Intervista con Andrea Vitali, uno degli autori più prolifici e più letti della letteratura italiana contemporanea in occasione della presentazione del suo romanzo “Certe fortune”.
Non serve certo che io spenda delle parole per presentare l’autore che ho intervistato questa volta, Andrea Vitali si presenta da solo. Per lui parlano gli innumerevoli romanzi scritti in quasi trent’anni di carriera e l’enorme numero di lettori e appassionati che partecipano ad ogni presentazione di un suo libro.
Personalmente sono stato alla presentazione di “Certe Fortune“, il suo ultimo romanzo ambientato come sempre a Bellano, qualche settimana fa. Come ogni volta ho riscontrato da parte dell’autore una disponibilità e un occhio di riguardo verso i lettori presenti nel pubblico, tali da rendere la presentazione una sorta di riunione in cui sì, Vitali presenta il suo lavoro, ma lo fa “guidato” dalle domande del pubblico che si dimostra sempre curioso e attento alle parole dello scrittore.
Qualche giorno dopo, ho incontrato Andrea Vitali prima di un nuovo appuntamento con i lettori ed è lì che grazie alla sua disponibilità sono riuscito a fare questa interessante intervista che parte parlando del libro ma sfocia in maniera più generale nel mondo di Vitali e della sua scrittura.
Amico iCrewer, buona lettura.
Buonasera e grazie per aver accettato di fare questa intervista per il nostro sito, il presente per Andrea Vitali è questo tour di presentazione del romanzo “Certe fortune”. Cosa si devono aspettare i lettori da questo libro?
Grazie a voi. Mah, direi che i lettori si possono aspettare due cose: coloro che hanno già letto il precedente “Nome d’arte Doris Brilli” troveranno sicuramente una sorta di seguito a quel primo romanzo con sempre protagonista il maresciallo Maccadò e la sua caserma, coloro che invece non hanno letto il primo si troveranno di fronte a una avventura comunque compiuta con la partecipazione straordinaria di un toro di nome Benito, siamo nel 1928, un toro particolare, e potrebbero essere incuriositi a fare un passo indietro e quindi a leggere il libro precedente perchè c’è un piccolo collegamento che li unisce.
Quindi riappare in questo romano il maresciallo Maccadò nonostante lei non sia un habituée nel dare serialità ai personaggi. Ci sono già un po’ di libri in cui però il maresciallo compare, giusto?
Sì, questo è vero, però non ha i caratteri e la struttura del protagonista seriale, cioè non si impone sul resto della storia, è più un personaggio che seppur importante fa parte di un coro di personaggi altrettanto importanti che recitano la loro parte e una volta terminata quella parte rientrano nel coro. Quindi non è una serialità impositiva, ed è una cosa a cui io tengo particolarmente, perchè io non ambisco a delineare un personaggio seriale, ce ne sono già tanti, alcuni molto belli. Inoltre è difficile mantenere in vita per lungo tempo un protagonista seriale, diciamo che prediligo la coralità piuttosto che la serialità.
Nei suoi romanzi c’è una forte predisposizione al far sorridere durante la lettura, anche in questo romanzo si trova questa componente, in particolare nelle vicende del “Morcamazza” che trova un guaritore molto particolare per la sua gotta. Come mai questa inclinazione al sorriso?
Il divertimento, l’ironia e anche la comicità pura, pur venate da un po’ di nostalgia, che non sia disturbante, sono gli elementi che tengo nel mirino mentre racconto questo tipo di storie che hanno proprio l’obbiettivo di essere divertenti in prima persona per chi le racconta, le scrive e quindi successivamente per chi le va a leggere.
In questo romanzo l’ambientazione è a Bellano e siamo nel 1928, un’altra caratteristica identificativa del suo scrivere. Perchè sempre ambientazioni che risalgono all’inizio del secolo scorso e perchè sempre la scelta di restare sul lago nei suoi racconti?
Per quanto riguarda Bellano, è una scelta sicuramente giustificata dall’affezione al posto in cui sono nato e vivo. Però è anche diventato, dal punto di vita narrativo, un luogo non identificato con quel paese, lo intendo come un luogo del mondo trasformato in una sorta di palcoscenico che si adatta ottimamente a questo genere di storie. Mi sembrava uno spreco di tempo andare a immaginare, inventare un luogo fantomatico quando quello ideale era lì sotto i miei occhi.
Circa la cornice storica, le ragioni sono varie. Innanzitutto una ragione di costume, il costume di quei tempi offre il destro alla narrazione molto di più rispetto alla contemporaneità, secondo il mio modo di vedere le cose e il romanzo. L’allontanare le storie nel tempo contribuisce anche ad accentuare l’alone romanzesco della storia stessa. Sono queste le ragioni che mi portano a trasportare nel tempo dinamiche e trame anche raccolte nella quotidianità, tenendo conto poi che a interpretare le storie siamo noi essere umani e quindi basta adattare l’agire dell’essere umano alla cornice temporale dentro la quale tu lo metti e il gioco è fatto.
Immagino che durante la stesura di una storia ci sia come una immersione da parte sua nelle pagine, nei luoghi e nei tempi, quindi non ha mai la sensazione di aver vissuto davvero due epoche?
No, sarebbe bello, sarebbe bello davvero poter avere una capacità di immaginazione così profonda da aprire una finestra temporale e vivere realmente quel tempo. Mi capita più spesso di immergermi nelle sensazioni del soggetto di cui sto raccontando e quindi di viverle in contemporanea. Naturalmente sono suggestioni e impressioni anche emotive mie personali che poi travaso nel personaggio che le va a interpretare nella storia scritta.
