Caro iCrewer oggi ti parlo di Ultrà. Il volto nascosto delle tifoserie di calcio in Italia, il libro scritto dall’inglese Tobias Jones, uscito lo scorso mese di settembre per Newton Compton Editore. Il libro che mi ha accompagnato, inteso come lettura, per tutto il periodo delle feste natalizie e che quindi, non saprei se definire l’ultimo letto nello scorso anno o il primo archiviato nel 2021. Ma poco importa, sono solo paturnie mie, già espresse in un precedente articolo.
Un libro, Ultrà, che mi è piaciuto molto, nonostante la non sempre semplice e scorrevole lettura. Punto questo che, secondo me, va a favore dell’autore che con uno splendido lavoro di ricerca, documentazione ed esperienza vissuta in prima persona, riesce quasi a scrivere un vero e proprio saggio sul mondo delle tifoserie organizzate in Italia. Va da sé che leggere un saggio non può essere lieve come leggere un bel romanzo.
Scrivere più di quattrocento pagine su un argomento molto delicato, come quello del tifo e delle tifoserie, non credo sia un lavoro semplice: il rischio di incappare in frasi retoriche è dietro l’angolo. Pensiero valido anche per chi, come me, si approccia a voler condividerne la lettura, senza scadere in frasi fatte o già sentite.
Ultrà. Il volto nascosto delle tifoserie di calcio in Italia
Ma andiamo con ordine, e, come sempre, iniziamo col presentare l’opera.
Per stessa ammissione dell’autore, scritta in prima persona nell’introduzione del libro, Ultrà non è un testo sul calcio. Si tratta di un lavoro interamente dedicato a chi il calcio lo vive sugli spalti: ai tifosi. Nello specifico agli ultrà, quei gruppi di persone che organizzano il tifo e che, purtroppo, spesso vanno alla ribalta delle cronache per la loro indole violenta. Con questo minuzioso lavoro di ricerca, Tobias Jones, oltre a tracciare una ricostruzione storica dei fatti più importanti che hanno caratterizzato l’evoluzione di questi movimenti negli ultimi cinquant’anni, prova a scavare cercando le motivazioni e i perché che stanno dietro a ogni scelta e a ogni presa di posizione.
Un lavoro ben fatto.
L’autore sceglie la città di Cosenza, la cui squadra in questi anni galleggia tra la Lega Pro e la serie B, e vive in prima persona l’esperienza di far parte nel gruppo degli ultrà della città. Cosenza perché è una realtà di periferia, del profondo sud e perché i suoi tifosi si sono contraddistinti, negli anni, anche per iniziative di solidarietà e umanitarie davvero notevoli, che hanno contribuito a smontare alcuni dei luoghi comuni che associano i tifosi alla violenza.
Associazione certo non facile da debellare, e parlo a livello nazionale. Sono infatti molti, i fatti di cronaca che l’autore riporta nel suo saggio. Eventi tragici e violenti che hanno investito nel corso degli anni il nostro stivale e che hanno sempre avuto come sfondo una partita di calcio o il senso di appartenenza ai colori della maglia per cui si fa il tifo.
Jones però va oltre. Esce dal concetto che ci sia il tifo alla base di questi episodi e scavando, cerca, e trova, motivazioni politiche e geografiche territoriali. Del resto in tutti questi anni, ogni volta che c’è stato un episodio di violenza intorno a una partita, si è sempre cercato di non fermarsi alle ragioni del tifo, ma di guardare anche agli aspetti sociali e politici per provare a darsi una spiegazione, non certo per giustificare certi eventi.
Il mio modo di essere tifoso
Non voglio nascondermi, anche io sono un tifoso. Uno di quelli accaniti, che ci tiene, che soffre e che, secondo quelli che sarebbero i valori olimpici e dello sport, sbaglia godendo delle sconfitte delle squadre avversarie. Essere un tifoso è una brutta bestia. È una vera e propria fede che spesso e volentieri oscura la visione obbiettiva delle situazioni di gioco.
Non sono un ultrà. In quarantuno anni di vita sarò andato allo stadio, forse, dieci volte. Sono uno di quelli che vivono le partite dal divano e che poi, durante la settimana, gioca con gli amici che tifano squadre diverse a prendersi in giro e a fare polemiche. Anche tutto questo, per me, rende bello il calcio e l’essere tifosi. Ma nel mio modo di essere, da qui al diventare violento, a mio avviso, ci passano tre galassie.
Seppur le mie volte allo stadio sono state davvero poche, ammetto che sentirsi parte di un gruppo che canta, salta e gioisce all’unisono per la stessa causa è una sensazione bellissima. Inebriante. Ma che per quanto mi riguarda, si ferma al risultato sportivo, senza perdersi in dietrologie politiche o territoriali.
Tobias Jones, con Ultrà, invece, traccia bene i confini ai margini dei quali finisce l’essere un tifoso della squadra della propria città e subentra l’essere di destra o di sinistra. L’essere del nord o del sud. È come se l’atmosfera partita, e quindi lo stadio e i luoghi ad esso adiacenti, siano legittimati a diventare il ring per una battaglia spinta da motivazioni che con il rotolare di un pallone non hanno niente a che fare. E tutto questo non fa per niente bene allo sport che tanto amiamo.
Anche per questo trovo giusto che l’autore specifichi che non si tratta di un libro sul calcio ma sui tifosi, anche se non condivido a pieno questa divisione tra i due ruoli. Trovo difficile pensare al calcio senza tener conto dei tifosi. Senza di loro, quelli non violenti, si perde gran parte dello spettacolo. Ne stiamo avendo la dimostrazione in quest’ultimo anno in cui assistiamo a partite che sembrano tristissime essendo orfane della voce dei sostenitori. Un gol senza il boato di gioia è come un fuoco d’artificio in bianco e nero.
Ecco perché non tutto è da buttare via. La passione e l’attaccamento dei tifosi, anche di quelli più rumorosi e accaniti che si scaldano solo per incitare, sono ingredienti necessari per la riuscita dello spettacolo che si vive in uno stadio. Bisogna anche dare merito agli ultrà dell’impegno per la realizzazione delle coreografie che con i loro colori mettono in scena una atmosfera davvero consona allo show che poi si vedrà realizzato dai campioni sul prato verde.
E Tobias Jones lo fa. Voglio dunque soffermarmi sul bello evidenziato dal libro. Il resto, i fatti di cronaca, fanno già parte del nostro passato, in quanto pagine indelebili delle nostre domeniche davanti alla televisione in attesa di una partita.
Faccio i complimenti all’autore anche per la capacità di narrazione. Ricostruire quei fatti di cronaca senza dare un taglio da giornalista, ma sapendo raccontare come se si fosse all’interno di una storia, è stata secondo me una scelta vincente.
Conclusioni
Consiglio la lettura di Ultrà a chi ama il calcio. A chi sente la mancanza dei tifosi allo stadio e a chi è capace di estrapolare il bello da un contenitore pieno anche di cose da dimenticare. Leggendo questo libro si aprono cassetti della memoria che contengono fatti e disgrazie che abbiamo vissuto tutti noi di una certa età, sentendoli al telegiornale e nei vari talk dedicati al pallone. Ferite che il mondo del calcio si porta ben impresse come cicatrici. Un libro che può, a mio avviso, diventare una sorta di memoria di ciò che è successo nel passato per poter provare a migliorare ciò che sarà il futuro.