Vite in attesa di Julia Sabina, tradotto da Claudia Marseguerra e Vera Sarzano edito da Garzanti è un testo fresco e che ti mette davanti a quelli che, spesso, rappresentano i classici dilemmi generazionali: cosa voglio fare da grande? È la strada giusta quella intrapresa?
Vite in attesa: siamo noi gli artefici della nostra vita
Sulla cover del libro possiamo osservare una giovane donna seduta a gambe incrociate su una poltrona con un calice di vino rosso tra le mani. Intorno a lei gli oggetti più usuali che puoi trovare in un’abitazione comune. Il suo braccio destro sostiene il capo, il suo sguardo è sereno, rilassato, come se ogni cosa abbia assunto la giusta collocazione.
Traslando l’immagine nella realtà potremmo dire che ciò forse rappresenta le nostre vite: bisognerebbe affrontare tutto con più calma, non sempre le cose riescono – o si ottengono – al primo tentativo.
Maribel, la protagonista della nostra storia, è una ragazza spagnola con il forte desiderio di evadere dalla sua terra natìa e calarsi in tutto e per tutto in un’altra realtà culturale.
«Era stato quel film a convincermi a chiedere la borsa di studio in Francia. In un momento di follia, mi ero detto anch’io potevo essere una dolce ragazza americana che vendeva giornali sugli Champs – Élysées.»
Grazie ad una borsa di studio, la ragazza fugge in Francia, non a Parigi però, bensì a Lille. Qui cercherà di integrarsi, di imparare a parlare quel francese fluente che – giustamente – i francesi conoscono così bene. La Francia sembra non volerla, pare infatti che la nostra Maribel non riesca a farsi piacere a questo Paese.
Lei però ama osservare: ammira i paesaggi francesi, scruta le vite degli altri, si sofferma a guardare cosa accade nelle case altrui, cerca la sua di casa perfetta; tuttavia, il motivo principale per il quale si è stabilita nella armoniosa cittadina francese, sembra sfuggirle di mano, pare che Maribel incappi in un ostacolo dietro l’altro.
Cosa farà a questo punto Maribel? Mollerà la presa oppure cercherà di arrivare a quel traguardo che la stessa si è prefissato?
Vite in attesa: non bisogna perdere di vista noi stessi, le nostre priorità e i nostri desideri
Il libro si compone di 27 capitoli di diversa lunghezza, al termine una breve conversazione con Julia Sabina che ci aiuta a capire che in fondo, questo romanzo, è quasi un po’ autobiografico, quantomeno per l’esperienza francese.
Il linguaggio è scorrevole, lineare e con sfumature di ironia, la narrazione si svolge in prima persona: proprio per tale ragione, essendo Maribel a raccontare, lo fa utilizzando una parlata giovanile, senza lesinare l’uso di termini diretti per indicare parti anatomiche del corpo umano o scene intime.
Il ritmo è costante: la nostra protagonista ci racconta quello che è un pezzo della sua vita, quindi non ci sono particolari accadimenti che rendano la storia un po’ più movimentata.
L’autrice, però, ci parla anche del modo di vivere e delle abitudini dei francesi, ci descrive luoghi e ciò aiuta ad intercalarsi nell’ambientazione.
Mi è piaciuto come l’autrice ha spesso indicato i protagonisti non chiamandoli per nome, ma con un appellativo
«Ancora non mi spiego come riuscì a farci accettare che l’avvocato di Parigi tenesse tutti i suoi mobili a casa nostra fino alla scadenza del contratto.»
Maribel è una ragazza che, trolley alla mano, quasi fugge dalla sua Spagna per raggiungere un’altra Nazione ed iniziare una nuova vita. Una ragazza coraggiosa, vestita di tante belle speranze; man mano che i giorni passano, essa prende contezza non solo di quella che è la vita francese, ma anche della realtà – vera – del mondo accademico.
Inizia quasi a dubitare di potere riuscire davvero nel suo progetto, quella sicumera che l’ha spinta a lasciare il suo Paese comincia a vacillare.
Sicuramente la storia raccontataci da Julia Sabina è intrisa di quella che è la vera realtà: sarebbe stato facile, e piuttosto fantasioso, se la nostra protagonista giunta in Francia avesse ottenuto tutto e subito.
Invece no, anche a lei sono state sbattute parecchie porte in faccia, anche lei ha avuto momenti di scoramento durante i quali ha creduto che la soluzione migliore – e sicuramente la più facile – sarebbe stata quella di mollare ogni cosa.
Tanti sono gli interrogativi che gravitano attorno a Maribel ed attorno a quella fase della vita dove non sai se ciò che stai facendo, che hai deciso di fare, sia quello che davvero volevi fare.
Siamo certi, però, che certe domande siano di esclusiva pertinenza dei più giovani? O forse, anche i più maturi, benché la loro vita si sia già formata, diciamo così, portano dentro di sé delle questioni irrisolte? Come ad esempio: è certo che quella scelta sia stata davvero quella giusta? Dove sarei e cosa farei adesso?
Intorno a Maribel gravitano parecchi personaggi, tutti particolari e con un loro modo di essere. Mi è piaciuta, nello specifico, Madame Berlane, per il suo essere quasi algida fuori, ma tenera dentro.
«Madame Berlane smise di picchiettare i fogli sul tavolo. Li appoggiò e si sedette. Guardò la foto con tenerezza, ma si ricompose immediatamente. Sapevo che vedersi giovane, con l’aria di chi ha i sentimenti a fior di pelle, l’aveva commossa nel profondo. Io la conoscevo più di quanto lei non conoscesse me…»
Il finale mi ha per certi versi spiazzata: mi aspettavo un epilogo diverso.
Questa conclusione è come se avesse lasciato Maribel lì ad aleggiare sul suo futuro e noi ad attendere di sapere cosa ne sarà della nostra protagonista, allo stesso tempo, però, è anche vero che questa scelta può lasciare al lettore la possibilità di pensare lui stesso a quello che sarà il futuro di Maribel, o anche, se vogliamo, a quello che sarà il futuro di ognuno di noi.
«Qualcosa di quel nuovo mondo cominciava già a far parte di me. Quando arrivai a Lille passeggiai per vie che solo due mesi prima non conoscevo. Strade di un grande fiume che era già parte della mia vita e da cui potevo lasciarmi trascinare.
D’un tratto la gente non era più in agguato. Non avevo paura e nulla mi minacciava. La mia pace era la pace del mondo. Non dovevo più adattarmi con la forza.»