Dopo aver recensito Fiorelluccia ho avuto il piacere di leggere Gli avventurosi Simplicissimi uno dei romanzi di Lodovica San Guedoro pubblicato nel 2008 con Felix Krull Editore.
In questo caso, l’aver letto prima la delicata quanto particolare fiaba siciliana mi ha dato la possibilità di comprendere e apprezzare ulteriormente lo stile letterario dell’autrice napoletana, in qualche modo distante dai canoni tradizionali della narrativa.
Di Ludovica San Guedoro colpisce soprattutto la capacità letteraria di immergere il lettore in atmosfere e paesaggi avvolgenti al limite della realtà e Gli avventurosi Simplicissimi ne è un chiaro esempio.
Gli avventurosi Simplicissimi, attingere al passato per creare un mondo nuovo
La scelta di una scrittura poeticamente barocca è sintomatico di una ferma volontà di attingere al passato per spiegare le carenze di un presente ormai snaturato nei contenuti quanto incline agli eccessi e sordo agli influssi benefici di una cultura classica.
Non mi sorprende quindi che il filo conduttore della narrazione sia legata alla sapiente identificazione della realtà personale miscelata a quella onirica. E in questo contesto trovano spazio esperienze di vita in un fluire del tempo pronto a mescolare le carte di un passato culturale rifulgente e di un presente deturpato dalla modernità.
Cosa ha prodotto tale mistificazione, quali le responsabilità, esiste la concreta possibilità che il passato per quanto etereo nel tempo, indichi la strada per un vivere più dignitoso? Ludovica San Guedoro ha ben chiaro quali siano le cause, gli effetti e la terapia per ritrovare equilibri perduti e la sua storia è certamente lo strumento giusto per esprimerlo.
Nella complessità degli interrogativi pensare ad un viaggio unico e irripetibile deve essere sembrato il percorso più logico per una personalità ricercata e introspettiva quale quella della scrittrice napoletana sempre molto attenta alle origini e a un divenire letterario capace di riscoprire il senso vero dell’essere.
Le risposte a tutte le domande sono affidate ai personaggi del romanzo, che vuoi o non vuoi, avranno l’onere e l’onore di scoprirle. Lo scopre mano a mano anche il lettore seguendo, a volte con facilità in altre con più fatica, le traversie di viaggio di cinque ragazzi tedeschi desiderosi di raggiungere l’Oriente, una esperienza che, in qualche modo, aprirà loro la porta verso quella “Terra promessa” futura culla di nuovi orizzonti culturali e di vita.
Il lungo viaggio e le esperienze dei cinque giovani alla scoperta della Sicilia e le nuove verità
Il primo passo per dare un senso alla storia è quella di respirarla gustando la ricercata sintassi dell’autrice, una cura descrittiva senza dubbio molto efficace pur se a tratti eccessiva. Entriamo dunque, nel vivo della storia.
È un viaggio che, fin dall’inizio, assume connotati inusuali. Raggiunto il porto di Brindisi, i cinque ragazzi si scontrano con la mentalità del luogo, le difficoltà ambientali, personaggi misteriosi oltre a vivere strani fenomeni al limite del paranormale.
Allontanarsi da una situazione poco chiara li spinge a raggiungere la meta accettando, nonostante la pericolosità, soluzioni alternative. Una tempesta marina tuttavia li scaraventa dapprima nel fondo marino, sospingendoli successivamente sulle coste di un’isola a loro sconosciuta.
Per ognuno di loro è l’inizio di un’esperienza senza eguali che li unirà in un finale di grande impatto emotivo.
A Markus, Inge, Max, Stefan e Martha è dato invece, l’ingrato compito, una volta dato il nome al suolo sconosciuto, di prendere coscienza della realtà che li circonda e non è sempre la più gratificante.
È così che la San Guedoro ci presenta la sua isola, terra di grandi tradizioni da cui prende comunque le distanze per le innegabili carenze ambientali e strutturali, l’incapacità di custodire e difenderne le tradizioni artistiche, la tendenza alla sopraffazione e alla violenza. Verità ineluttabili di cui prendere atto ma da cui, comunque, partire per ricostruire una mentalità diversa, probabilmente migliore.
Gli avventurosi Simplicissimi è un romanzo molto interessante, di denuncia e speranza al contempo tanto da assumere, a mio avviso, l’aspetto di un vero e proprio saggio. Nulla è lasciato al caso, dalla profezia del vecchio Empedocle alle dure parole del botanico, lo strano incontro con il Garibaldino, la scoperta di una nobiltà ritrovata capace di ridare nuova linfa vitale .
È indubbio che in ognuno dei personaggi ci sia molto della San Guedoro, basta saperli ascoltare, tradurre le intenzioni, inevitabile per un lettore attento, soffermarsi sulle riflessioni finali a cui l’autrice si lascia andare quasi a prevenire qualsiasi equivoco nell’interpretazione.
Le intenzioni invece sono chiare così come il desiderio che del viaggio rimanga il ricordo di una Infinita Bellezza che solo l’Arte può regalare.
“Quello che essi volevano era molto di più che semplicemente ritirarsi nella quiete e riparatezza della campagna per potervisi dedicare convenientemente all’Arte. Essi volevano fondare un paese nuovo, una società nuova, un mondo nuovo. E la spada per edificarli sarebbe stata, nel loro pugno, l’Arte stessa!”
A Lodovica San Guedoro il plauso, pur nella complessità di un linguaggio descrittivo a tratti ripetitivo, di aver realizzato un romanzo come sempre raffinato ed elegante, ricco di contenuti e spunti di riflessione.
In verità alla fine della lettura, mi sono chiesta se Gli avventurosi Simplicissimi magari allertati nel sonno da un oracolo previdente, avrebbero poi scelto di intraprendere un viaggio così avventuroso. Voglio pensare di si, qualunque viaggio intrapreso che sia per terre lontane o meno, lascia segni indelebili di mutamenti interiori, può non incontrare il gradimento iniziale per ovvie ragioni di identità culturali ma pur sempre capace di arricchire una memoria collettiva e personale che altrimenti rimarrebbe relegata in aridi schemi convenzionali.
Faccio mie le ultime parole del romanzo: CHI VIVRÀ VEDRÀ!