Pietro Bartolo, l’amore oltre i confini…
Cari iCrewer, ho sempre pensato che il Natale non fosse solo la festa dei regali, ma, soprattutto, la festa del cuore, della pace, dell’amore, quello più puro, senza confini, il messaggio di pace che qualsiasi Dio giusto e amorevole, ha comunque lasciato in eredità all’uomo. L’intervista con Pietro Bartolo, il medico che da 28 anni accoglie e cura i naufraghi che sbarcano a Lampedusa, credo interpreti appieno il messaggio di pace ed è, per me, il regalo più gratificante che questo mio primo Natale letterario poteva donarmi. Vorrei che anche voi lo consideraste così, un dono, così come le sue parole, perchè di questo si tratta, di un dono meraviglioso.
Il mio incontro con Dott. Bartolo è stato davvero organizzato in pochissimo tempo e di questo devo ringraziare Salentosophia, l’associazione organizzatrice dell’evento insieme ad Unisalento che ha accolto, subito, la richiesta di potergli fare qualche domanda prima della presentazione del suo libro.
Appena giunta al Rettorato, l’ho subito riconosciuto, tra i presenti era quello più disponibile, il tono della voce sommesso e sereno così come lo sguardo, stanco, ma rassicurante. Dopo le inevitabili presentazioni, è stato proprio lui a invitarmi a conversare…” Venga, signora, facciamo due passi in questo splendido posto, così parliamo con tranquillità, solo così tutto è più comprensibile” non me lo sono fatto ripetere due volte…
Dott.Bartolo, lei gira l’Italia per aiutare gli altri a capire quello che sta accadendo nel nostro Paese. Dal ’91 infatti, si prodiga per i profughi a Lampedusa ed è qui a testimoniare per coloro i quali, purtroppo, non hanno voce.
In effetti, sono quasi 28 anni che mi occupo del fenomeno dell’immigrazione. Alcuni vorrebbero trasformarlo in un problema, ma non lo è, è un fenomeno che è sempre esistito. Oltre a fare il medico, comunque, in questi tre anni, mi sono dedicato a dare voce a queste persone, per cercare di fare capire al mondo la verità, quello che succede nel Mediterraneo, a Lampedusa, spiegare chi sono, da cosa scappano, cosa vogliono, smentire le voci che li identificano come mostri, alieni, destinati a morire nel mare, pensando che sia meglio trattenerli nei paesi con cui abbiamo fatti i contratti e gli accordi, come la Libia. Mi creda, sarebbe tornare nell’inferno. Quando arrivano a Lampedusa, noi cerchiamo di aiutarli, siamo la Porta d’Europa ed è sempre aperta, noi non l’abbiamo mai chiusa e quindi per noi è normale accoglierli, curarli, ascoltarli e ascoltandoli sai di chi stiamo parlando, di persone come noi, di persone straordinarie, mi creda… posso dire la mia ?
Si certo assolutamente…
Qualcuno dice che sono diversi e io dico che è vero! Loro sono diversi e migliori di noi, hanno delle capacità incredibili. Pensate alle sofferenze che sono costretti a subire, migliaia di km, anni di viaggi, violenze, soprusi, minacce, trattati da schiavi. Tutte le donne violentate, eppure riescono a superare tutto questo, per arrivare alla tanto agognata Europa, quel mondo che loro sognano per poter sopravvivere. In fondo non vogliono nulla, non vogliono rubare nulla, non vogliono far del mare a nessuno, vogliono solo sopravvivere. Vogliono far credere che non ne arrivino ma non è vero. Ne abbiamo ancora tanti che arrivano sui gommoni. Spesso si parla di loro usando i numeri ma sono donne, bambini e sono tantissimi, spaventati, terrorizzati per aver attraversato di notte, quel mare così pericoloso, cosi insidioso. Immagini, la prego, solo per un momento…
Lei parla dei bambini e della terribile esperienza che sono costretti a vivere, lo testimonia nel suo ultimo libro [amazon_textlink asin=’8804705272′ text=’Le stelle di Lampedusa,’ template=’ProductLink’ store=’game0ec3-21′ marketplace=’IT’ link_id=’8cb1c9cb-f49b-11e8-8737-6bc2742086ab’] in cui racconta di Anila, la bimba sbarcata a Lampedusa, completamente sola, il dolore nel vederla distrutta, e attraverso i suoi occhi, il suo viaggio per raggiungere la mamma.
