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Sport in book: Storia Reazionaria del calcio di Massimo Fini e Giancarlo Padovan

Donatella De Filippo 6 anni fa Commenta! 8
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I cambiamenti della società visti attraverso il mondo del pallone

Che il mondo e le sue regole abbiano preso strade diverse, è un dato di fatto. Lo ammetto, da sportiva della vecchia generazione, ho sempre pensato che lo sport fosse cultura, rispetto, se non l’unico mezzo per disfarsi dei pericoli del progresso, l’ancora di salvataggio buttata in un mare di modus vivendi ormai fuori controllo a cui spaventati e forse, ormai rassegnati, assistiamo quotidianamente. Eppure non mi va bene. Non mi sembra giusto che l’unica possibilità di conservare l’integrità possa dissolversi a scapito di una generazione che, invece, sta imparando il non vivere civile e che, dagli esempi negativi, ne assorbe tutt’altra aria. Come è un dato di fatto che le difficoltà di gestione delle realtà sportive vadano di pari passo con quelle ormai radicate di una società immobilizzata nelle sue difficoltà e nel desiderio velato di uscirne, fuori troppo spesso, in modo lontano dalla legalità.

La mia impressione è che siamo ormai, incapaci di guardare indietro e di fare tesoro di un passato ancora legato ad esempi di dignità e onesta sportiva. Il calcio, purtroppo, ne è un esempio lampante. Un movimento sportivo intorno al quale girano interessi ormai fuori da ogni controllo, non è testimone di spessore culturale e identitario, anzi, è catalizzatore di malumori sociali che poco hanno a che fare con valori di aggregazione. Non è facile riflettere su dinamiche così palesi, ma se queste arrivano da penne illustri allora vuol dire che un fondo di verità esiste.

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La protesta più forte arriva con le riflessioni di due giornalisti importanti, due penne di qualità nel mondo del giornalismo sportivo davanti al quale m’inchino e con i quali condivido i timori e i pensieri. Storia reazionaria del calcio edito da Marsilio, raccoglie le riflessioni non certo positive di due esimi giornalisti Massimo Fini e Giancarlo Padovan che, devo dire, non sono andati tanto per il sottile.

Non abbiamo bisogno di ribelli, scrive Massimo Fini, ma di rivoluzionari.

Riflessioni dure perchè “il troppo stroppia sempre.” Fomentare per risolvere è fuori da ogni logica e se a farlo è un sistema radicato su presupposti legati alla commercializzazione dello sport più amato nel mondo, vuol dire che i criteri sui quali sono state poste le basi per tutelare e aggregare ora, inevitabilmente, dividono anche in termini di intolleranza. E questo, credo, la dice lunga su quello che è la risposta della società in termini di rifiuto della realtà stessa. Insomma “il calcio come lo specchio della nostra società”! Mi chiedo, Siamo ad un punto di non ritorno? O abbiamo ancora la possibilità di guardare, paradossalmente, al passato per ritornare a respirare un futuro diverso, magari passando per una riconversione del sistema?

Il libro dei due giornalisti lo spiega molto bene…

“l calcio, come la musica, come le arti in genere, è uno specchio, e non dei più marginali, della società, dei suoi cambiamenti, delle sue trasformazioni, della sua evoluzione o involuzione. Massimo Fini e Giancarlo Padovan lo affrontano da questo particolare punto di vista. C’è un’enorme differenza fra come si intendeva il calcio, sia in senso tecnico che, soprattutto, sociale nei più semplici e naïf anni Sessanta e come lo si vive oggi che sul campo hanno fatto irruzione l’economia e la tecnologia (televisione, moviola, Var), le divinità dominanti della nostra società a cui tutto, a cominciare dall’uomo, viene dato in sacrificio. Naturalmente questo discorso sostanzialmente filosofico passa qui, vista la materia che i due autori si sono scelti, anche per il racconto di partite, di gol, di azioni spettacolari, di giocatori, di uomini, di emozioni e di sentimenti, vissuti sul campo e fuori dal campo. Il libro dovrebbe appagare quindi anche le curiosità e le rivalità, che del calcio sono l’anima, dei tifosi oltre che di coloro che lo guardano da più lontano. Si tratta insomma di un libro per tutti e non solo per addetti ai lavori.”

Credo sia importante leggerlo, perchè il pensiero di pochi possa essere fonte d’ispirazione per la riflessione e una inversione di tendenza per i molti, me lo auguro davvero!

Conosciamoli meglio i due autori…

profile imageGiancarlo Padovan ha 59 anni e dal 1982 è giornalista professionista. Ha lavorato al Mattino di Padova, a la Repubblica e al Corriere della sera dove è stato prima firma del calcio fino al 2002. Ha diretto Tutto sport, il Corriere di Livorno, il settimanale Calcio GP e la televisione nazionale Agon Channel, prodotta in Albania. Docente a contratto all’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano, insegna Teoria e tecniche dell’informazione sportiva. È allenatore di calcio (Uefa B) e ha guidato per tre stagioni il Torino Femminile in serie A. Attualmente è opinionista di Sportitalia, di Radio Sportiva e di Calcio mercato.com.
“Ci sono molte cose che nella mia vita che non avrei mai pensato di fare e che alla fine ho fatto”, dice di se Massimo Fini, “sono nato giornalista e pensavo che sarei morto giornalista ma a poco a poco una emarginazione silenziosa, sottile, felpata, mi ha costretto nell’angolo della professione. Il mio torto, inescusabile in una società come la nostra, era quello di rifiutare patiti e fazioni, lobbies e correnti e di non accettare sottomissioni umilianti. Mi sono messo allora a scrivere libri e sono diventato uno scrittore…”
Massimo Fini, di padre toscano e madre russa, è nato sul lago di Como nel ’43. Dopo la laurea a pieni voti in giurisprudenza, ha lavorato come impiegato alla Pirelli, copywriter, pubblicitario, bookmaker, giocatore di poker. Arriva al giornalismo nel 1970 all’Avanti.
Nel 72, passa all’Europeo di Oriana Fallaci, nell’82, entra al Giorno di Zucconi, come inviato ed editorialista, viaggiando per tutto il mondo, nell’85 rientra all’Europeo e nel 92 lascia il Giorno per l’Indipendente di Feltri. 
Attualmente lavora per il “Fatto quotidiano“, il “Gazzettino,” e dirige il mensile “La voce del ribelle” con la collaborazione di Valerio Lo Monaco. Ha partecipato, insieme a Daniele Vimercati, alla rifondazione del “Borghese”, storico settimanale fondato da Leo Longanesi.

 

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