Tornare dal bosco di Maddalena Vaglio Tanet è molto più di un semplice romanzo. La scrittrice biellese non a caso è riuscita a portare il proprio libro finalista al Premio Flaiano Internazionale narrativa 2023 e candidato nella dozzina del Premio Strega 2023. Un libro che squarcia la realtà, entra nell’animo umano per contorcerlo e riportarlo nella natura più aspra.
Vediamo insieme il perché nella mia recensione!
Tornare dal bosco di Maddalena Vaglio Tanet: la mia recensione
Tornare dal bosco è una lettura che vuole tornare alle origini, a quando era la natura incontaminata a dare ossigeno, a creare rifugio e protezione del negativo. La storia che leggerai è ambientata a Bioglio, un comune di circa 900 anime di Biella, in cui la scrittrice, biellese appunto, ha deciso di basarsi su una storia vera, una vicenda drammatica che si ripercuote fortemente sui protagonisti del racconto e sui vari personaggi che ruotano intorno ad essa.
Ci troviamo nell’Italia degli anni 70, un periodo molto difficile e recessivo, e la protagonista è un’insegnante delle scuole elementari di nome Silvia. Intorno a lei aleggia da sempre un velo di tristezza e malinconia (cresciuta in un orfanotrofio) e grazie alla sua formazione il lavoro diventa una vera e propria devozione. Tuttavia accade un evento scioccante – non voglio rivelarti troppo – che porterà la maestra ad addentrarsi nel bosco per poi sparire completamente.
La scrittura di Vaglio Tanet è viva, emozionante, con un ritmo incalzante e veloce che tiene continuamente il lettore incollato alle pagine. Impressionanti le descrizioni vivide degli angoli più nascosti e degli animali che silenziosi abitano la foresta piemontese, nelle quali l’autrice ha voluto ricreare tutte le sensazioni vissute da Silvia e di quanto il contatto con la propria terra possa far rivivere a livello psicologico fantasmi del passato e suggestioni infantili.
Pagina dopo pagina si avvertono gli odori dei luoghi biellesi, tanto cari alla scrittrice, e la sofferenza che traspare soprattutto nei volti descritti nei personaggi travolti da un evento tragico.
L’odore di resina e legno vivo era fortissimo, lo sentiva ingolfarsi nei suoi polmoni e ossigenare la pelle di ippopotamo, assottigliarla. All’inizio gli parve di tradire Torino a ogni respiro, poi si disse che quella spedizione valeva come una passeggiata in montagna la domenica. Dove la pioggia aveva fatto pantano i vermi erano stati costretti in superficie.
Proprio in mezzo alle fronde degli alberi, alle ghiande, ai furetti impauriti e ai cinghiali affamati che la maestra ripercorre tutta la propria esistenza, i suoi sensi di colpa, il fotogramma della propria vita dedicata ai bambini per esaminare la propria coscienza e forse in qualche modo ripulirla.
Un romanzo in cui sono i bambini a salvare gli adulti
Un altro aspetto che emerge è il rapporto tra scolaro e insegnante e la decisione dell’autrice di invertire i ruoli: oltre a Silvia appare sin dalle prime pagine il personaggio di Martino, un bambino sveglio e curioso che vive a Bioglio per motivi di salute.
Sono i genitori di Martino, Lea e Stefano, che decidono di cambiare completamente vita e passare dalla vita cittadina alla vita di montagna.
Un dramma per il bambino che si ritrova a ricominciare tutto ma che poi, inconsapevolmente, riuscirà a riscattarsi. Ruoli ribaltati perché molto spesso sono proprio i bambini a sollevarci dal buio, a riprenderci dal torpore esistenziale, a farci comprendere quanto sia bella e ricca la nostra vita insieme a loro.
Non era stato come quando giocava e gli sembrava di vedere i Thugs o gli Apache e rabbrividiva di paura, anche se non erano reali. C’era qualcuno, lì. Eppure, quando tornò a sporgersi, sperò lo stesso di essersi sbagliato e di avere scambiato un sacco oppure una montagnola di fieno per una persona. Vide capelli, una faccia, un maglione, una gonna. La maestra scomparsa era a due passi da lui, viva.