La storia di Anila è una storia come tante altre, purtroppo, anzi in qualche modo, lei è stata fortunata, è riuscita a ricongiungersi con la madre, tanti altri bambini non ce la fanno e perdono anche la vita e chissà in quali mani vanno a finire, quando riescono a salvarsi.
Ci parli di Anila…
Anila è un’eroina, parte da sola a 8 anni, viaggia per un anno e mezzo, è arrivata a Lampedusa dopo aver avuto esperienze allucinanti, violenze, maltrattamenti, ustionata, era terrorizzata e quando è arrivata da me, le ho chiesto “Come mai sei qui tutta sola?”, lei mi ha risposto “Io cerco la mia mamma”.
Provate ad immaginare, per un momento, una bambina di soli 8 anni, che affronta il mare, difficoltà incredibili, come la malattia dei gommoni, rischia di morire e poi, quando riesco a trovarle la mamma, e non è stato facile, mi sono trovato di fronte un mostro, la burocrazia, un mostro che impedisce tutto. E’ stato difficilissimo dover spiegare alla bambina che ci sarebbero volute settimane , forse mesi e ogni volta vedevo il dolore nei suoi occhi. Fin dall’inizio mi chiamava papà ma con il passare del tempo ha cominciato ad odiarmi, io andavo a trovarla spesso, e un giorno non ha più voluto vedermi, e questo mi ha fatto tanto male.
E’ riuscito ad aiutare Anila a trovare la sua mamma’?
Anila ha tentato cinque volte il suicidio infine dopo tante peripezie, che leggerete nel libro, mi sono rivolto a persone che conoscevo, ho scritto al Presidente della Repubblica, al Papa, a tutti quelli che mi potevano aiutare e ho trovato grande umanità e dopo 6 mesi sono riuscito a ricongiungere la bimba con la mamma. La morale di tutta questa storia è che una bambina di soli 8 anni è riuscita a salvare la mamma, costretta a fare la prostituta, come tutte quelle donne che con l’inganno e le minacce si ritrovano per strada, diventando schiave dei loro aguzzini. L’amore di Anila ha fatto il miracolo, si è ricongiunta con la mamma, i suoi fratellini, è riuscita a trovare perfino il compagno della mamma, con il quale poi la donna, arrivata in Europa, ha avuto un bimbo di nome Benedict. E’ davvero tutto disumano, ho scelto di parlarne, per riscattarli.
Lei, nel libro precedente “Lacrime di sale” descrive una sua personale esperienza di sofferenza e e incapacità di fronte alle difficoltà, questo l’ha aiutata, nel tempo, ad aiutare in modo consapevole queste persone?
Si certo, “In lacrime di sale” ho raccontato le storie per raccontare la storia. Sono persone come noi, che hanno un nome, come tutti noi, Omar, Abruda, Kebrat, Anila, e con loro mi sento sempre, anche Anila mi ha mandato un messaggio 10 minuti fa. Da questi ragazzi ho imparato la gratitudine, loro mi chiamano, mi vogliono bene, riconoscono quel poco che ho potuto fare, in fondo, cosa ho fatto io per loro? Nulla.
Anche Lampedusa, con lei,è stato testimone di un grande impegno, e affetto enorme.
Lampedusa è un paese straordinario, è da 28 anni che accoglie tutti, senza lamentarsi mai. Quando vado fuori all’estero, mi chiedono come questo sia stato possibile. Io ho sempre risposto loro che il popolo di Lampedusa è un popolo di pescatori, lo sono stato anche io, è un popolo di mare che non si stanca facilmente, e tutti quelli che vengono dal mare sono benvenuti, questa è la legge del mare. Noi non possiamo lasciare nessuno in mare, è la nostra vita e non deve diventare un cimitero, deve ritornare ad essere un mare di vita, un ponte come è sempre stato. Nel Mediterraneo si sono incontrati tutti i popoli turchi, gli Egiziani, i Fenici e questo ci ha fatto diventare quella che viene chiamata la culla della cultura. Tutto questo ci ha fatto crescere, ci ha fatto diventare una nazione di grande civiltà. Io ora, sono qui a Lecce, ma tutto questo, deriva da tutto quello che è stato.
