Oggi torniamo a parlare di Luigi Pirandello ma non dei suoi romanzi o delle sue opere teatrali, bensì delle sue Novelle per un anno.
Quest’opera, infatti, raccoglie tutta la sua produzione novellistica (Pirandello scrisse racconti durante tutta la sua vita) e per questo motivo sono una sorta di riassunto della sua vita e di tutte le poetiche che l’hanno attraversata.
Se sei interessato a scoprirne di più, allora mettiti comodo e goditi il resto!
Novelle per un anno: il progetto, la trama e la struttura
Pirandello aveva già pubblicato diverse raccolte di novelle quando, nel 1922, decise di inserire tutte quelle scritte in passato in una nuova opera, più organica, a cui avrebbe aggiunto anche i racconti che stava scrivendo e quelli che avrebbe composto in futuro.
Prendendo a modello il Decamerone di Boccaccio, progettò di scrivere un’opera che avrebbe raccolto circa 360 novelle, all’incirca una per ogni giorno dell’anno.
La morte purtroppo gli impedì di completare l’opera e le Novelle per un anno rimasero ferme al loro quindicesimo volume per un totale di circa 251 novelle.
La loro struttura è molto particolare. A parte il progetto iniziale, non sembra esserci nessun altro criterio organizzativo. Pirandello, infatti, ha raggruppato le novelle apparentemente alla rinfusa, mischiando in maniera del tutto casuale, racconti scritti in giovane età a novelle scritte quando era già ormai un letterato affermato, senza rispettare alcun ordine cronologico né tematico.
Questa organizzazione caotica e casuale riflette in realtà la visione disincantata e assai critica dell’autore nei confronti della realtà: la stessa che governa i suoi romanzi e opere più celebri.
Le Novelle per un anno, infatti, sono un’opera labirintica in cui è impossibile trovare un ordine e una morale universale. L’unico filo conduttore è il senso di smarrimento, la mancata capacità dei protagonisti dei racconti (e dei loro lettori) di riuscire a riconoscersi o collocarsi in un mondo che non sembra fatto per noi.
Dalle campagne selvagge e isolate della Sicilia alle strade e agli uffici asettici e sterili delle grandi città; dalle famiglie di semplici e poveri contadini alle classi nobiliari e alto-borghesi con tutte le loro assurde convenzioni e i loro riti; non importa il luogo o l’identità dei personaggi, il loro tentativo di dare un senso alle loro vite risulterà sempre vano e, anzi, a volte persino dannoso!
Novelle per un anno: umorismo, surrealismo ed evasione
L’abilità di Pirandello come autore di racconti è tanto straordinaria da averlo reso uno dei maestri indiscussi della novellistica italiana.
Le Novelle per un anno sono una miniera inesauribile di splendide perle, alcune divertenti, altre più profonde e altre ancora persino inquietanti!
Ecco alcuni di questi “gioielli”:
In Tu ridi Pirandello fa sfoggio del suo proverbiale umorismo. Il signor Anselmo è un impiegato costretto ad una vita ripetitiva e schiacciato da una moglie isterica e dalle incombenze delle nipotine rimaste orfane. È proprio la moglie a rimproverarlo di non darle pace perché il marito ride continuamente nel sonno.
Anselmo però, non se ne preoccupa. Crede infatti di ridere perché sogna qualcosa di divertente e si convince che la natura voglia, seppur soltanto in sogno, alleggerire il peso della sua vita penosa.
Una mattina però ricorda improvvisamente il sogno che lo fa ridere: un suo collega d’ufficio perseguitato comicamente dal suo capufficio.
La conclusione è certamente comica, ma fa anche riflettere: la natura non è affatto benigna e non consola affatto il signor Anselmo ma anzi si fa ulteriormente beffe di lui. Vedendosi riflesso nel sogno come in uno specchio, Anselmo realizza di non avere scampo neanche quando dorme perché, in fondo, il sogno stesso non è che una ripetizione della sua triste realtà.
Il tema della risata ritorna ancora, sotto una nuova veste, nella novella C’è qualcuno che ride. Qui non c’è nulla d’umoristico, anzi! In un’atmosfera surreale e angosciante Pirandello descrive un enorme salone dove si tiene una di quelle seriose feste dell’alta società dove tutto sembra finto e sa di ipocrisia.
In mezzo a quella serietà imposta dalle convenzioni si avverte all’improvviso qualcuno che ride. E quella risata, così pura e genuina, stride e disgusta gli invitati che si guardano attorno alla ricerca degli intrusi. Si tratta di una famiglia di campagnoli, un padre e i suoi figli.
I capi della comunità, allora, mettono in scena una minacciosa parodia: circondano la povera famigliola e li sbeffeggiano con una risata corale, talmente inquietante da costringerli ad una fuga precipitosa.
La critica ha pensato che Pirandello volesse denunciare il conformismo e la tirannia della nascente dittatura fascista (questa novella è stata scritta negli anni Trenta). Ma certamente non bisogna andare tanto lontano per accorgersi di come, ancora oggi, la società tenda ad escludere brutalmente chiunque abbia una voce diversa dalle altre.
E per concludere questa breve rassegna delle Novelle per un anno, vi segnalo uno dei racconti più famosi: il treno ha fischiato.
Il protagonista è ancora un semplice impiegato, Belluca, costretto ad una vita monotona e opprimente. In ufficio è continuamente vessato dai colleghi, mentre a casa deve badare alla famiglia che si affida interamente a lui.
Ogni giorno subisce le angherie del mondo in silenzio fino a che, una mattina, si ribella al suo capo e viene portato in manicomio. La sera prima, infatti, aveva sentito un treno fischiare e quel suono gli aveva spalancato le porte di un mondo lontano di cui ignorava l’esistenza.
La routine e le difficoltà della vita ci rendono spesso delle macchine che ripetono inesorabilmente le stesse azioni e gli stessi errori. Eppure basta poco per ricordarci che c’è molto, molto altro là fuori. Bisogna solo fare attenzione che questa consapevolezza non ci “ubriachi”, come successo al povero Belluca:
Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d’un tratto la miseria di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s’era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme tutt’intorno. […] E, dunque, lui – ora che il mondo gli era rientrato nello spirito – poteva in qualche modo consolarsi! Sì, levandosi ogni tanto dal suo tormento, per prendere con l’immaginazione una boccata d’aria nel mondo. Naturalmente, il primo giorno, aveva ecceduto. S’era ubriacato. Tutto il mondo, dentro d’un tratto: un cataclisma.
Soltanto il capoufficio ormai non doveva pretender troppo da lui come per il passato: doveva concedergli che di tanto in tanto, tra una partita e l’altra da registrare, egli facesse una capatina, sì, in Siberia… oppure oppure… nelle foreste del Congo:
– Si fa in un attimo, signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato…