsi:
Benvenuta Bianca e grazie per essere qui nella nostra rubrica. Per rompere il ghiaccio una domanda a cui è sempre difficile rispondere. Chi è Bianca Folino?
Bianca Folino è una persona che ha sempre amato la vita in tutte le sue sfaccettature. Ho diverse passioni che seguo e da sempre amo la letteratura, tanto che mi sono laureata in lettere moderne. Grazie alla biblioteca di mio padre ho iniziato a leggere fin da piccola e ho continuato a farlo. Sono una persona che ama studiare e conoscere cose nuove, un’entusiasta in un certo senso, trovo sempre qualche progetto da seguire e nel quale impegnarmi. Diciamo che non mi annoio mai.
Come è nata la passione per la scrittura? C’è un aneddoto particolare legato al momento in cui hai preso coscienza che nella vita avresti fatto la scrittrice?
Ho iniziato a scrivere molto presto, a 12 anni e poi ho iniziato a far poesia verso i 20, elaborando anche una tecnica di poesia visiva. Ho fatto della scrittura il mio lavoro: per vent’anni ho fatto la cronista locale occupandomi in particolare di tematiche economiche e sociali. E poi sono approdata allo studio della Medicina cinese e del Qigong, diventando operatrice shiatsu. Ho smesso di fare la giornalista, ma non di scrivere. Dieci anni fa ho scoperto il selfpublishing e quindi l’ho utilizzato per pubblicare romanzi, racconti e sillogi poetiche.
Fino allo scorso anno quando ho incontrato Pedrazzi editore (in realtà Placebook Publishing) ed è nata una bella sinergia, tanto che ho deciso di affidare a loro anche una silloge poetica e il mio prossimo romanzo. In realtà ho maturato una certa consapevolezza in età matura, avevo superato i quaranta anni quando mi sono resa conto che la scrittura era stata e continuava ad essere per me una delle porte di accesso per l’universo, l’altra era lo shiatsu, due strade diverse ma simili per raggiungere la consapevolezza di se stessi e del mondo.
Si evince che ti piace spaziare tra i vari generi letterari, ma mi sembra di capire che la poesia in realtà è il tuo primo amore, giusto?
Assolutamente sì. Io reputo la poesia l’espressione per eccellenza di chi scrive. Una poesia è la sintesi perfetta a mio avviso tra la sensibilità di chi scrive e di chi legge. Ancor più nella poesia visiva dove l’immagine è il linguaggio protagonista e che veicola il messaggio dell’autore. Però mi rendo anche conto che la prosa raggiunge più persone e quindi utilizzo romanzi e racconti per andare incontro ai gusti dei lettori.
Cosa intendi per poesia visiva?
Ho elaborato i calligrammes di Apollinaire, faccio un disegno e sostituisco il tratto del disegno con le parole, le scrivo con la china colorata o nera su fogli da disegno, uso proprio cannucce e pennini.
Che differenze ci sono, al di là delle modalità di scrittura, tra lo scrivere in prosa e lo scrivere poesia? Cambia il tuo approccio? O la tua percezione del lavoro che stai svolgendo?
Sì, cambia tutto. Quando scrivo poesia uso la penna e un quaderno, rigorosamente una bic a punta morbida e poi scrivo dando voce al mio cuore anche se le poesie che scrivo non sempre sono palesi nel loro contenuto semantico. Scrivo e lascio sedimentare, prima di scegliere il testo e farlo entrare in una silloge, lo maturo, lo cambio, lo limo e correggo e alla fine entra in una raccolta. Quando scrivo in prosa prima di tutto uso un computer e poi seguo una scaletta, diciamo che getto solo le basi minime della storia che poi si realizza strada facendo.
Finita la prima stesura, correggo e arrivo alla seconda che solitamente è quella definitiva. Potremmo dire che in comune, tra i due tipi di scrittura, c’è che per quanto sia molto facile per me scrivere, lascio sempre sedimentare prima di metterci mano per limare il testo, ma poi è il mio atteggiamento che cambia, perché quando scrivo in prosa ho ben presente di fronte a me un lettore al quale mi rivolgo e per il quale scrivo e quindi cerco di essere il più chiara possibile proprio per lui.
Ci riassumi brevemente le tappe più importanti della tua carriera letteraria?
