Se le piacciono i particolari macabri, posso confermarle che è sicuramente stata una morte lunga e dolorosa…
Andy Ben
Andy Ben e il suo Squarcio
Cari iCrewers, per la rubrica Sogni di Carta, ho il piacere di riavere nuovamente con noi Andy Ben, che ci svelerà qualche chicca su Squarcio primo capitolo della Serie Montorsi che, come ci ha svelato nella prima parte della sua intervista, a breve si amplierà con un terzo volume.
Quindi non ci resta che aspettarlo con ansia!!
Partirei dalla sinossi di Squarcio.
Un uomo e una donna, impegnati nella ricerca della verità, uno per sete di vendetta, l’altra per voglia di giustizia e un pizzico di ambizione. Due destini, che saranno costretti a incrociarsi come in passato, uniti da un filo invisibile, a una serie di eventi apparentemente scollegati tra loro. L’assassino raggiungerà il suo scopo, oppure sarà fermato dal detective? Un romanzo colorato, con le tinte forti del sangue e della passione, raccontato in soggettiva, dal punto di vista dei protagonisti, in un susseguirsi di azione e flash-back, in cui erotismo e morte danzano a braccetto fino al colpo di scena finale.
Andy Ben ci fai il piacere di farci leggere un estratto abbastanza angosciante di Squarcio?
In ‘Squarcio’, ci sono sicuramente estratti più cruenti, ma preferirei lasciarvi quello che per me è l’estratto più onirico di tutto il romanzo:
È buio.
È freddo.
Cos’è questo senso di vuoto che ho nel petto?
Il respiro è pesante, affannoso.
Il buio mi circonda, palpabile, denso, umido, infinito.
L’ansia sta crescendo.
Il respiro si fa sempre più difficoltoso.
Sento che i battiti del mio cuore accelerano.
Provo a muovermi, a fare qualche passo,
addentrandomi in questa oscurità che sembra non
avere fine.
Le mie membra rispondono lentamente alle
sollecitazioni, sembra quasi non mi appartengano,
non appartengano al mio corpo, ma siano state
attaccate con chissà quale meccanismo.
Sento le braccia pesantissime e le gambe ancora di
più.
Muovo un passo, poi un altro, poi un altro ancora
facendo una fatica sovrumana.
A ogni passo il respiro si fa sempre più affannoso.
Ora ho il cuore che batte all’impazzata.Ho paura.
La paura lentamente si insinua sotto la mia pelle,
dentro la mia carne, provocandomi dolore come le
ferite provocate dal taglio di tanti piccoli pugnali.
La paura si trasforma piano piano in terrore.
Aiuto, dove sono?
Fatemi uscire da qui!
Apro la bocca per gridare, ma non odo alcun suono.
Le mie urla sono soffocate dal buio che adesso mi
penetra.
Una luce in lontananza.
Cerco di muovermi verso quell’ancora di salvezza.
È la mia speranza; una flebile luce opaca che devo
raggiungere.
Le gambe sono sempre più pesanti.
Facendo una fatica immane alzo le braccia per
toccare la luce, ma è ancora lontana.
Metto un piede in fallo, qui non c’è nulla.
Oddio! Aiuto!
Mi manca la terra da sotto i piedi.
Cado.
Cerco di aggrapparmi a qualcosa; qualcosa nascosto
dal buio, qualcosa che non c’è, non esiste.
Sto scivolando dentro a un baratro che non riesco
neppure a vedere.
Aiuto, qualcuno mi aiuti. Salvatemi!
Il buio prima denso e umido ora è solo buio,
inconsistente.
Aiuto! Aiuto!
Riesco ad afferrare qualcosa.
Sono salvo.
No, non riesco a mantenere la presa.
Il qualcosa è viscido, mi scivola dalle mani.
Cerco di aggrapparmi con tutte le forze che ho, ma
scivolo sempre di più.
Il mio corpo pesantissimo mi trascina in basso verso
il baratro di un pozzo senza fondo, verso il vuoto.
La presa cede.
Aiuto, precipito! Aiutoooooo! Ahhhhhhhhhhh!
Ahhhhh!
Il mio grido è assordante.
Il fiato è corto, irregolare.
La mia immagine, il mio volto pallido, con gli occhi
spalancati e la bocca aperta in una espressione di
terrore, si riflettono nell’enorme specchio appeso sul
muro di fronte a me.
