Una storia nella storia, ovvero un innesto fantasy sulla storia reale. Una favola per riflettere e capire che per ogni guerra e le sue distruzioni materiali e morali c’è sempre un risvolto di buoni sentimenti che vincono su ogni male.
“Puoi annientare una persona, Karolina, ma cancellare la sua storia è molto più difficile. Nessuno smette davvero di esistere finchè la sua storia continua a vivere.”
“Cracovia, 1939. C’era una volta un giocattolaio che fabbricava sogni. Finché i sogni diventarono incubi, e gli incubi diventeranno la realtà. Una favola universale, una storia indimenticabile per tutti coloro che ancora credono nella magia”.
Appena finito di leggere “Il fabbricante di sogni”, di R. M. Romero, edizioni DeA Planeta, ho pensato “che bella storia”! Una favola ambientata sullo sfondo reale di una Polonia, nel 1939, occupata dai nazisti e devastata dalle persecuzioni razziali, di una bambola viva, Karolina, e di un giocattolaio-mago. Una storia bella e amara, come la realtà che racconta, dal retrogusto dolce di favola antica.
In genere, per mia forma-mentis, riesco ad essere distaccata e a leggere con occhio critico, un’opera: lo stile di scrittura, l’evoluzione della storia raccontata, gli eventuali errori (a volte ce ne sono tanti anche di grammatica, sigh…), le ingenuità, i luoghi comuni, tutte quelle caratteristiche, cioè, di un romanzo che si nascondono fra le righe e non saltano agli occhi di un lettore che si interessa solo alla storia e al suo svolgimento ma che un “recensore”, (e uso il virgolettato per non prendere troppo sul serio il mio ruolo che resta ed è, in ogni caso, un parere personale) deve saper vedere. Perchè al di la dei gusti personali, se una storia, un racconto o un romanzo, sono scritti con ricercatezza e un certo stile, il recensore deve saper coglierne con obiettività le qualità: l’obiettività dovrebbe esulare dal parere e dai gusti personali. Con questo, voglio dire che pur non amando, io, il genere fantasy e avendolo trovato in questo romanzo, innestato in una vicenda storica a noi non troppo lontana, reputo il libro coinvolgente e, a tratti, trascinante.
La storia raccontata dalla scrittrice R. M. Romero, si innesta, appunto, sulla storia reale di una città polacca, Cracovia, nel 1939. La protagonista, una bambola vivente, profuga in fuga a sua volta, si trova a dover affrontare con il suo amico giocattolaio, fabbricante di sogni, la dura realtà delle persecuzioni razziali. Vicende storiche e personali dolorose che l’autrice, fa risolvere ai protagonisti, in qualche modo, con l’aiuto della magia.
Lo stile di scrittura risulta scorrevole e quasi impersonale , la storia è giocata su una dualità di ambientazione, unica pecca, a parere mio, di tutto il romanzo è che rimanda colui che legge a continui sbalzi da un’ambientazione all’altra: solo un lettore molto attento può unire logicamente questi sbalzi nel tempo e, parimenti, trovare i parallelismi che l’autrice include fra le righe del racconto. Sbalzi che alternano le vicende storiche reali e le vicende del mondo delle bambole, che penso, possono risultare fuorvianti e a volte, anche superflue nel complesso della storia raccontata.
A parte questo, Il fabbricante di sogni è un bel romanzo o una bella favola che induce a riflettere su quanto può diventare aberrante la condizione umana quando la ragione e la pietà smarriscono la strada, in nome di un’ideologia basata solo sull’odio.
R. M. Romero, è un’autrice cubano-americana di origine ebraica. Vive a Miami Beach, Florida, in compagnia del suo gatto nero e quando non trova l’ispirazione per scrivere, si diverte a leggere fiabe e ad approfondire lo studio del polacco. Queste le pochissime informazioni biografiche, trovate in rete. L’autrice è presente sui social, peccato che i profili siano in lingua inglese o in polacco e la traduzione non è molto agevole.
Nelle note conclusive del libro, l’autrice racconta di aver visitato il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau da adolescente e di aver conservato per lungo tempo nella memoria la tristezza per le atrocità di quei luoghi. Solo dopo molto tempo, ha cominciato a scrivere Il fabbricante di sogni, ambientando il romanzo proprio in Polonia e, probabilmente, per ingentilire e rendere meno tragica la realtà, ha voluto inserire un tocco di magia, forse un sogno che ha la velleità di voler cambiare e rendere più leggera, una delle più terribili pagine della storia umana.
“La cosa triste è che la magia da lui praticata in questo libro non è esistita durante l’Olocausto, così come non sono stati molti i Volksdeutche (polacchi di origine tedesca) che hanno scelto di opporsi al nazismo. Eppure altri tipi di magia erano in atto durante la Seconda guerra Mondiale: il coraggio e la compassione di individui realmente esistiti che, come il giocattolaio, accorsero in aiuto dei loro vicini Ebrei […] Se c’è una cosa di questo libro che spero portiate con voi è quello che Karolina ha detto a Brandt: “Hai sempre una scelta”. Possiamo decidere di prendere parte ad atti esecrabili, di guardare dalll’altra parte… o di alleviare il dolore che vediamo nel mondo con la gentilezza e il coraggio. Per favore, siate gentili. Per favore, siate coraggiosi. Per favore, non lasciate che succeda ancora”.
Termina così il libro, con un messaggio dal tono accorato che l’autrice lancia ai suoi lettori: un richiamo per tutti gli Olocausti che ancora si perpetuano in varie parti della terra, di cui nessuno, o quasi, parla.