Caro Icrewer,
bentornato all’appuntamento odierno con Spazio ai Classici! In questi tempi difficili e un po’ bui ho voluto presentarvi un grande classico della letteratura novecentesca: Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut.
Un romanzo di fantascienza, all’apparenza, che affronta tematiche importanti come gran parte della letteratura del periodo: la precarietà dell’esistenza, la frenesia della vita moderna, il limite sottilissimo tra follia e ragione. Su tutte, però, domina l’assurdità della guerra.
Scopriamo insieme di cosa si tratta!
Mattatoio n. 5: la trama
Durante la seconda guerra mondiale l’aviazione tedesca ha bombardato e devastato decine di città. Ma non sono stati gli unici. Nel 1945, infatti, sono stati gli inglesi a bombardare per un giorno intero la città tedesca di Dresda, radendola completamente al suolo e provocando migliaia di vittime.
L’autore, Kurt Vonnegut, ne è stato testimone. La sua famiglia, di origine tedesche, era emigrata in America molto prima della guerra. Vonnegut, infatti, nacque a Indianapolis, in Indiana, nel 1922. Poco più che ventenne lasciò gli studi per arruolarsi come volontario nell’esercito alleato.
Fatto prigioniero venne trasportato in Germania, nella città di Dresda dove assistette al bombardamento da parte delle forze inglesi. Riuscì a sopravvivere solo perché trovò rifugio in una grotta all’interno di un mattatoio.
Vonnegut, che in Mattatoio n. 5 fa da narratore, ha impiegato più di 20 anni prima di decidere di scrivere un libro, scrive all’inizio del libro:
Non vi dirò quanto mi è costato, in soldi, tempo e ansietà, questo schifoso libretto. Ventitré anni fa, quando tornai a casa dalla Seconda guerra mondiale, pensavo che mi sarebbe stato facile scrivere della distruzione di Dresda, dato non avrei dovuto fare altro che riferire ciò che avevo visto. E pensavo anche che sarebbe stato un capolavoro o per lo meno che mi avrebbe fatto guadagnare un mucchio di quattrini, dato che il tema era così forte. Ma allora non mi venivano molte parole da dire su Dresda, o almeno non abbastanza da cavarne un libro. E non me ne vengono molte neanche ora.
Mattatoio n. 5, infatti, racconta, in maniera romanzata quell’esperienza, attraverso il personaggio di Billy Pilgrim, alter ego dello stesso autore.
Anche Billy, infatti, sopravvive al bombardamento di Dresda rifugiandosi in un mattatoio della città da cui emerge ritrovandovi solo macerie e morte. Billy impiegherà molto tempo per riprendersi e diversi anni di terapia in una clinica psichiatrica.
Lentamente riprende il corso della sua vita trasformandosi nel cittadino americano medio: un inetto, anonimo e stereotipato come tanti uomini del suo tempo.
Ad un certo punto Billy viene rapito dagli alieni che lo trasportano sul pianeta di Tralfamadore dove viene rinchiuso in una specie di zoo per il divertimento degli abitanti extraterrestri. Dopo altre rocambolesche vicende e nuove disgrazie da affrontare, Billy viene ucciso da un uomo persino più pazzo di lui.
Le cicatrici della guerra
Kurt Vonnegut sceglie di raccontare la traumatica esperienza del bombardamento di Dresda in una maniera diversa, più surreale e a tratti grottesca. Non si focalizza tanto sull’evento in sé, quanto piuttosto su ciò che rimane e su ciò che la guerra lascia in chi l’ha vissuta.
Mattatoio n. 5 è la trasfigurazione letteraria dell’ansia e dell’inquietudine che l’autore si è portato dietro tutta la vita. Non c’è un vero e proprio messaggio etico dietro le avventure di Billy Pilgrim che, tuttavia, non può non suscitare alcune domande e riflessioni nel lettore.
Tutte le guerre, sembra suggerire Kurt Vonnegut, anche quelle che possono risultare “giuste” come quella contro i nazisti, non possono non comportare una crisi della ragione, una violazione dei diritti umani ed infine, una perdita di significato della vita stessa.
Kurt Vonnegut non fa sconti. In Mattatoio n. 5 descrive allo stesso modo tanto gli Alleati che hanno bruciato Dresda, quanto le forze tedesche che lo hanno fatto prigioniero. Se ha deciso di raccontare la sua esperienza attraverso la lente fantascientifica del romanzo, è per poter lanciare una domanda provocatoria al pubblico del suo tempo: è giusto rispondere ai bombardamenti con altri bombardamenti? È giusto rispondere allo sterminio con altre stragi?
Vonnegut non dà giudizi né una risposta esplicita. Ma forse è il caso di tornare a porsi, di nuovo, le stesse domande. Come dice Vonnegut simbolicamente sia all’inizio che alla fine del libro:
Non c’è nulla di intelligente da dire su un massacro. Si suppone che tutti siano morti, e non abbiano più niente da dire o da pretendere. Dopo un massacro tutto dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre, tranne gli uccelli. E gli uccelli cosa dicono? Tutto quello che c’è da dire su un massacro, cose come “Puu-tii-uiit?”