Sono seduto sul letto, il letto di una camera
sconosciuta.
Che colonna sonora legheresti al tuo Squarcio?
Ripeto spesso ai miei lettori che Squarcio, è una lettura difficile.
Bisogna leggerlo tutto d’un fiato, altrimenti si corre il rischio di perdersi, e andare letto a luci soffuse, con un sottofondo tipo la musica dei Goblin (quelli della colonna sonora di “Profondo Rosso”).
Nel ringraziare Andy Ben per essere stato nuovamente con noi e averci concesso un estratto del suo romanzo, vi lascio con l’Incipit di Squarcio.
Buona Lettura e come dico sempre:
In alto i nostri cuori
Incipit di Squarcio
Nel piccolo riquadro lucido, si stagliano le forme delle costruzioni, per lo più palazzi residenziali, che spiccano verso il cielo, partendo da una base di esercizi commerciali colorati le cui insegne accese illuminano il viale, mentre la giornata si avvia freneticamente alla sua conclusione.
Nel breve lasso di tempo che i cittadini milanesi dedicano alla cena, corso Buenos Aires si svuota per prepararsi ad accogliere il popolo della movida, che da qui transita per raggiungere i pub e i locali notturni di corso Como.
In un contesto quasi silenzioso e piuttosto surreale, una donna in tailleur scuro avanza decisa occupando uno spazio sempre maggiore nel rettangolo che inquadra il marciapiede.
Il vociare che si udiva qualche minuto fa, e il rumore delle serrande che vengono abbassate, il tintinnare dei lucchetti e delle serrature che vengono chiusi è ormai un ricordo lontano.
A cavallo della mia enduro in sosta, in compagnia di uno degli orologi comunali verdi che segnano le sette e quaranta della sera, proseguo a osservare la donna. Tiene stretta sulla sinistra una borsa grande, ma non abbastanza da contenere interamente un plico avvolto in carta canna da zucchero.
La donna, con il suo solito piglio, ha quasi raggiunto la mia altezza.
Mi giro indietro per osservare, ancora una volta, che la targa della moto sia sollevata orizzontalmente, così da non poter essere rilevata.
La donna mi raggiunge e imbocca il vicolo.
Abbasso la visiera del casco, estraggo il pedale di avviamento e con un rapido movimento metto in moto.
Il rombo del motore di duecentocinquanta centimetri cubici rompe la quiete tutto intorno. Sposto il tronco un po’ in avanti, in modo che il bolide scenda dal cavalletto.
Osservo nel vicolo alla mia destra: la donna ha già percorso una decina di metri. La borsa a tracolla, da cui spuntano i documenti, è bene in vista. Quello il mio obiettivo: un semplice favore per ripagare l’aiuto ricevuto in un passato, mai troppo remoto, da tossicomane.
Ora la distanza è quella giusta.
Punto la mia preda per chiudere tutti i conti lasciati in sospeso e per guardare alla mia vita con speranza, convinto di non ripetere più certi errori pagati a caro prezzo, tra cui questo.
Apro il gas a manetta.
Accade tutto in un attimo.
Raggiungo la donna col braccio proteso verso la borsa: lei non si accorge di me.
Aggancio la borsa e sento un leggero strappo.
Un grido.
Un tonfo secco.
Freno e mi volto.
Il corpo della donna è accasciato a terra qualche metro dietro di me.
Guardo la mia mano: stringe salda la tracolla della borsa, il mio obbiettivo è raggiunto.
Vorrei fermarmi, prestarle soccorso, ma non c’è tempo, né posso farmi scoprire: quella donna mi conosce fin da quando ero piccolo, ci sarebbero troppe domande a cui non poter dare risposta.
Devo eseguire il compito che mi è stato assegnato, non posso fermarmi a pensare.
La paura mi assale.
Il corpo è ancora immobile a terra, non si rialza.
Oddio, che ho fatto!
Oddio.
Per un istante che pare infinito rimango fermo a guardarla, la migliore amica di mia madre, rivolta supina sul marciapiede, con la testa che ciondola sul ciglio della strada e da cui inizia ad allargarsi una macchia scura.
La paura diventa terrore.
L’adrenalina sale e mi schizza al cervello.
Non ragiono più.
Mi volto in direzione della strada, do gas alla moto e fuggo, lasciandola al suo destino e segnando irreparabilmente il mio.
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