“Il rimedio miracoloso”
“Nato alla fine dell’Ottocento in una grande casa padronale di campagna dove la madre lavora come governante, George Ponderevo viene successivamente mandato a Wimblehurst in qualità di apprendista nella farmacia dello zio, un uomo ambizioso e determinato ad avere successo. Da qui approda poi a Londra, dove la sua vita viene improvvisamente sconvolta dal genio imprenditoriale dello zio Edward che lancia sul mercato la specialità farmaceutica Tono-Bungay, una miscela spacciata come ricostituente – di fatto una cialtroneria – che ottiene un enorme successo e crea dal nulla un rampante e fragilissimo impero finanziario. La storia di questa impresa si intreccia alla vita privata di George, al rovinoso matrimonio con Marion, alla sua movimentata vita sentimentale e ai suoi esperimenti di volo con gli alianti, fino al momento in cui la stella imprenditoriale e finanziaria dello zio si spegne in modo fulmineo e catastrofico”
dell’autore Herbert George Wells, scrittore britannico tra i più popolari della sua epoca; autore di alcune delle opere fondamentali della fantascienza, e ricordato come uno degli iniziatori di tale genere narrativo. Ha trattato la società inglese del periodo tardo vittoriano con spirito arguto, una scrittura scorrevole e piacevole che rende la lettura intrigante.
Sembra di avere un lettore nella mente che ti accompagna in questo excursus sulla vita dello scrittore – trattasi infatti di un romanzo autobiografico -.
Vi capita mai?
Leggendolo ho avuto l’impressione di ascoltare Woody Allen, ed ho trovato molta attinenza tra il suo modo di dirigere e impersonare un ruolo e l’andamento del libro.
Irriverente, quanto basta a farti sorridere a denti stretti pur tenendoti sulla corda, quel tanto che basta per farti andare avanti chiedendoti: “riuscirà il nostro eroe ad arrivare alla fine? Saprà accompagnarti fino all’ultima pagina con la stessa ironia, saprà intrattenerti con le sue descrizioni che talvolta rasentano il ridicolo?
La ricerca, da parte “dell’attore” principale George, di un posto nel mondo con un occhio e il cuore sempre rivolto alla sua infanzia nella tenuta di “Bladesover Housee”, viene ben descritta nelle prime pagine, quando raffronta l’immagine dei suoi ricordi con quella che gli si presenta nel momento in cui vi ritorna da adulto, mentre “il rimedio miracoloso” denominato Tono Bungay era all’apice, e “nota le piccole differenze che erano intervenute…”
Il cambiamento avvenuto nelle “proprietà” la etichetta come “nuova nobiltà inglese” che nulla ha a che vedere con quella a cui è dovuto “sottostare”.
Grazie a Wells diventiamo viaggiatori senza tempo, ci accompagna sottobraccio facendoci visitare luoghi, conoscere usi e costumi di un’epoca, che abbiamo potuto anche imparare sui libri di storia, ma non con la stessa dovizia di particolari.
Prendiamo per esempio il Maggiordomo Rabbits, in antitesi con la maggior parte delle descrizioni che finora mi sono state sottoposte, (che è quella di un uomo al di sopra delle parti, servile il tanto che basta a porlo un gradino più su della servitù in generale, e appena sotto “del padrone”, integerrimo e dispensatore di consigli per il bene della famiglia) invece in questo romanzo esce la figura di una persona che si pone al di sopra della servitù e all’occorrenza – perché è il grado che riveste e lo pone al di sopra anche della legge – “vendeva birra senza avere la licenza o provare alcun rimorso”…
Anche la vita amorosa del nostro protagonista principale risente degli influssi di quell’epoca, il suo matrimonio con Marion, descritta come una bella donnina dalla mente banale ma che aveva catturato il suo istinto più intimo, “perché incarnava la speranza di una possibilità, era l’incauta proprietaria di una qualità fisica che mi aveva fatto girare la testa come un vino forte.”…
La relazione con Effie una segretaria e il suo rapporto con Beatrice Normandia, bellissima donna, conosciuta nell’infanzia, che ama ma che rifiuta di sposarlo.
Oltre alla relazione contrastante con la madre, una donna burbera e severa, e il forte attaccamento con la zia Susan, una donnina con occhi azzurri più del mare, un sorriso dolce che nasconde una forte personalità.
In definitiva questo libro è la metafora bizzarra ed esilarante di un borghese moderno e rampante.
A metà tra un romanzo di formazione e la critica sociale, tanto da poterlo considerare un precursore dei tempi, dove gli imperi si creano sulla menzogna, dove si evidenzia il volto di una Londra, seppure in era vittoriana, che si potrebbe “attagliare” alla società moderna, sempre pronta a divorare se stessa, che cavalca l’onda senza rendersi conto che esistono zone d’ombra, sotterfugi, imbrogli.
Nonostante in alcuni momenti, a parer mio, i dialoghi sembrano interrompere la dinamica del racconto creando uno stato di empasse, un’aspettativa di ricerca del proprio se, reputo questo testo un grande classico da riscoprire, facile da leggere nonostante le sue 365 pagine, in linea con i tempi moderni.