È stato Baudelaire è l’ultima fatica di Francesca Gerbi. Un romanzo che ci trascina in uno sperduto paesino di provincia, per risolvere un orribile mistero irrisolto di tanti anni prima
“È scrivere d’un genere sconosciuto e mai approfondito, il noir, ma studiato e meditato a tavolino, ovviamente, e seguendo il cuore, le emozioni, le idee scaturite dalla mente“. Questo dice Francesca Gerbi del suo romanzo fresco di stampa, È stato Baudelaire, un noir a tutti gli effetti, dove le poesie del poeta maledetto francese diventano firma dell’assassino e, contemporaneamente, unico indizio per la risoluzione del caso.
Vediamo la trama
Il maresciallo Antonio Rodda, burbero, tanto abile nelle indagini quanto poco incline a elargire informazioni alla stampa, e Fulvia Grimaldi, giornalista caparbia e intraprendente, sono stati segnati da una comune tragedia: il brutale assassinio della quattordicenne Marina nel 1992, migliore amica di Fulvia e unica macchia nella carriera di Rodda. Una ferita mai rimarginata, un mistero irrisolto in un angolo apparentemente tranquillo della provincia Granda, un omicidio senza spiegazioni né colpevole. Un incubo che li perseguita ancora, oggi più che mai: Baudelaire – questa la firma dell’assassino – è tornato, con i suoi messaggi in versi e il suo carico di ricordi e segreti. Toccherà ai due protagonisti tornare a quegli anni terribili, ricostruire vicende, volti e storie, spalancare porte sigillate e abissi oscuri e profondi. Perché nulla è come sembra: l’aguzzino sa assumere forme insospettabili e il male di vivere si annida in luoghi inattesi, tra amene colline, paesi senza tempo e animi quieti come acqua.
L’ambientazione
L’ambientazione è senza alcun dubbio la cosa più riuscita del romanzo. Siamo in un paesino sperduto di provincia, vicino Cuneo. In città tutti si conoscono tra loro, tutti vedono, tutti ascoltano, tutti ricordano. Ricordano anche di un terribile delitto irrisolto di molti anni prima, ma nessuno ha detto mai niente. E tutti continuano a tacere, a non rivelare più del dovuto. Il maresciallo Rodda si trova a combattere nuovamente non solo contro il “mostro” Baudelaire, ma anche contro quel tacito consenso che serpeggia tra gli abitanti del paese di farsi i fatti propri e di non rischiare mai di dire qualcosa in più. L’atmosfera ricorda quella delle cittadine marce spesso descritte da Stephen King, dove gli adulti rimangono immobili nella loro apatia, nella loro banale quotidianità, senza venire mai turbati, scalfiti, da niente, neanche da un omicidio. Gli unici immuni a questa specie di incantesimo, in questo caso, sono il maresciallo e Fulvia, l’amica d’infanzia di Marina, che non si è mai rassegnata e che non ha mai voluto dimenticare. Grazie alla loro testardaggine, alla loro volontà di scoprire una volta per tutte il vero assassino, vengono fuori tutti i segreti fino ad allora taciuti e tutte le colpe di chi, fino ad allora, era risultato innocente.
I personaggi
Il maresciallo è, quasi fino alla fine, il personaggio di spicco, affiancato all’ultimo dall’antagonista, dal colpevole, che ruba la scena. Il detective e l’assassino sono i veri (e forse unici) personaggi veramente approfonditi, completi. Gli altri sono quasi abbozzati, lasciati un po’ a se stessi. Quel che manca, a tratti, è proprio una psicologia dei personaggi, una loro complessità. Tante sono le cose che vengono accennate e non vengono poi riprese o che vengono affrettate.
La costruzione della storia
La storia viene narrata da più punti di vista e su più linee temporali. L’autrice fa uso di flashback e di salti temporali, in cui abbiamo una Marina ancora viva, che con i suoi occhi da bambina cresciuta prima del tempo comincia a svelarci alcuni dei raccapriccianti segreti di quella cittadina apparentemente immacolata. Gerbi lascia alcuni indizi, ma in modo sottile. A questi ritorni al passato si alternano vivide descrizioni delle indagini condotte dal maresciallo Rodda, le tante testimonianze raccolte dagli abitanti di Cuneo e, soprattutto, le pagine di diario di chi, alla fine, si rivelerà essere l’assassino. Proprio queste risulteranno preziose per avere un’immagine chiara e a tutto tondo del colpevole e, soprattutto, per aiutare a capire, prima di condannare.
Qualche critica…
Un romanzo si sa, raramente è perfetto, quindi qualche critica va fatta anche in questo caso. Nonostante il libro in sé non sia niente male, ci sono alcune cose che non ho apprezzato pienamente e che mi hanno spinta a dare tre stelline invece di quattro. Come già detto, l’ambientazione è pressoché perfetta: inquietante, soffocante, cupa, asfissiante. I personaggi sono ben caratterizzati e molto efficaci, ma non tutti e non sempre. Nei capitoli finali tutto quello che era stato costruito con tanta attenzione, per arricchire la narrazione di suspense, si perde quasi completamente. Alcuni personaggi perdono spessore, il susseguirsi veloce, troppo veloce, delle cose non lascia il tempo al lettore di immergersi quanto dovuto nel mistero. Il ritmo prima lento, dato dalle varie testimonianze, dai salti temporali e dalle vicende del maresciallo Rodda, si perde, diventa più frenetico, quasi precipitoso. Non veniamo accompagnati verso la soluzione, veniamo catapultati. E così va perdendosi parte del divertimento del leggere un giallo o un noir che sia. Dopotutto pensaci, cosa sarebbe un film di Nero Wolfe senza la dettagliatissima (e lentissima) spiegazione finale del caso? Indizio dopo indizio siamo noi ad arrivare alla soluzione. In È stato Baudelaire noi facciamo ben poco: siamo sommersi dalle confessioni, dai ricordi, non facciamo in tempo a rielaborarli che già ci viene spiattellata sotto al naso la soluzione.
È stato Baudelaire
rimane comunque un romanzo lodevole e avvincente, che non solo ci regala qualche brivido e un caso fuori dal comune, ma che ci porta anche a riflettere su quanto possa nascondersi dentro una persona e su quanto, e per quanto, una persona possa riuscire a sopportare.