Negli anni ’90 ho pubblicato il mio primo romanzo con Greco e Greco di Milano, poco prima avevo dato alle stampe la mia prima silloge poetica Preludes edito da Gabrieli di Roma. Già negli anni ’80 però avevo partecipato ad alcuni concorsi letterari arrivando in finale e vincendone anche qualcuno. Mie poesie erano apparse anche in alcune riviste. Nel 1996 ho iniziato a pubblicare qualcosa con Pulcinoelefante, per lo più poesie visive e ho organizzato corsi di scrittura creativa per l’associazione Tam-Tam di Monza.
Avendo fatto parte del circuito di mail art ho scritto un saggio per Stampa Alternativa. Poi mi sono, in un certo senso, fermata dedicandomi quasi esclusivamente al giornalismo, anche se in realtà ho continuato a scrivere poesie. Nel 2010 ho ripreso l’attività utilizzando il selfpublishing e da un paio di anni ho ricominciato a partecipare a concorsi e reading letterari, alcuni miei racconti e poesie sono stati inseriti in antologie e da due anni partecipo a Milano book festival.
BIANCA FOLINO: SONORITÀ VITALI
Veniamo al tuo ultimo libro, uscito nel mese di febbraio, Sonorità vitali, di che si tratta?
Sono sette racconti legati a sette differenti dischi. Sono dischi che ho amato molto e che mi hanno ispirato. Su di loro ho voluto scrivere e inventare sette vite di donne, alcune vincenti , altre meno, ma tutte molto vitali, appassionate e che nelle proprie passioni trovano l’energia per andare avanti con il sorriso nonostante non sempre la vita riservi loro il meglio.
Che ruolo gioca la musica nella vita di Bianca Folino?
La musica è la colonna sonora della mia vita, mio nonno suonava diversi strumenti, mio fratello fa il musicista e io stessa ho studiato pianoforte. Non potrei vivere senza musica e la considero anche l’arte principe di tutte le altre forme espressive. Mi ispira, sempre, costantemente. Ho scritto questo libro mentre in cuffia avevo gli auricolari e ascoltavo i dischi che mi facevano vivere quelle storie.
Mi piace molto e allo stesso tempo mi incuriosisce la copertina, come è stata scelta?
E’ stato l’editore, Fabio Pedrazzi, a disegnarla scegliendo il racconto ispirato da Roses dei Cramberries: una ballerina e la sua passione per le rose che coltiva nel suo balcone. Ma visto che il filo conduttore di tutto il libro è la musica ha deciso di farla danzare su un piatto di vinile. Io credo però che il soggetto sia stato scelto da chi ha fatto l’editing del mio testo, cioè da Claudia Filippini, preziosissima editor.
Abbiamo detto sette racconti per sette donne diverse, tu in quale ti riconosci? Quanto c’è di Bianca Folino in questo libro?
Mi riconosco in ognuna di loro e in nessuna. C’è sempre una componente autobiografica nei libri, perché alla fine si scrive di ciò che si conosce, non potrebbe essere altrimenti, almeno per me. Del resto da giovane ho provato a dipingere, a fare fotografie e anche musica, ma alla fine ho capito che quello che faceva scattare la mia immaginazione e la mia creatività erano il foglio bianco di un quaderno e la mia bic blu punta morbida.
Quanto la tua vita e il tuo vissuto influenzano la tua scrittura?
In realtà si influenzano a vicenda. Come dicevo prima si scrive di ciò che si conosce, ma scrivere è anche un modo per esplorare un vissuto o una questione, per conoscerla e farla nostra. Il mio prossimo libro per esempio parla di memoria, perché ho voluto indagare un ambito specifico, volevo conoscerlo appunto.
Hai detto che hai partecipato per due anni al Milano book city, che esperienza è stata?
Una bellissima esperienza che spero di rifare. Solitamente al Milano book city porto le mie poesie, vengo invitata ad un reading dove si possono portare anche parti di un racconto, ma io scelgo le poesie perché a mio giudizio bisogna ricominciare a parlare di poesia e a leggere poesie. E’ una bella esperienza anche perché si incontrano altri autori e il confronto è sempre bellissimo, almeno per me.
Che valore ha per te questa condivisione faccia a faccia con il pubblico delle tue opere?
E’ un valore immenso, perché si ha subito un feedback da parte del pubblico. E’ qualcosa di immediato. E poi amo molto guardare i volti che mi guardano, gli occhi e gli sguardi. C’è tutto un linguaggio corporeo che si può esplorare e che è un altro modo di comunicare, al di là delle parole.
