Leggere, caro iCrewer, per me è sempre un’esperienza fenomenale, non solo perchè permette di distrarsi, di lasciare una quotidianità che non sempre s’identifica esattamente con ciò che si vorrebbe vivere in quel momento, con chi si vorrebbe essere, ma anche perchè dà la possibilità di immedesimarsi, o quanto meno venire a conoscenza, in punti di vista che prima forse non sarebbero nemmeno stati presi in considerazione.
Ovviamente, questo processo di accettazione di posizioni che non sarebbero normalmente nelle nostre corde varia da libro a libro, da storia a storia, ma non credo di dire un’eresia, quando affermo che a volte il personaggio che mi verrebbe da spalleggiare non è il protagonista, ma l’antagonista.
Questa è la magia del romanzo: appena pensi “ah no, quel personaggio proprio non lo sopporto”, puntualmente accade un fatto che ti fa fare un passo indietro e rimettere tutto in discussione.
Team protagonista o team antagonista: chi scegliere?
Credo che sia il caso di iniziare con una confessione: purtroppo, sono molti più i casi in cui ad attirare la mia attenzione è, chessò, il miglior amico del protagonista – o la migliore amica della protagonista – piuttosto che il personaggio principale di per sé. Non so spiegarti bene il motivo (non lo so spiegare nemmeno a me stessa, in realtà), però accade.
Spesso, infatti, finisco per avere l’impressione che colui – o colei ovviamente – su cui viene concentrato il focus del racconto sia presentato quasi come troppo perfetto. Mi sembra che in certe storie ci sia la tendenza ad ammantare il protagonista con una patina immacolata che lo rende pressoché irraggiungibile, o di costruirgli attorno una serie di circostanze che in qualche modo aiutino a condonare alcuni suoi atteggiamenti.
Un esempio che mi viene in mente è il tipico personaggio maschile di alcune categorie di romance: bellissimo ma freddo e maleducato. Nel corso della narrazione, però, si finisce per scoprire che dietro al suo comportamento si nasconde qualche trauma del passato. Come se uno non potesse avere lo stesso vissuto qualcosa di orribile, ma non per questo essere una persona altrettanto sfiancante.
Ovviamente, voglio chiarire che questa è la mia opinione, e che capisco benissimo il fascino e il ruolo che questi ritratti di uomini hanno. O di donne… facciamo così: ogni volta che scrivo protagonista intendendo maschile, tieni automaticamente conto che valga lo stesso discorso anche al femminile (altrimenti finirei per aprire parentesi ogni due parole, per specificarlo).
E poi c’è il protagonista che sopporto ancora meno: quello che potremmo spiegare con lo slogan di mia invenzione “ho ragione io, perchè la storia è fatta per farmi uscire vincitore“. Tutti quei personaggi che vorresti prendere per le spalle e scuotere forte, fino a quando le fette di prosciutto non cadono da davanti ai loro occhi e non si rendono conto che forse – ma solo forse eh – quella che il co-protagonista gli sta indicando da venti pagine potrebbe essere la strada giusta da percorrere.
Quindi forse, a questo punto, potresti avermi smascherata come non appartenente al team protagonista, e devo dirti che… in linea di massima è così. Non sempre, ovviamente, perchè la perfezione sta nell’equilibrio, ma è capitato un considerevole numero di volte che il cattivo mi abbia incuriosito più dell’eroe.
Credo che in parte sia una sorta di abitudine derivata dall’aver visto troppe puntate di anime come Naruto, My Hero Academia o Demon Slayer in cui il protagonista, poco prima di infliggere il colpo finale al suo avversario viene in qualche modo messo a conoscenza del passato di quest’ultimo (e oserei dire che i flashback sono posizionati a regola d’arte nel punto di maggior suspance). Dopo aver ascoltato storie strazianti, infanzie distrutte, torti immensi subiti che poi, sì, hanno portato l’antagonista a compiere azioni molto discutibili, di cui però si prende la responsabilità, come si può non affezionarsi almeno un po’ a lui?
Sono consapevole che la situazione è molto simile a quella del belloccio maleducato, però mi pare che nelle occasioni in cui mi schiero con il team oppost,o la trama scenda nel dettaglio e dia più sfumature rispetto alla possibile equazione trauma passato=intrattabile nel presente. Ad ogni modo, ripeto che è una mia impressione personale.
Oppure quei personaggi che inizialmente sono malvagi, ma che poi il protagonista riesce a convincere a cambiare schieramento (e alla fine muoiono otto volte su dieci, perchè l’universo ha deciso così). Ecco, è questa forse è la situazione che mi piace di più, perchè dimostra un’enorme capacità di cambiamento e dà voce all’assoluta verità, non sempre esplicitamente espressa, che il bianco e il nero non sono la normalità, quanto piuttosto rappresentazioni rare e occasionali. A dominare nella maggior parte dei casi – e delle persone reali – è il grigio.
Certo, poi quando incontro antagonisti che sono semplicemente cattivi, non vedo l’ora che il protagonista trionfi. Diciamo che, per usare una frase che iconica per si cimenta nell’apprendimento di lingue straniere – o altre discipline in cui è applicabile – si potrebbe proprio dire che “dipende dal contesto”.