No, non ho sbagliato data. Sto solo anticipando di un giorno il ricordo di quell‘11 settembre 2001, rimasto nella memoria collettiva come la data di inizio di una nuova era. Vent’anni ormai sono passati dal giorno in cui le certezze e le sicurezze del mondo occidentale venivano scardinate dagli aerei kamikaze islamici scagliati contro le Twins Towers, le tristemente famose Torri Gemelle di New York. Da vent’anni si rinnova quella dolorosa memoria e, ad ogni anniversario, il mondo intero tutt’ora attonito si chiede come sia potuto accadere.
L’11 settembre 2001 è e rimane, uno di quei giorni impressi nella memoria collettiva: un giorno in cui le certezze di un’intera civiltà sono state scardinate e la presunzione di invincibilità è crollata miseramente davanti all’empirismo di un attacco a sorpresa. Un giorno, una data che ha aperto scenari diversi agli occhi allibiti e increduli di chi, ancora a distanza di vent’anni, non riesce a spiegarsi la tragica vicenda.
Un popolo, una nazione, un continente o se vogliamo l’intero pianeta, registra e conserva nel tempo giorni fausti o infausti, giorni di festa o di lutto, giorni di liberazione o di oppressione, giorni che in ogni caso hanno cambiato il corso della storia. L’11 settembre è inciso nella memoria collettiva mondiale come un giorno di sconfitta per l’occidente e la sua civiltà: le certezze sgretolate sotto l’azione di una follia religiosa che nulla ha di sacro. L’inattaccabile mito americano, con i suoi simboli e i suoi “status”, crolla sotto i colpi dell’integralismo islamico di Al-Qaida.
Memoria e poesia per l’11 settembre 2001
Fra le innumerevoli immagini che rimandano all’11 settembre, c’è una foto scattata da Richard Drew che cattura l’attimo in cui un uomo, nel tentativo di fuggire dall’inferno di fuoco della torre, si lancia a testa in giù precipitando nel vuoto. La foto, dal titolo The falling man, ha ispirato a Wislawa Szymborska i versi che ti propongo, versi che immortalano quel momento con vivide parole:
Saltarono dai piani in fiamme, giù
…uno, due, altri ancora
più in alto, più in basso.
Una fotografia li ha colti mentre erano vivi
e ora li preserva
sopra il suolo, diretti verso il suolo.
Ognuno di loro ancora intero
con il proprio volto
e il sangue ben nascosto.
C’è ancora tempo,
perché i loro capelli siano scompigliati,
e perché chiavi e spiccioli
cadano dalle loro tasche.
Essi si trovano ancora nel reame dell’aria,
entro i luoghi
che hanno appena aperto.
Ci sono soltanto due cose che posso fare per loro
…descrivere questo volo
e non aggiungere una parola finale.
Da quell’11 settembre 2001, niente è stato più come prima
Si è discusso e molto si è scritto sull’argomento: il mondo socio-politico e culturale si è interrogato, non senza sgomento, sulle cause, sugli effetti, sui modi e sulle possibili soluzioni da intraprendere per fronteggiare il fenomeno terrorismo che, da allora, ha sempre più messo sotto scacco la civiltà occidentale.
A tentare o meglio, a dare un’interpretazione plausibile dell’accaduto, ad illuminare un evento sul quale luce e chiarezza ancora latitano, provano da anni diversi scrittori, con inchieste e ricerche, ipotesi e romanzi, con racconti e storie di varia e comune umanità travolta da una tragedia che sconvolse lo scorrere normale dei giorni.
I morti, le vittime innocenti di un potere che con le sue dannate logiche-illogiche, si nutre di sopraffazioni e di stragi dove a soccombere sono sempre i più indifesi, appaiono a noi comuni mortali ignari e lontani dalle strategie politiche e finanziarie nazionali ed estere, come vittime sacrificali di un’assurda follia che assume a pretesto l’integralismo vestendosi di motivazioni religiose e nascondendo i reali motivi delle stragi che perpetra.
Le vittime restano, a distanza di vent’anni, vive nella memoria collettiva, come è vivo lo sgomento insieme alle mille domande che tentiamo di assolvere con informazioni e letture volte a non dimenticare quanto accaduto in quell’11 settembre del 2001. La poesia, come sempre, sintetizza in poche versi ciò che altri esprimono in migliaia di parole e sa scandagliare sentimenti ed emozioni che un fatto di tale portata, suscita nel profondo.
Termino così il mio ricordo di quel giorno, con i versi di Mario Luzi , immagine realistica del dolore per le vittime in contrapposizione a quel mondo altero, opulento e forte della sua presupponente inattaccabilità che crolla mescolando in una frenesia di morte il sangue arabo, ebreo, cristiano e indio: di fronte alla violenza e alla morte si livella e si annulla ogni differenza e contrapposizione.
Dimettete la vostra alterigia
sorelle di opulenza
gemelle di dominanza,
cessate di torreggiare
nel lutto e nel compianto
dopo il crollo e la voragine,
dopo lo scempio.
Vi ha una fede sanguinosa
in un attimo
ridotte a niente.
Sia umile e dolente
non sia furibondo
lo strazio dell’ecatombe.
Si sono mescolati
in quella frenesia di morte
dell’estremo affronto i sangui,
l’arabo, l’ebreo,
il cristiano e l’indio.
E ora vi richiamerà
qualcuno ai vostri fasti.
Risorgete, risorgete,
non più torri, ma steli,
gigli di preghiera.
Avvenga per il desiderio
di pace. Di pace vera.