Juan Carlos Onetti è considerato uno dei più importati scrittori latinoamericani. Nato a Montevideo, in Uruguay, Juan Carlos Onetti ricorda che fu suo nonno a italianizzarne il cognome, trasformandolo dall’originario O’Nety (di origini irlandesi o scozzesi) a Onetti. Il suo universo narrativo risente dell’influsso di Faulkner, Sartre, Dos Passos e Conrad.
Juan Carlos Onetti ha ottenuto due importati riconoscimenti letterari: il Premio Nazionale di Letteratura dell’Uruguay nel 1962 e il Premio Cervantes, il più prestigioso premio letterario di lingua spagnola. Sarebbe riduttivo riassumere qui la sua poetica, o parlare della sua città immaginaria di Santa María. O ancora raccontarne la vita, caratterizzata da tanti episodi diversi, tra cui la prigionia durante la dittatura militare e poi l’esilio in Spagna. Preferisco darti qualche spunto per fartelo conoscere seguendo le corde che più ti ispirano.
Inizio con i due libri da poco usciti per SUR: La vita breve (traduzione di Gina Maneri e postfazione di Sandro Veronesi) e Il cantiere (traduzione di Ilide Carmignani e postfazione di Edoardo Albinati).
La vita breve, di Juan Carlos Onetti
Juan María Brausen è impiegato in un’agenzia pubblicitaria di Buenos Aires e vive con la moglie Gertrudis. Sta lavorando al soggetto per un film che decide di ambientare nell’immaginaria città di Santa María, di sua invenzione, mentre dedica anima e corpo a decifrare i dialoghi stentati che gli arrivano dalla casa della vicina: tutto gli sembra più degno di nota del suo presente.
Alla pari di un Don Chisciotte dei giorni nostri, più la vita reale si farà grigia e insopportabile – sta per essere licenziato, la moglie è malata e si chiude in un guscio di incomunicabilità –, più Brausen tenderà a rifugiarsi nelle sue fantasticherie, e a identificarsi con il suo protagonista inventato: il dottor Díaz Grey. Non si limita a immaginare un’altra vita, vuole essere un altro. Ma fino a che punto potrà spingersi?
Ben presto realtà e finzione si mescolano pericolosamente, in una storia dai toni noir, per dare vita a uno dei romanzi più ambiziosi del ventesimo secolo – «stilisticamente perfetto», scrive Sandro Veronesi nella postfazione al volume – che segnerà un prima e un dopo nell’opera di Onetti e nella letteratura latinoamericana tutta.
Il cantiere, di Juan Carlos Onetti
Cinque anni dopo esserne stato esiliato con disonore, Larsen fa ritorno a Santa María con un piano ben preciso: intraprendere un serrato quanto patetico corteggiamento di Angélica Inés – la figlia di Petrus, potente signorotto locale –, e al contempo farsi assumere da questi come capo del cantiere navale di sua proprietà. Scoprirà ben presto che il cantiere è solo un cadente involucro al centro di un deserto, dove nulla accade da anni.
Un nulla di cui però Larsen, antieroe per eccellenza e personaggio indimenticabile, diventerà l’irreprensibile Direttore Generale, autoproclamandosi sovrano di un regno in decadenza fatto di vecchie carte impolverate e rottami venduti illegalmente per pochi spiccioli.
Con una scrittura magistrale, fatta di netti sostantivi e aggettivi disarmanti, Il cantiere è forse il tassello più compiuto dell’assurda comédie humaine costruita da Onetti: un romanzo attuale a sessant’anni dalla sua pubblicazione, e una porta d’accesso privilegiata all’universo onettiano che, sulla scia maestra di Faulkner e Céline, si fonda su un microcosmo asfissiante e perfetto: Santa María.
Juan Carlos Onetti nelle parole di Dorotea Muhr
Nel blog di SUR – Sotto il vulcano – puoi trovare l’intervista di Leila Guerriero a Dorotea Muhr, l’ultima moglie di Juan Carlos Onetti. L’articolo è originariamente apparso sulla rivista Gatopardo e qui è stato tradotto da Giulia Zavagna.