Di Alessandro D’Avenia non avevo ancora letto nulla se non i suoi articoli, curiosità e aspetti di lui che in tempi non sospetti mi avevano invece incuriosito.
Se lo cerchi via web lo puoi trovare sul suo blog Prof 2.0: ti appare subito la foto di un bel giovane biondo dagli occhi azzurri presentato come scrittore sceneggiatore, insegnante di grande successo.
In effetti, all’amore per la scrittura alterna quello per l’insegnamento, da lui stesso definito come il mestiere più bello del mondo. Ricordo alcuni suoi articoli sulla spiritualità, la sua profonda Fede, l’amore per l’insegnamento, il volontariato, la scelta del celibato.
“Ho scelto di dedicare la mia vita ai ragazzi, a scuola e nel volontariato. Mantenere il celibato è una decisione che ho maturato nel tempo. Non significa rinunciare all’amore, ma viverlo seguendo altre strade, quelle dove mi porta la mia passione, raccontare e ascoltare storie, a scuola, in teatro, nei libri”
Alessandro D’Avenia, il prof più amato d’Italia
Non mi ha sorpreso quando alcuni dei suoi romanzi sono stati anche adattati per il cinema, segno che qualcosa di importante era stato scritto. Probabilmente lo ricorderai anche tu: Bianca come il latte rossa come il sangue il romanzo d’esordio, io l’ho potuto apprezzare nella sua versione cinematografica, oppure L’arte di essere fragile, come Leopardi può salvarti la vita, un fenomeno editoriale ritenuto ancora oggi uno dei libri Mondadori più venduto. E li tra i miei libri, in attesa di essere letto.
Se hai avuto l’occasione di ascoltarlo magari in un’intervista o durante qualche talk show D’Avenia rivolge la sua attenzione alla scuola e principalmente ai giovani. Anche le storie che hanno animato i romanzi precedenti, se pur diverse tra loro come trama, sono legate da un solo linguaggio: la presenza di Dio, l’amore per la vita, l’essenziale, parlare al cuore dei giovani con la loro stessa lingua.
Alla luce di tutte le considerazioni, non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei ritrovata a recensire un suo libro e che questo mi avrebbe toccata nel profondo molto più di quanto potessi pensare. Sarà per i lunghi anni trascorsi nella scuola, i ragazzi che ho avuto il piacere di conoscere e dei quali ho condiviso le storie personali. Momenti che a distanza di anni sono rimasti intatti e che ancora mi emozionano.
L’appello è un’altra testimonianza del pensiero dello scrittore. Già il titolo mi ha fatto pensare che sarebbe stato un romanzo fuori dal comune così come la scelta meditata del nome e cognome del protagonista, Omero Romeo. Se ci fai caso Romeo è l’anagramma di Omero ( colui che non vede), un nome la cui etimologia ci riporta al grande poeta greco, autore dell’Odissea, ritenuto cieco e per questo fonte di grande saggezza.
Nel romanzo Omero è un insegnante di fisica, è cresciuto in una famiglia di acculturati, la madre è insegnante di latino e greco, il padre astrofisico, ha una moglie e due figli, la più piccola si chiama Penelope che lui però non ha mai potuto conoscere a causa di una improvvisa cecità.
È questo il quadro che si presenta al lettore dopo le prime pagine dell’introduzione, tra l’altro molto dettagliato e ben descritto. Omero è sempre molto attento a tradurre le origini delle parole, il loro significato, il primo tentativo di dare un senso interpretativo alla parola stessa.
Tutto però ha inizio quando viene chiamato come supplente ad accompagnare alla maturità una classe “particolare” di un liceo. Per tutti la cecità è un ostacolo all’apprendimento ma una volta in aula le cose prendono una piega diversa.
L’appello, “quando vuoi bene a qualcuno devi farti prestare i suoi occhi”
Da profondo conoscitore della realtà scolastica, D’Avenia reagisce, è in antitesi rispetto ai canoni asettici che regolano i rapporti personali. Anche Omero prende in mano la situazione. Indubbiamente, non vede ma è abituato a sentire e provare altre sensazioni e questo lo aiuta a superare la naturale diffidenza della classe.
Sceglie un approccio personale meno formale ma più empatico, un appello fatto al contrario, in cui riconoscersi per ricominciare ad ascoltarsi, guardare gli altri con uno sguardo diverso, meno distratto ma più attento.
“L’amore è più semplice di tutti i pensieri che abbiamo imparato a farci sopra. Parla una lingua banale : un gesto una parola, uno sguardo, una telefonata”
Elena Achille, Ettore Oscar, dieci ragazzi ognuno con il proprio nome da riscoprire ogni giorno, ognuno con ” il proprio buco nero” da raccontare, liberi di lasciarsi andare ai pensieri più nascosti, riaffiorare le sofferenze, cercando risposte fino allora evase. Perfino il silenzio parla al cuore delle persone
“Sono i silenzi in cui decidere chi vogliamo essere e diventarlo sono la stessa cosa”.
S0vvertire le regole renderà la vita difficile per tutti, soprattutto se i risultati vanno al di la dell’immaginazione. Il professore si deve difendere dalle contraddizioni del sistema, lo sfruttamento mediatico, il giudizio di chi non vuol vedere ma rimanere chiuso nelle proprie convinzioni.
“La scuola di oggi spinge a odiare un sapere che non serve a vivere meglio, dovrebbe serve un luogo dove imparare a discernere tra ciò che vale e ciò che non vale, ma si è ridotta ad un calderone di attualità e conformismo che non incide sulla vita quotidiana dei ragazzi”
Il messaggio di Alessandro D’Avenia è senza dubbio provocatorio, spinge ad andare oltre, non fermarsi alle apparenze ma migliorare le relazioni, credere nell’aiuto reciproco per uscire dalla cecità dell’anima,
“Dipende dalla libertà, da quanto amiamo e decidiamo di amare. Cogliere che cosa abbiamo in comune con una stella, con una farfalla, con un altro uomo e ampliare quel legame. Solo cosi la vita svela il suo mistero: non è vivisezionando che si scoprono le cose ma vivendo insieme a loro. Scoprire un aspetto della realtà è conoscere voi stessi perché per ricreare la vita bisogna prima accoglierla dentro di se.”
È senza dubbio un romanzo ben scritto e non potrebbe essere altrimenti, Alessandro D’Avenia conosce molto bene la materia e i trucchi del mestiere. Il suo è uno stile forte incisivo, privo di sbavature, va diritto al punto, non ammette errori ne distrazioni, sa come tenere alta l’attenzione del lettore. I dialoghi sono importanti, articolati e non sempre facili da seguire, vista la complessità degli argomenti di non sempre facile comprensione.
Il mio giudizio finale? Lo ammetto, mi ha commossa, non mi capitava da tempo. In quanto a Omero e i suoi ragazzi lascio a te l’onore e l’onere di chiudere il libro.