Buongiorno iCrewer! In questi giorni ho letto un libro che mi ha fatto riflettere, ancora una volta (eh sì, ultimamente succede spesso) sull’importanza della prospettiva. Si tratta del fumetto Furari. Sulle orme del vento di Jiro Taniguchi, pubblicato da Rizzoli.
Un po’ come mi era capitato durante la lettura di La donna di sabbia di Kobo Abe, anche mentre mi trovavo tra le pagine dell’opera di Jiro Taniguchi, non ho potuto fare a meno di pensare: quanto cambierebbe il racconto se lo vivessimo attraverso gli occhi di una libellula?
La storia narrata in questo fumetto è piuttosto semplice, lineare, e per questo rilassante. Ecco qui di cosa parla.
Furari. Sulle orme del vento di Jiro Taniguchi
Furari è un’espressione giapponese che sta per ‘Vagare senza meta” “in balia del vento”: e il piacere del camminare soffermandosi sull’infinita bellezza di ciò che ci circonda è il tema al centro di quest’ultima opera, intrisa di dolcezza e di meraviglia, di Jiro Taniguchi.
Ispirato a Tadataka Ino – celebre topografo e cartografo che tra il XVIII e il XIX secolo mappò per la prima volta il Giappone con tecniche di misurazione moderne – il protagonista di questa storia è un uomo curioso di tutto, un edonista che osserva il mondo e con esso si fonde; con l’intento finale di calcolare la misura di un grado di latitudine, avanza così a passi lenti e regolari, immaginandosi ora formica, ora elefante, ora uccello, e accompagnando le proprie passeggiate – di piacere, sì, ma anche e soprattutto mirate a tramandare il magnifico paesaggio giapponese alle nuove generazioni – con struggenti haiku.
Può ammirare i ciliegi in fiore sulle colline di Ueno come inoltrarsi negli abissi del fiume Nihombashi tra tartarughe, lontre e martiri pescatori; osservare le stelle dal ponte Mannen lasciandosi cullare dal gracidio delle rane, e volteggiare leggero come una libellula; danzare spensierato come un gatto tra i tetti e percepire con un semplice abbraccio la solitudine di un albero secolare. Un passo dopo l’altro, senza fermarsi mai: sulle orme del vento.
Bastano occhi diversi per vivere una storia diversa
Il protagonista del racconto è un uomo in pensione, che passa le sue giornata a camminare, a passi misurati, su e giù per le strade di Edo (antico nome di Tokyo). Il suo sogno nel cassetto è riuscire a calcolare la dimensione di un parallelo, prendendo come riferimento precise distanze tra un punto e l’altro della città.
Per fare ciò, ogni giorno, scrupolosamente, cammina. Cammina con falcate regolari, facendo passi della grandezza giusta per essere convertiti in unità di misura. Durante il suo peregrinare gli capita spesso di imbattersi in personalità interessanti, di sentire racconti e haiku, ma soprattutto, di notare piccoli particolari.
Quando si prende delle pause, per ammirare lo splendido paesaggio, sovente succede che si perda nei pensieri e immagini, progetti, o si immedesimi in qualche animale. Tuttavia, Jiro Taniguchi non si limita, chessò, a disegnare una veduta dall’alto della città, se si parla di un’aquila, no. L’autore fa diventare il protagonista stesso quell’animale, rendendogli così possibile osservare la realtà con occhi diversi.
E così, ad esempio, egli può esplorare insieme alla tartaruga le acque fredde del fiume, o muovere le possenti zampe dell’elefante; camminare leggero sui tetti insieme al gatto o volare zigzagando sopra la città come una libellula.
È stata proprio la rappresentazione del mondo attraverso gli occhi della libellula che mi ha fatto pensare: Furari sarebbe stata la stessa storia, se a raccontarla fosse stato questo insetto?
Ammetto di non aver letto molti libri che adottano il punto di vista animale (l’esempio che meglio ricordo, è un passaggio di Anna Karenina, in cui Tolstoj riferisce i pensieri di un cane da caccia), quindi potrebbero esserci molte opere in cui viene adottato questo stratagemma.
Tuttavia, mi sono chiesta: come cambierebbe un racconto se a narrarlo fosse un pipistrello, con la sua vista praticamente inesistente e il suo udito sopraffino? Harry Potter sarebbe lo stesso, se a parlarci fosse Grattastinchi? E non intendo con una voce umanizzata, in cui la sola differenza è la decisione di adottare come narratore un animale, ma proprio abbracciando la sua percezione del mondo, così enormemente distante dalla nostra.
Probabilmente ci troveremmo davanti a libri completamente diversi, a storie sottosopra, a punti di vista sconvolti, ma il bello della letteratura è proprio questo: tutto è possibile tra le pagine di un libro.