La mascherata, opera pubblicata nel 1940 da Alberto Moravia, non supera la censura del regime fascista perché, attraverso una metafora ne descrive gli orrori.
La mascherata di Moravia
La censura fascista ha colpito molte opere e molti scrittori, per non parlare dei giornalisti. Ma credo che Alberto Moravia si aspettava che la sua opera, La mascherata, sarebbe stata censurata. L’opera è stata scritta proprio con l’intento di denunciare la storia del fascismo e di Mussolini, attraverso una storia, apparentemente completamente diversa.
La storia de La Mascherata è ambientata in America Latina, in una dittatura immaginaria guidata da Tereso Arango, salito al potere dopo dieci anni di guerra civile. Il generale, dopo un primo periodo del suo governo in cui aveva dovuto ricorrere alle maniere forti per pacificare il Paese, vede la sua popolarità affermata; pianifica quindi la liquidazione del capo della polizia, Osvaldo Cinco, compagno feroce delle prime lotte. Avendo visto il proprio ascendente su Tereso diminuito di anno in anno, il Cinco decide di inscenare un falso attentato ai danni del generale, che, spaventato, avrebbe rinunciato a sostituirlo. Il Cinco sceglie come occasione per attuare il suo piano una festa in maschera alla quale Tereso avrebbe partecipato nei giorni successivi: decide quindi di rivolgersi ad un agente provocatore, il Perro, per ultimare i preparativi della finta congiura.
Il grande evento mondano a cui Tereso era stato invitato si sarebbe svolto nella villa di una ricca duchessa, la Gorina, che riesce ad assicurarsi la partecipazione della bella vedova Fausta Sánchez, per la quale Tereso nutre dei sentimenti teneri ed ingenui. Le due donne intendono volgere a loro vantaggio la debolezza del generale per la marchesa Sánchez, disposta a diventare la sua amante per trarne dei benefici economici.
Nel frattempo l’agente segreto del Cinco, alla vigilia della mascherata, si reca in una cittadina, dove incontra il Saverio. Il Perro tempo prima aveva individuato un certo numero di soggetti pericolosi per il potere di Tereso, potenziali rivoluzionari che teneva sotto controllo fingendosi il capo di un inesistente partito segreto che tramava ai danni della dittatura. Il Perro, in qualità di capo del partito, ordina a Saverio, un giovane estremista entusiasta di morire per la causa del proletariato, di inserirsi nella villa della Gorina travestito da cameriere per posizionare una bomba nella stanza da letto di Tereso; il piano del Perro e del Cinco sarebbe stato di sorprendere il Saverio in flagrante e di arrestarlo sotto gli occhi di Tereso, che avrebbe conferito loro gloria e ricchezza per aver sventato l’attentato.
La censura
Il romanzo è stato sequestrato dal regime fascista e messo al bando per tutti gli anni della sua durata: Moravia si vedrà costretto a scrivere sotto pseudonimo per evitare la censura. Sebbene il rapporto tra Moravia e le pubblicazioni approvate dal regime sia iniziato nel migliore dei modi, è bastato poco per crollare.
Nel 1929, dopo non poche difficoltà, riuscì a pubblicare a sue spese (5 000 lire dell’epoca) presso la casa editrice milanese Alpes, diretta dal fratello del duce Arnaldo Mussolini, il suo primo romanzo, Gli indifferenti, che ottenne subito da parte della critica buoni consensi e venne considerato uno degli esperimenti più interessanti di narrativa italiana di quel tempo.
Dal 1930 iniziò a collaborare con La Stampa, allora diretta da Curzio Malaparte e nel 1933 fondò, insieme a Mario Pannunzio, la rivista “Caratteri”, che vedrà la luce per soli quattro numeri. Collaborò poi alla rivista Oggi (sulle cui pagine uscirà, nel 1940, Cosma e i briganti). Sempre nel 1933 iniziò a collaborare con la “Gazzetta del Popolo”, diretta da Ermanno Amicucci, uno dei futuri firmatari del Manifesto per la difesa della razza, ma il regime fascista avversò la sua opera vietando le recensioni a Le ambizioni sbagliate, sequestrando La mascherata e vietando la pubblicazione di Agostino.