La strage di Modica, avvenuta il 29 maggio 1921, rappresenta uno degli episodi più tragici e significativi nella storia dell’Italia del primo dopoguerra. Questo evento, radicato in un contesto di forti tensioni sociali e politiche, offre una chiave di lettura per comprendere il clima di violenza e instabilità che caratterizzò quegli anni.
Il contesto storico della strage di Modica
Nei primi anni Venti, l’Italia era attraversata da profonde trasformazioni sociali ed economiche. Il biennio rosso (1919-1920) aveva visto un’ondata di scioperi, occupazioni di fabbriche e proteste contadine, spingendo il paese verso una crescente polarizzazione tra le forze di sinistra e i movimenti reazionari. La Sicilia, in particolare, era una regione dove le lotte per la terra e i diritti dei lavoratori si intrecciavano con antiche dinamiche di potere e controllo mafioso.
Modica, città barocca nel cuore del sud-est siciliano, non era immune a queste tensioni. La lotta dei braccianti per migliori condizioni di lavoro si scontrava con l’ostilità dei proprietari terrieri e delle istituzioni locali, spesso complici nello schiacciare ogni forma di dissenso.
Cosa accadde il 29 maggio 1921?
La strage ebbe luogo durante un comizio organizzato dal Partito Socialista. L’evento si inseriva in una campagna elettorale già segnata da violenze e intimidazioni, orchestrate principalmente dai Fasci di Combattimento, il movimento paramilitare fascista. Durante l’assemblea, che radunava lavoratori, simpatizzanti socialisti e semplici cittadini, un gruppo armato di squadristi irruppe nella piazza principale.
Secondo le testimonianze dell’epoca, gli assalitori aprirono il fuoco indiscriminatamente sulla folla, causando numerosi morti e feriti. La brutalità dell’attacco fu tale da sconvolgere l’intera comunità. Le vittime furono principalmente lavoratori e contadini, simbolo di un popolo che lottava per diritti fondamentali come il lavoro e la dignità.
Le conseguenze della strage di Modica
L’impatto della strage di Modica si estese ben oltre i confini locali. Questo episodio divenne emblematico della strategia della violenza utilizzata dal nascente movimento fascista per sopprimere ogni forma di opposizione politica e sociale. La strage contribuì a intimidire ulteriormente i movimenti popolari, segnando una svolta verso l’affermazione del regime fascista in Italia.
A livello locale, la comunità di Modica fu profondamente segnata dal dolore e dal senso di ingiustizia. Le famiglie delle vittime rimasero spesso senza alcun sostegno, mentre i responsabili della violenza raramente furono perseguiti o condannati, grazie a una rete di complicità istituzionali e politiche.
La memoria della strage
Nonostante la sua importanza storica, la strage di Modica è rimasta a lungo un episodio poco conosciuto fuori dai confini della Sicilia. Negli ultimi anni, tuttavia, studiosi e attivisti locali hanno lavorato per riportare alla luce questa tragica vicenda, sottolineando il valore della memoria storica come strumento per comprendere le radici della violenza politica e sociale in Italia.
Ogni anno, il 29 maggio, la città di Modica ricorda le vittime con iniziative culturali e commemorazioni pubbliche. Questi momenti servono non solo a onorare la memoria di chi ha perso la vita, ma anche a riflettere sulle lezioni che questo tragico evento può offrire per il presente e il futuro.
Per approfondire: La strage di Modica (29 maggio 1921). Un caso irrisolto di cento anni fa
Per approfondire il tema ti consigliamo di leggere La strage di Modica (29 maggio 1921). Un caso irrisolto di cento anni fa, di Giovanni Criscione, edito da Sicilia punto L edizioni. Si tratta di un saggio storico riscopre un cold case di cento anni fa.
Tutto inizia da un dettaglio inquietante. Alcuni dei morti nello scontro con la forza pubblica e i fascisti durante una manifestazione socialista, il 29 maggio 1921, non figurano né nei registri cimiteriali né all’anagrafe. Questa scoperta è il punto di partenza del saggio La strage di Modica (29 maggio 1921) dello storico Giovanni Criscione. Da lì si snoda una lunga e appassionata ricerca archivistica e documentaria che intende far luce su un episodio oscuro della storia italiana. Oscuro non solo perché poco conosciuto, ma anche perché la vicenda è costellata di misteri e di silenzi. Esecutori e mandanti della strage sono rimasti nell’ombra.
