Oggi, nella nostra rubrica Autori in tasca, incontreremo una figura di tutto spessore, un autore che si può tranquillamente considerare una pietra miliare della cultura – non solo letteratura – tedesca degli ultimi due secoli. Forse l’avrai già intuito: sto parlando di Thomas Mann.
Si tratta di un nome che tutti coloro che studiano tedesco – o che hanno avuto la fortuna di avere professori volenterosi di fare cappatine nelle letterature di altri Paesi – si trovano a incontrare. Non nascondo che può suscitare emozioni contrastanti – io stessa ammetto di avere un’opinione leggermente altalenante nei suoi confronti – visto che i suoi scritti contengono un forte spaccato della vita della società a lui coeva e, per questo, a volte sono così pregni di emozioni da risultare quasi angoscianti.
Tuttavia, Paul Thomas Mann (conosciuto, però, principalmente solo come Thomas Mann) fu uno degli esponenti più importanti della Kultur teutonica nei decenni a cavallo tra il 1800 e il 1900, ossia quel periodo chiamato anche Jahrhundewände. Egli venne persino insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1929.
Prima di addentrarci più approfonditamente nelle sue opere, però, parliamo un po’ di lui!
Thomas Mann: volto di un’epoca
Nato nella città anseatica di Lubecca nel 1875, Thomas Mann amò fin da piccolo ritirarsi nell’intimità dei libri e nella scrittura, dilettandosi nel mettere su carta alcuni racconti già in tenera età. Essendo figlio di un senatore e dirigente di un impresa di commercio, Thomas non poté che essere avviato a una carriera simile a quella paterna.
L’amore per la letteratura era però così forte che, a volte, tralasciava il lavoro scolastico in suo favore. Fu alla morte del padre e dopo aver raggiunto la famiglia a Monaco di Baviera, che i suoi scritti vennero notati e pubblicati. Iscritto all’università per studiare giornalismo, si diede di certo da fare, visto che tra il 1899 e il 1900 compose la sua prima – monumentale, se posso permettermi – opera, pubblicata l’anno seguente: Buddenbrook – Decadenza di una famiglia.
A questo primo lavoro ne fecero seguito molti altri: alcuni erano novelle o romanzi brevi – La morte a Venezia o Tonio Kröger – oppure romanzi coma La montagna incantata, che inizialmente dovevano essere molto più ridotti di quanto non fu la sua versione definitiva. Tuttavia, i quattro volumi appartenenti al ciclo Giuseppe e i suoi fratelli sono considerati tra i più importanti e riusciti.
Insomma, non ci volle molto prima che Thomas Mann venisse considerato – e lui stesso si considerasse – il Goethe del XX secolo. Aprendo solo una piccola parentesi, Goethe è uno tra i più grandi autori della letteratura tedesca (il nostro Dante o Manzoni, per capirci), autore di scritti come I dolori del giovane Werther, in cui tutti incappiamo studiando il Romanticismo (e da cui Foscolo ha probabilmente preso spunto per scrivere Le ultime lettere di Jacopo Ortis, viste le molte similitudini).
Thomas Mann a Roma
Eh sì hai capito bene. Visto che il fratello Heinrich abitava da qualche tempo a Roma, Mann decise di approfittarne e soggiornò da lui, prima per l’estate, trascorsa a Palestrina, salvo poi rimanere nella Città Eterna per un intero anno. In questo periodo di tempo, in cui risiedette in via di Torre Argentina, Thomas Mann non ebbe quasi nessun’interazione sociale. Come passava le sue giornate? Dedicò tutto se stesso alla lettura di grandi autori scandinavi e russi.
I Buddenbrook – Decadenza di una famiglia
Di tutte le opere di Thomas Mann, ho deciso di raccontarti qualcosa in più sulla sua prima corposa pubblicazione. “E perché proprio sul mattone dal mille pagine, invece di una novella?” Eh, lo so. Non si tratta certamente di un libro facile da leggere – e parlo anche per esperienza: un sacco di nomi, di fatti, di pagine, di discorsi filosofici.
Tuttavia, anche se vogliamo lasciare per un momento da parte la forte componente autobiografica (stessa città, stessa professione paterna, omonimia con uno dei personaggi principali), trovo davvero affascinate il ritratto che quest’opera fa della società borghese del tempo, componente critica compresa.
Il titolo non ci nasconde per nulla il tema centrale del romanzo (se si chiama Decadenza di una famiglia cosa vuoi che succeda?), ma vederlo accadere è tutta un’atra cosa. Assistiamo alla crescita dei personaggi, al loro sviluppo, alla loro disperata ricerca di un posto in cui inserirsi nella grande e celebre tradizione dei loro antenati. Proviamo con loro la fatica di non sentirsi il pezzo di puzzle giusto per quello spazio specifico; l’incapacità di uscire dal ruolo che tutti si aspettano si veder ricoperto (Thomas è sempre stato il commerciante; Christian è sempre stato il buffone; Toni è sempre stata la bimba di papà; Klara è sempre stata la figlia riservata e beneducata).
Un’atmosfera straziante e opprimente nascosta sotto la patina dei successi sociali e commerciali.
So che può sembrare tutto fuorché una lettura appetibile, ma fidati, almeno una volta ne vale la pena: dopo aver superato lo scoglio rappresentato da tre personaggi maschili con lo stesso nome (mi sono spesso chiesta anche io se tutti quei Johann avessero uno scopo più profondo del semplice confondere il lettore), la prosa di Thomas Mann cattura e avvolge. La dovizia di particolari fa immergere completamente nell’atmosfera dell’epoca. Le emozioni sembrano uscire dalle pagine e impregnarci, fino a diventare nostre.
Tuttavia, una sola cosa non posso perdonargli: perché, tra tutte le possibilità che c’erano, ha proprio dovuto far morire il mio personaggio preferito?!