L’appuntamento odierno di Spazio ai Classici ho voluto dedicarlo a L’uomo illustrato (nella più recente edizione di Mondadori) di Ray Bradbury, uno degli autori più visionari del Novecento e dal talento, oserei dire, quasi… “profetico”.
Sicuramente lo conoscerete per i suoi libri Fahrenheit 451 o Cronache marziane, romanzi intramontabili nel panorama internazionale recente.
Tuttavia, come sono solito fare, preferisco presentarti un “classico meno classico”. L’uomo illustrato, infatti, non ha nulla da invidiare alle opere più note di Bradbury, anzi!
Trattandosi di un’antologia di racconti più che di un romanzo vero e proprio, qui l’autore ha la possibilità di esplorare mondi e tematiche diverse e di analizzarle da mille punti di vista differenti.
Se queste premesse ti hanno intrigato mettiti comodo e preparati a scoprire di più su quest’opera dal fascino ipnotico.
L’uomo illustrato: una sinossi
Ho detto che questa è un’antologia di racconti e, come tale, sarebbe difficile e riduttivo parlare di una vera e propria “trama”.
Tuttavia la struttura di questo libro è affascinante perchè va al di là della semplice giustapposizione di raccontini e novelle una dietro l’altra.
Nel prologo iniziale, infatti, ci viene presentato uno strano personaggio, l’uomo illustrato che dà il nome al libro stesso.
Si tratta di un uomo il cui corpo è stato completamente rivestito di tatuaggi da una strana strega che diceva provenire dal futuro.
Questi tatuaggi sono come una maledizione per l’uomo. Infatti se durante il giorno riesce, talvolta, a lavorare come attrazione circense, non appena cala il sole questi tatuaggi cominciano a muoversi spaventando a morte la gente che gli sta attorno.
Ed è così che prendono vita i diciotto racconti inseriti nell’antologia, storie che vengono scritte direttamente sulla pelle di questo misterioso uomo illustrato.
Astronavi, pianeti sconosciuti, astronauti alla conquista dell’universo…queste storie si dipanano tra mondi sconosciuti e tecnologie avanzatissime che oltre al loro fascino avanguardistico denunciano le difficoltà di una società sospesa tra presente e futuro.
Al prologo iniziale si ricollega l’epilogo finale in cui un uomo, mentre osserva i tatuaggi sul corpo dell’uomo illustrato, vede scampoli del proprio futuro. Un futuro ombroso e nefasto che lo costringe alla fuga.
Ray Bradbury, il maestro della fantascienza
Ray Bradbury è, probabilmente, insieme ad Isaac Asimov il maestro indiscusso della fantascienza, un genere troppo spesso bollato come artificioso e infantile.
Tuttavia, leggendo L’uomo illustrato, così come qualunque altra opera di Bradbury, ci si può rendere conto di quanto questo genere sia sottovalutato.
Non si tratta soltanto di acchiappare l’attenzione del lettore con supertecnologie, astronavi e pianeti lontani in un universo popolato da creature che difficilmente potremmo conoscere.
Bradbury sfrutta tutti questi elementi per offrire degli spunti di riflessione sulla nostra società presente cosicché essa possa affrontare il futuro che prende vita tra queste pagine con maggiore consapevolezza.
Tra i tanti temi trattati c’è sicuramente il rapporto tra uomo e tecnologia. Molti dei racconti de L’uomo Ray illustrato sono state scritti nel 1951 ma ambientati tra gli anni 2010 e 2020, un futuro che allora appariva lontanissimo ma che rappresenta, invece, il nostro presente.
Ecco che, dunque, queste storie assumono per noi un significato paradigmatico e speciale. La tecnologia è descritta come uno degli strumenti più intriganti ed efficaci a disposizione dell’uomo ed è presentata spesso con meraviglia e incanto.
Razzi in grado di portarci su altri pianeti, tecnologie che ci permettono di scoprire segreti altrimenti inaccessibili e intelligenze artificiali in grado di intuire e soddisfare ogni nostro bisogno.
Bradbury non critica il progresso e queste tecnologie ma si domanda: riuscirà l’essere umano a gestire tutto questo senza perdere la propria umanità?
Il racconto Il veldt è ambientato in una casa domotica nella cui “stanza dei giochi”, l’intelligenza artificiale ricrea qualsiasi scenario e ambiente partito dalle menti dei due ragazzini che vi giocano.
Questa stanza, pensata per dare sfogo all’immaginazione dei bambini, finisce per prendere il sopravvento generando ambienti selvaggi e distruttivi come la savana africana.
Il “tecnico” chiamato per intervenire spiega al padre dei bambini:
Hai permesso che la stanza e la casa sostituissero te e tua moglie nell’affetto dei ragazzi. La stanza dei giochi è diventata madre e padre, e nelle loro esistenze è molto più importante dei genitori autentici. Ora minacci di chiuderla, non mi meraviglia che l’ambiente sia saturo d’odio.
Il problema non è dunque la tecnologia, che in sé non è né positiva né negativa, ma di coloro che la usano.
Tra fiducia e disincanto per l’umanità
E così la prospettiva si rovescia tanto che ne L’uomo illustrato ad essere indagata non è tanto la tecnologia o il progresso ma l’essere umano.
L’uomo, del resto, è una creatura ambigua e sfuggente. Da una parte è colui che ha permesso (e permetterà) lo sviluppo di queste meravigliose invenzioni…
Ma d’altra è colui che progetta guerre e invasioni (come nel racconto La città oppure in Ora zero) o che non riesce a far altro che abbattere o denigrare ciò che è diverso.
Emblematico è il racconto La prossima mano ambientato su Marte i cui abitanti sono persone di colore che hanno lasciato la Terra diversi anni prima.
Qui, dopo molti anni, giunge il primo uomo bianco che rivela che la Terra è stata distrutta da una guerra atomica. Le reazioni sono contrastanti: c’è chi non esita a proporre divieti, ghetti o addirittura minaccia di sterminarli del tutto e chi, invece, mosso da pietà e generosità si dichiara pronto ad accoglierli.
Bisogna dunque fidarsi dell’uomo? Confidare che in futuro riuscirà a guardare indietro e imparare dai suoi errori per progettare un futuro migliore?
Ne l’Uomo illustrato Ray Bradbury non dà una risposta chiara ma lascia al lettore il compito di rispondere a questa complicata domanda. Le chiavi di lettura, insomma, sono tante e nessuna è davvero giusta o sbagliata.
Vi lascio con un’ultima chicca, contenuta nel racconto L’ultima notte del mondo in cui tutte le persone del mondo hanno un sogno comune che sentono come premonitore: durante la notte il mondo sarebbe finito.
E queste sono le amare riflessioni di una coppia che si domanda se il genere umano meriti una fine simile:
«Ce lo meritiamo?» disse lei.
«Non si tratta di meritarlo, è che le cose non hanno funzionato.» […]
«Ma non siamo stati troppo cattivi, no?»
«Nemmeno troppo buoni. Immagino sia questo il guaio, non siamo stati altro che noi stessi, mentre in gran parte del mondo succedevano cose orribili.»