E i personaggi come nascono? O meglio, nasce prima l’idea di una trama da raccontare o prima viene l’idea di un personaggio e poi intorno ci costruisce la storia?
In realtà è molto variabile, diciamo che in genere nasce prima l’idea di una storia da raccontare, una idea spesso confusa e molto vaga. Io non amo farmi delle scalette, decidere anticipatamente il numero dei personaggi, mi piace molto incontrare in corso d’opera anche le difficoltà che vengono poi risolte con la nascita di nuovi personaggi o di nuovi snodi di trama. Diciamo che parto da una idea vaga e poi con il lavoro quotidiano la sviluppo fino alla fine.
Ecco in questo senso come scrive? Si impone una regola che ogni giorno deve scrivere un determinato numero di pagine o di ore o segue l’ispirazione?
Mi impongo la regola di scrivere tutti i giorni, ma non quante parole o quante pagine. Nella giornata ho un arco di tempo ben preciso dedicato alla scrittura e in quel lasso di tempo posso produrre dieci capitoli, non è mai successo, o due righe, questo dipende molto anche dal momento in cui si trova la storia che sto raccontando che può essere incastrata in una fase che va risolta oppure può scivolare via bella lineare e quindi può permettermi di scrivere più cartelle. In sostanza non mi piace impormi dei numeri da raggiungere alla fine della giornata.
In una presentazione recente del suo libro a cui ho partecipato, lei ha dichiarato che scrive ancora con la matita su un quaderno, trovo sia una immagine romantica. Ricordo bene?
Continuo a farlo! Sì, ha ragione, è abbastanza romantico perchè è inusuale. Continuo a farlo prima di tutto perchè mi piace, potrebbe essere una ragione abbastanza superficiale ma io amo scrivere a mano. Amo anche la matita come oggetto, è un amore che mi trascino fin dalla tenera età. Mi piace il profumo delle matite. Scrivere così lo ritengo essere una estensione di un lavoro artigianale, perchè abbiamo parlato di ispirazione, ma l’ispirazione da sola non va da nessuna parte. Dal momento che si trova l’idea occorre anche metterci lavoro per farla diventare una storia, un lavoro di artigianato puro per tenere in piedi una storia che quadri.
Tornando per un momento ai personaggi dei suoi libri, io ho in testa questa immagine folcloristica di un pannello in cui sono tracciati tutti gli intrecci dei protagonisti, come nei pannelli dei telefilm polizieschi, utili per non far cadere la storia. Lei come tiene in piedi la struttura dei personaggi che penso possano anche diventare degli amici immaginari per lei?
Faccio compagnia ai personaggi tutti i giorni finchè non hanno trovato il loro destino definitivo sulla pagina, non ho bisogno dei pannelli che lei ha evocato perchè sono una compagnia quotidiana. E non solamente nella fase pratica della scrittura, ma anche nei momenti in cui non sto scrivendo perchè sono in giro quando il racconto continua a essere presente nella fantasia, anzi il personaggio diventa una sorta di compagno di viaggio anche se invisibile.
Sta già lavorando al prossimo romanzo?
Sì, ho concluso la prima stesura della terza avventura del Maresciallo Maccadò e compagnia perchè anche questo sarà un romanzo corale. Prima stesura vuol dire che dopo averla riletta mi sembra che quadri abbastanza bene, anche se sono convinto, come speso accade, che questa prima lettura non abbia colto le fasi del romanzo ancora un po’ deboli e quindi ha necessità di restare nel cassetto dimenticata per un mesetto per essere poi riletta con un occhio più critico in modo tale che saltino fuori gli errori, le inesattezze e le incongruenze.
Si conclude così questa intervista ad Andrea Vitali che si è congedato porgendo i saluti a tutta la nostra redazione e concedendomi una foto ricordo. Ringrazio a nome di tutta la redazione di ibri.iCrewPlay l’autore e tutto il suo staff che si è dimostrato gentilissimo nella organizzazione di questa intervista.
ANDREA VITALI
Andrea Vitali è nato a Bellano, sul lago di Como, nel 1956. Medico di professione, ha coltivato da sempre la passione per la scrittura esordendo nel 1989 con il romanzo Il procuratore, che si è aggiudicato l’anno seguente il premio Montblanc per il romanzo giovane. Nel 1996 ha vinto il premio letterario Piero Chiara con L’ombra di Marinetti. Approdato alla Garzanti nel 2003 con Una finestra vistalago (premio Grinzane Cavour 2004, sezione narrativa, e premio Bruno Gioffrè 2004), ha continuato a riscuotere ampio consenso di pubblico e di critica con i romanzi che si sono succeduti, costantemente presenti nelle classifiche dei libri più venduti, ottenendo, tra gli altri, il premio Bancarella nel 2006 (La figlia del podestà), il premio Ernest Hemingway nel 2008 (La modista), il premio Procida Isola di Arturo Elsa Morante, il premio Campiello sezione giuria dei letterati nel 2009, quando è stato anche finalista del premio Strega (Almeno il cappello), il premio internazionale di letteratura Alda Merini, premio dei lettori, nel 2011 (Olive comprese). Nel 2008 gli è stato conferito il premio letterario Boccaccio per l’opera omnia e nel 2015 il premio De Sica.
Con Massimo Picozzi ha scritto anche La ruga del cretino.
I suoi romanzi più recenti sono Gli ultimi passi del Sindacone e Certe fortune.