Siamo in Sicilia, terra di contraddizioni, negli anni tra la fine della guerra e l’avvento del fascismo al potere. Roccaforte bolscevica e insieme avamposto fascista nel Sud d’Italia, il circondario di Modica, in provincia di Siracusa, fu teatro di sanguinosi scontri che lasciarono sul terreno una trentina di morti. Nel volume citato l’autore analizza l’episodio più grave. Il 29 maggio 1921 durante una manifestazione di protesta organizzata dal Partito socialista, scoppia un conflitto con le forze dell’ordine e i fascisti. Sul terreno restano 4 morti, altre 5 persone moriranno nei giorni successivi in seguito alle ferite riportate. Tutti i morti furono di parte socialista.
Il saggio si divide in tre parti. La prima illustra il contesto socio-economico, culturale e politico locale; le lotte dei contadini per la terra, la mobilitazione socialista, l’opposizione fascista e nazionalista; il ruolo ambiguo delle istituzioni e della forza pubblica, le campagne elettorali e la situazione dell’ordine pubblico, in base a inedite fonti d’archivio e giudiziarie.
La seconda ripercorre gli istanti di quel tragico 29 maggio come se fosse la scena di un film vista al rallentatore. La concentrazione dei lavoratori fin dalle prime luci del giorno alle porte della città, i comizi e il corteo, la dinamica dello scontro, i morti, le ipotesi sulla sparatoria, le storie delle vittime, il mistero sulla loro fine, le veline diffuse alla stampa dalla prefettura per accreditare l’ipotesi del “fuoco amico”. Quante furono le vittime? Quali sono i loro nomi? E le loro storie? Come è possibile che siano scomparsi dai registri e dagli archivi? Quali segreti si nascondono dietro quelle lacune? E ancora: chi sparò? Chi furono i mandanti? L’autore, attraverso l’analisi della documentazione custodita negli archivi, cerca di dare delle risposte ai suddetti quesiti, scontrandosi però con inspiegabili lacune e omissioni.
La terza ricostruisce la storia giudiziaria della strage: un’odissea lunga vent’anni, conclusasi senza un giudizio di colpevolezza che rendesse giustizia alle vittime. Dopo l’inchiesta ministeriale che assolse le forze dell’ordine da ogni accusa, nel dicembre 1922 la Corte di Assise di Siracusa mandò assolti gli imputati di omicidio, limitandosi a condannare due socialisti per reati contro l’ordine pubblico. Caduto il fascismo, nel 1945 il processo fu riaperto nell’ambito della legislazione contro i crimini del Regime. La Seconda sezione penale della Corte suprema di Cassazione stabilì che si era trattato di una strage fascista, ma confermò la sentenza di Siracusa e mise una pietra tombale sopra la possibilità di addivenire a una verità processuale. Lacune e omissioni nei registri e negli archivi, se da un lato impediscono di giungere alla verità, dall’altro rivelano una regia che coordinò le forze dell’ordine, insabbiò le indagini e garantì l’impunità ai responsabili.
«Non sarebbe azzardato definirla una “strage di Stato” – scrive l’autore – nella misura in cui fu compiuta con l’avallo e l’appoggio di uomini delle istituzioni e di dirigenti della forza pubblica, i quali favorirono e protessero i responsabili, rimossero i funzionari non allineati, orientarono le indagini e gli eventi nella direzione voluta da chi aveva organizzato la strage, nell’ambito di un più vasto disegno criminoso e reazionario». La vicenda, oltre ad apportare un contributo alla comprensione di quegli anni, evidenzia il divario tra l’apparenza e la sostanza effettiva di una democrazia, tra elezioni manipolate, limitazioni dei diritti, controllo della stampa, dipendenza della magistratura dalla politica. Un invito a non dimenticare e a comprendere come nasce una dittatura.