Dott. Bartolo, oltre ad accoglierle, cosa si può fare perchè queste persone non siano spinte a scappare dalla loro terra, per inseguire una chimera?
Intanto considerandoli esseri umani, sono diversi si ma hanno gli stessi sogni, gli stessi desideri, gli stessi sentimenti, come noi, ne hanno il diritto!.
Lei ha detto, che bisogna aiutarli anche in casa loro…
Sì anche, ma aiutarli a casa loro significa lasciarli anche in pace, siamo stati noi a determinare tutte le loro sofferenze, con le guerre, li abbiamo derubati, rapinati, sfruttati. Se lei pensa che il continente africano è il più ricco del mondo dove vive il popolo più povero del mondo, ci sarà un motivo. Siamo stati noi a colonizzarli a sfruttarli e a costringerli ad andare via dal proprio paese e ora che loro vengono a chiederci aiuto e noi li rifiutiamo? No, è disumano.
Dottore un ultima domanda… Lei ha partecipato al progetto cinematografico con la regia di Rosi, Fuoco a mare, con il quale ha vinto l’Orso d’oro Berlino, un’avventura nel quale si è tuffato per divulgare ancora di più il suo messaggio?
Sì mi sono donato totalmente al mondo della cultura e a tutte quelle forme di comunicazioni a me utili per parlare a tutti in tutti i modi, con il cinema, con la scrittura i miei libri, per arrivare al cuore della gente, e tornare sulla giusta via, e rivalutare quei valori che danno un senso alla nostra vita, come l’accoglienza, l’amore, la fratellanza, rispetto dei diritti umani, se riusciremo in tutto questo , avremo vinto.
E’ proprio l’ultima domanda, devo proprio lasciarlo andare, ma credetemi, sarei rimasta a parlare con lui ancora per tanto tempo, e non posso non confessare che, ascoltandolo, non sono riuscita a trattenere le lacrime. Incredula, come se non avesse detto o fatto nulla, l’ho visto sedersi, al suo posto, con le sue diapositive, pronto a ricominciare di nuovo. Ci presenta il suo libro, definito dal Rettore, “un libro che ci chiama a fare i conti con la nostra coscienza,” ci racconta dei viaggi danteschi fuori da ogni immaginazione, le bugie fatte circolare sulle malattie contagiose, la nuova malattia dei gommoni che colpisce soprattutto le donne.
Attraverso le sue parole e le foto che piano piano scorrono, abbiamo conosciuto Mustafà, un ragazzo riuscito a salvarsi, o di altri che, purtroppo, non ce l’hanno fatta, la storia di un bellissimo bimbo di nove mesi, affidato dalla mamma, alle cure di una donna, prima di morire per le ustioni causate dalla miscela di benzina e acqua di mare. Storie di dolori senza fine, 350.000 naufraghi curati e il compito ingrato di dover identificare i cadaveri rimasti come nell’incendio in cui persero la vita più di 325 persone Eppure tra tanto dolore storie di speranza, come quella di Kebrat, una donna ritenuta clinicamente morta riportata alla vita per la tenacia del medico siciliano.
“Ogni dolore è compensato dalla speranza di dare loro una vita quasi normale, ma ci vuole l’impegno di tutti, non bisogna girarsi dall’altra parte, perchè insieme si può vivere e si può crescere e ora scusatemi tra un ora ho un aereo che mi porterà a Londra, anche loro devono sapere…” e dopo avere autografato fino all’ultimo libro, lo abbiamo applaudito e lo abbiamo lasciato andare…
Sarà difficile dimenticarti Dott. Bartolo…