Per la rubrica Spazio ai classici, ho deciso di parlarti di uno dei miei libri preferiti: I fratelli Karamazov, scritto dal grande Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
Per motivi di studio, mi capita frequentemente di avere a che fare con le grandi opere della letteratura straniera, prima ancora di quella italiana, e fra di loro, questo romanzo russo mi ha proprio rubato il cuore. È una storia così intricata, lunga e complessa, che le perdono le mille e più pagine necessarie per raccontarla (non ho nulla contro i volumi sostanziosi, anzi, ma a volte, quando sei stretto con i tempi, preferiresti che ci fossero alcune centinaia di facciate in meno). Ne ho parlato così tanto, ho lodato così a lungo Dostoevskij, che alla fine un’amica ha finito per regalarmi questo volume (devo averla sfinita!).
Tuttavia, per quale motivo quest’opera, scritta dall’autore russo tra il 1878 e il 1880, è per me ancora così attuale?
I fratelli Karamazov: contemporaneità d’altri tempi
Prima di essere uno dei grandi capolavori della letteratura russa dell’800, prima di essere uno dei romanzi di maggior successo di Dostoevskij, I fratelli Karamazov è uno splendido giallo.
Sì, hai capito bene: un giallo. Tra sermoni religiosi, racconti filosofici, poesie improvvisate, a mettere davvero in moto la vicenda è un omicidio. La vittima è Fëdor Pávlovič Karamazov, padre dei tre fratelli che ti introdurrò a breve e, in qualche modo, vero antagonista della vicenda. Sono stati i suoi comportamenti lascivi e discutibili, infatti, che non solo hanno deteriorato il suo rapporto con la prole, ma anche a segnarne la condanna.
Tuttavia, a differenza di quanto accade in Delitto e castigo, in cui siamo a conoscenza del colpevole fin dall’inizio (dopotutto, è il protagonista dell’opera), in quest’altro volume i nodi si scioglieranno solamente molto in là nella narrazione. Certo, non si può esattamente dire che la suspance permei ogni parola del racconto, vista la quantità di altri avvenimenti che vi hanno luogo, ma sicuramente il tarlo del dubbio, la voglia di scoprire il colpevole, non fa che aumentare (io non avevo proprio capito chi era stato e come).
È proprio durante le indagini, durante la smaniosa ricerca dell’assassino, che il lettore conosce meglio le figure che si muovono nell’occhio del ciclone: i fratelli Karamazov.
Tre personaggi per racchiudere l’essenza dell’uomo
Leggendo dei saggi critici, un concetto in particolare mi ha colpito nel profondo: i tre fratelli come espressione dell’essenza, delle sfaccettature dell’uomo. Riflettendoci, mi sono resa conto che è proprio così, che questi uomini, così diversi tra loro, quasi inconciliabilmente distanti, non sono che alcune facce dell’essere umano.
Dmítrij Fëdorovič Karamazov è il più grande. Figlio di primo matrimonio, egli è “passionale e istintivo“, una vera testa calda che non sopporta nemmeno la vista del padre. È la parte di noi più irascibile, pronta a colpire una frazione di secondo dopo essere stata attaccata. Si potrebbe quasi dire che si tratti dell’istinto di sopravvivenza: non si fa tante domande sul perchè o per come qualcuno ce l’abbia con lui, pensa solo a uscirne vincitore. Se dovessi descriverlo con un colore, sarebbe sicuramente rosso.
Eppure Dmítrij non è capace solamente di emozioni negative; anche il suo amore è altrettanto ardente. Farebbe di tutto per la donna per cui ha perso irrimediabilmente la testa, e non dimentica di offrire la sua protezione anche al fratellino più giovane.
Se Iván Fëdorovič Karamazov fosse una tinta, sicuramente sarebbe un azzurro chiarissimo, simile al ghiaccio. “Ateo e celebrale“, è sicuramente la parte di noi più logica, più pragmatica. La sua mente analitica è sempre attiva, si pone miriadi e miriadi di domande, non riesce a darsi pace. Iván riflette, pensa, pondera, elabora fino al momento in cui non si sente soddisfatto della conclusione a cui è giunto, anche nel caso in cui essa sia in contrasto con la morale collettiva. È tenace e calcolatore, ma anche pronto a correre rischi per aiutare coloro a cui tiene.
L’ultimo tra i fratelli Karamazon è Alekséj Fëdorovič, il verde, “angelico, purissimo” Alëša. In lui ritroviamo l’ingenuità, la capacità di amare senza condizioni, di offrire una possibilità anche a chi pare non se la sia meritata. Non a caso, egli è l’unico che riesce a convivere con il padre.
Gli occhi di Alëša non sono velati da preconcetti: egli osserva con sincerità tutto ciò che lo circonda, facendo del suo meglio per prestare soccorso, per dire una parola gentile a chiunque ne abbia bisogno. È benvoluto da tutti e nessuno vorrebbe fargli del male.
C’è, poi, un quarto personaggio molto importante: Smerdjakòv, il cuoco storpio. Tuttavia, siccome so bene cosa si provi a iniziare la lettura di un’opera di cui ci è già stato svelato uno degli snodi principali, ti lascio scoprire da sola di chi si tratti.
Spero di aver stimolato la tua curiosità. Se deciderai di intraprendere questa lettura, fammi sapere cosa ne pensi!