Sibilla Aleramo la ricordiamo? Caro Lettore, purtroppo nella storia della letteratura ci sono autori che passano più in sordina rispetto ad altri, ed è così che opere di una grande importanza culturale restano ignote ai molti: nei miei ricordi scolastici, durante le ore di letteratura italiana gli autori portati alla nostra attenzione erano i grandissimi Manzoni, Leopardi, Pascoli, D’Annunzio, Ungaretti, Montale e via dicendo. Eppure non c’è mai stato, neppure una volta, un riferimento alla “letteratura femminile”, se così vogliamo chiamarla. E perché? Beh, perché per anni, secoli, la donna è sempre stata oppressa dal dominio maschile, e l’accesso alla letteratura, alla scrittura era un qualcosa riservato agli uomini. Per anni nella letteratura italiana l’universo femminile è stato sì descritto, ma sempre e solo con lo sguardo maschile. Tutto questo inizia a cambiare nei primi anni del 1900, con un’autrice in particolare di cui ti parlerò oggi: Sibilla Aleramo
Sibilla Aleramo, nata ad Alessandria nel 1876, è spesso ricordata per il suo amore tormentato con il poeta Dino Campana, di cui ci resta il carteggio, raccolto in Un viaggio chiamato amore. Lettere 1916-1917. Ma c’è molto di più dietro a questa formidabile e coraggiosa scrittrice. Sibilla Aleramo aveva un forte rapporto con il padre, che diventa un vero e proprio modello a cui rifarsi. Ma la sua fu un’infanzia travagliata e infelice: la madre, malata di depressione, tentò più volte il suicidio. La giovane Aleramo rivedeva nella madre e nella sua malattia la causa dell’infelicità all’interno della vita familiare, una posizione che cambierà radicalmente quando sarà lei a sperimentare una vita coniugale fallimentare: a 15 anni, Sibilla Aleramo fu violentata da un impiegato della fabbrica del padre, che sarà poi costretta a sposare, secondo la concezione del “matrimonio riparatore”. Questo avvenimento la porta a rivalutare l’uomo che tanto aveva mitizzato, il padre, di cui nel frattempo aveva anche scoperto i tradimenti, e a comprendere lo stato della madre, vittima e prigioniera di un matrimonio infelice. Ma l’Aleramo aveva dentro di sé una voce che non poteva essere spenta: furono la scrittura e l’impegno sociale a salvarla da quello stato di oppressione. Iniziò a scrivere articoli su cause a lei care, in primis la lotta per i diritti delle donne. Nel 1899 le fu affidata la direzione del settimanale socialista L’Italia Femminile. Ma è nel 1906 che arriva il suo scritto più importante: Una donna
Sibilla Aleramo: una donna
La vicenda del romanzo è esemplata sulla storia personale dell’autrice: dall’infanzia, il matrimonio riparatore e la nascita del figlio Walter, in cui cerca un prima possibilità di fuga dalla squallida vita che si era ritrovata a vivere, fino alla ricerca di libertà e all’impegno sociale e politico. Una donna è un romanzo che ha fatto epoca nel contesto sociale in cui era calato, così attuale per le tematiche toccate ma di cui nelle scuole non si parla abbastanza, o per niente. Sibilla Aleramo si ritrova ad essere scrittrice in un contesto sociale di violento sessismo, in cui la cerchia di intellettuali era composta di soli uomini, che esercitavano un certo monopolio sulla cultura, perciò l’inserimento di un romanzo del genere in tale contesto fece storia. Conscia degli ostacoli e delle critiche che è destinata a ricevere in quanto donna in un mondo di uomini, Una donna è proprio il tentativo di risposta a una cultura patriarcale e oppressiva. Nel romanzo, la protagonista si ritrova a dover scegliere tra la vita familiare e la sua lotta per un mondo in cui vi sia spazio anche per l’identità e indipendenza femminile, tra l’essere madre e le sue aspirazioni personali. Per caso ti suona familiare? I suoi ideali e la sua fede nella libertà sono così forti che la porteranno a fare la scelta più difficile: abbandonare il figlio, ed essere il primo esempio di donna libera dall’oppressione maschile. Ed è così che Una donna diventa una lettera al figlio, affinchè lui possa un giorno capire le sue sofferenze e il perché della sua scelta.
Figlio, figlio mio! E suo padre forse lo crede felice! Egli arricchisce: gli darà balocchi, libri, precettori; lo circonderà di agi e di mollezze. Mio figlio mi dimenticherà o mi odierà. Mi odii, ma non mi dimentichi! E verrà educato al culto della legge, così utile a chi è potente: amerà l’autorità e la tranquillità e il benessere… Quante volte afferro il suo ritratto, in cui le fattezze infantili mi par che ora annunzino negli occhi il mio dolore, ora nell’arco delle labbra la durezza di suo padre! Ma egli è mio. Egli è mio, deve somigliarmi! Strapparlo, stringerlo, chiuderlo in me! … E sparire io, perché fosse tutto me! Un giorno avrà vent’anni. Partirà, allora alla ventura, a cercare sua madre? O avrà già un’altra immagine femminile in cuore? Non sentirà allora che le mie braccia si tenderanno a lui nella lontananza, e che lo chiamerò per nome? O io forse non sarò più… Non potrò più raccontargli la mia vita, la storia della mia anima… e dirgli che l’ho atteso per tanto tempo! Ed è per questo che scrissi. Le mie parole lo raggiungeranno.