Fui eo, madre, in civitate, vidi onesti iovene,…” (io andai in città, madre, vidi giovani onesti).
Questo è il reperto ritrovato e forse annotato da un monaco tra il IX E IL X secolo su un manoscritto conservato in Germania. Il testo, considerato il più antico verso della letteratura italiana, si trova all’interno di una pagina dell’opera delle Omelie nel libro dei Numeri di Origene e rivoluziona la produzione letteraria. Questa traccia trova la sua conservazione presso la sezione manoscritti della Biblioteca Universitaria di Wurzburg, una delle città più importanti della Baviera.
L’importanza della scoperta e la provenienza
Gli artefici del ritrovamento, lo storico della lingua italiana Vittorio Formentin, del dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università di Udine, e il paleografo Antonio Ciaralli dell’Università di Perugia sostengono che si tratta di una traccia di poesia, un verso iniziale di una chanson de femme. Precisamente è una forma lirica in cui il canto è intonato da parte di una voce femminile in una lingua diversa dal latino, più popolare.
C’è da aggiungere che affronta un genere che ha occupato sicuramente un posto molto importante nell’antica lirica romanza e che è sopravvissuto fino ad oggi nella poesia popolare moderna di tradizione orale. Che si tratti di un prototipo della lirica romanza? Lo spiegano i due studiosi Formentin e Ciaralli:
In effetti, metrica, lessico e tema – sottolineano Formentin e Ciaralli – trovano riscontri letterali in molti componimenti romanzi del Basso Medioevo, in particolare nelle cantigas de amigo galego-portoghesi del XIII e XIV secolo, anticipandoli però di parecchio». «Importantissimo l’aspetto linguistico: l’uso del plurale asigmatico “onesti iovene” in funzione di oggetto diretto dimostra che il verso è stato scritto in una varietà italoromanza. Questo lo rende al momento la più antica testimonianza poetica della nostra tradizione letteraria.
La provenienza del più antico verso della letteratura italiana è forse riconducibile all’Italia settentrionale, o meglio, a un’ampia area omogenea quanto a scambi culturali, che coinvolge la Francia orientale, la Baviera e l’Italia settentrionale.
Di cosa parla il più antico verso della letteratura italiana?
Essendo una poesia a tema amoroso, la protagonista femminile racconta alla madre di essere andata in città e di aver visto dei giovani di buoni costumi, onesti. La fanciulla, nella lirica romanza, ha solitamente una confidente, la madre, che assume quasi sempre il ruolo di consolatrice verso la giovane ragazza che si rivolge a lei come a confidarle i primi turbamenti amorosi.
Il progetto “Chartae Vulgares Antiquiores”
La scoperta eccezionale del più antico verso della letteratura italiana e il suo successivo approfondimento rientrano nelle attività del progetto “Chartae Vulgares Antiquiores”; la ricerca intende studiare le origini della tradizione scritta del volgare in area italiana tramite un’opera di censimento, riproduzione, edizione e commento delle testimonianze scritte più antiche (entro il sec. XIII) delle varie regioni, limitandosi ai testi schiettamente volgari. Verranno presi in considerazione ciascuno dei più antichi testi delle varie regioni d’Italia, approfondendone lo studio sotto il profilo paleografico e filologico.
La riproduzione fotografica dei testi, oltre alla funzione di supporto e riscontro all’edizione, ha anche l’intenzione conservativa di preservare manufatti spesso in precario stato di conservazione o a rischio di danneggiamenti, furti o smarrimenti.
Il progetto ha già fornito numerose interessanti rivelazioni: Nello Bertoletti, il terzo componente del progetto, ha scoperto recentemente e illustrato un Alleluja in volgare padano occidentale, probabilmente piacentino, della fine degli anni Trenta del ‘200, importante, tra l’altro, perché documenta un testo poetico noto attraverso la testimonianza di Salimbene de Adam, ma non altrimenti attestata. Con essa si espresse il movimento dei Penitenti attivo per tutto il XIII secolo. Una particolarità di questo testo è che esso è musicato.
Ecco un’importante riflessione di Antonio Ciaralli in un’intervista al giornale PerugiaToday:
C’è nella nostra società un profondo abbandono degli studi filologici che è un fatto gravissimo. Porta a perdere una tradizione fondamentale e ricca di grandi conquiste. Poiché si tratta di studi molto difficili, che richiedono vastissime competenze e soprattutto tempi molto lunghi – considera che abbiamo lavorato sul microtesto volgare per ben due anni – essi vengono reputati economicamente non produttivi.
Si preferiscono studi più rapidi in grado di dare risultati più immediati, più proficui dal punto di vista concorsuale e più redditizi dal punto di vista dell’immagine. I risultati ottenuti in questi anni dal Progetto hanno dimostrato che c’è ancora moltissimo da scoprire.