BIANCA FOLINO: L’ATTUALITÀ
E in questo senso, come influenzeranno il tuo percorso artistico le restrizioni che siamo costretti a rispettare quest’anno causa Covid-19? Immagino che essendo il libro uscito a Febbraio, tutto il lavoro di presentazione e promozione sia completamente saltato. Come ti sei o ti stai organizzando?
Purtroppo sì, anche se solo in parte. Ho dovuto rimandare alcuni incontri che avevo già organizzato. Avrei voluto inserirmi in alcuni festival musicali, come quello estivo organizzato dalla biblioteca di Carnate, ma l’emergenza sanitaria ha deciso altrimenti. Abbiamo rimandato tutto al prossimo autunno.
Vero è però che l’editore con il quale ho pubblicato ha organizzato una serie di serate a tema, via zoom, dove ho presentato il mio libro parlando del rapporto tra letteratura e musica con Sergio Calcagnile, un altro autore targato Pedrazzi che ha scritto una particolare biografia su Alanis Morrisette. E ho fatto un po’ di promozione con interviste radio e su alcuni periodici. Diciamo che la tecnologia ha fatto sì che non tutto andasse perduto.
La quarantena e la pandemia hanno ispirato qualche nuovo scritto di Bianca Folino?
Stavo già lavorando ad un nuovo romanzo. Mi sono dedicata alla ricerca storica in questo caso, avevo bisogno di conoscere alcuni eventi del nostro paese, perché la storia che sto per iniziare a scrivere ha come protagonista una donna che sta arrivando alla soglia dei 100 anni e che vive in un piccolo paese delle Marche. Devo dire che non ho vissuto male il lockdown, ho fatto molte cose e molto belle anche, sono stata molto bene insomma.
Sicuramente avrai trovato il tempo per leggere. Sei una buona lettrice? Cosa ti piace?
Sì, decisamente sì. Letteratura in particolare, la prediligo alla saggistica. Ultimamente mi sono ritrovata a leggere qualche autore che potremo definire classico, da Elsa Morante della quale non avevo letto Aracoeli a Goliarda Sapienza e la sua Arte della Gioia. Apprezzo quel modo di scrivere, di spessore, dove la parola è ricerca. Però leggo un po’ di tutto, amo da sempre i sudamericani e il loro realismo magico, ma anche gli ebrei americani come Isaac Singer e Philip Roth per citarne due e i giapponesi come Yashimoto o Murakami.
Quando voglio prendermi una pausa leggo Nick Hornby che mi fa molto divertire. E non dimentichiamo i cinesi, amo molto l’ultimo Mo Yan. Sui saggi prediligo testi taoisti, sia classici che moderni, oppure testi di Medicina tradizionale cinese, nonché quelli relativi alla tradizione indovedica. Per la poesia invece leggo quelli che potremo definire classici, non sempre amo i moderni in questo caso. Ora per esempio sono alle prese con La corsa del tempo di Anna Achmatova e al contempo sto leggendo Il cibo della saggezza di Franco Berrino.
A proposito di questo amore per l’oriente e le sue discipline, che come hai detto è anche diventato il tuo lavoro, come questa attitudine verso la ricerca del profondo dell’anima si trasforma in parole scritte? Scrivere può essere un viaggio dentro se stessi?
Scrivere è un viaggio dentro se stessi, ma non solo. E’ uno strumento di consapevolezza di se stessi e del mondo, come lo sono le discipline orientali. Tempo fa ho organizzato un workshop intitolato Shiatsu e scrittura creativa, proprio a significare il rapporto che intercorre tra i due e come entrambi possano essere un percorso dell’individuo verso l’essere. Credo che in un epoca in cui il fare sia tanto preponderante, trovare una strada che fa emergere l’essere sia qualcosa di estremamente prezioso che dobbiamo coltivare, quanto la potenza del nostro sorriso in meditazione, capace di trasformare le nostre emozioni fino a farci raggiungere la felicità.
CONCLUSIONI
Ringrazio nuovamente Bianca Folino per la sua grande disponibilità e per la passione con cui ci ha raccontato il suo lavoro. Riassumere in una intervista scritta tanti anni di scrittura e di libri non è sempre facile e il rischio di non far emergere a pieno il grande impegno e il grande amore per questa arte è sempre elevato.
Non è il nostro caso, almeno questa volta, ti invito però, qualora l’intervista ti abbia fatto crescere un piccolo seme bagnato dalla curiosità a visitare il sito www.biancafolino.it per approfondire la conoscenza.
Alla prossima.