Per sentirsi legate da una profonda innata complicità è indispensabile conoscersi da tanto tempo?
Ce lo racconta, sottoforma di autobiografia, Francesca Pieri, responsabile ufficio stampa della Donzelli Editore, al suo esordio nella narrativa con un libro il cui titolo è formato da una sola parola:
“BIANCA”
la storia di Costanza e Silvia, due donne che, grazie a d un lavoro in comune, si incontrano e conoscono, creando immediatamente una complicità, un’immediata e reciproca fiducia che le spinge a rivelare tutto di loro stesse…
Questa la sinossi:
“ … È quello che Costanza e Silvia scoprono incontrandosi per caso in un’occasione di lavoro: in un batter d’occhi si riconoscono e si rivelano tutto di loro stesse, compreso il desiderio di essere madri, che diventa il centro delle loro confidenze. Costanza ha trentacinque anni e un matrimonio solido. Silvia è poco più grande di lei e separata di recente. A distanza di pochi mesi l’una dall’altra, si ritrovano entrambe in attesa di un figlio. Le loro giornate scorrono all’unisono, nutrite dalla stessa felicità, dalle stesse speranze. Fino a quando il destino decide di stravolgere ogni previsione. Spinte in direzioni opposte, le due amiche si trovano costrette a guardare le loro vite allo specchio, nel confronto continuo tra quello che è e quello che invece sarebbe potuto essere. Un incrocio di coincidenze difficile da comprendere le spinge verso un futuro incerto, tutto da ridisegnare. Vicine e lontane nello stesso momento, attraverseranno la rabbia, il rimpianto, la solitudine, la diffidenza, nel tentativo necessario di essere, nonostante tutto, madri.”
Ciò che colpisce immediatamente è il titolo, “Bianca” preludio di purezza, autenticità, innocenza; poi la suddivisione del racconto che consta di quattro parti definite da un titolo, e ciascuna parte viene identificata rigorosamente a cominciare dal numero 1, 2, 3 e così via; e poi il racconto che ci fa apprendere, momento per momento, come le vite delle nostre protagoniste, Costanza e Silvia, si sono incrociate ed evolute; Costanza che racconta, guardandosi dentro e guardando l’amica, spaziando dal proprio vissuto di ragazza genuina e trasparente, attenta, senza grilli per la testa, in costante bilico tra desideri ed aspettative; utilizzando sempre il noi.
“In genere funzionava così. Io lavoravo piuttosto lontana da casa, tu eri a dieci minuti dal mio ufficio. Mi venivi incontro per pranzo alle tredici e trenta o, a volte, per una colazione veloce prima di iniziare la giornata….”
“Una parte di me voleva portarsi via qualcosa da ogni luogo in cui mi sentivo a mio agio. Ovunque, del resto, misteriosamente lasciavo qualcosa di me.”
I dialoghi tra di loro sono un optional e quando ci sono vengono evidenziati in corsivo così che il filo logico del discorso non perda il suo effetto, ciò rende il libro scorrevole e ben scritto.
Costanza è sposata felicemente con Marco mentre Silvia ha divorziato dal marito; entrambe vorrebbero tanto un figlio.
L’autrice sceglie con cura le parole, le plasma adattandole con consapevolezza anche quando racconta della maternità, prima di Silvia, poi di Costanza…
“Non ero riuscita ad aggiungere altro e a nulla si era rivelato utile il mio collaudato vocabolario dei sentimenti al quale facevo ricorso quando restavo un passo indietro alle cose.”
I personaggi sono ben caratterizzati, le due amiche potrebbero essere ciascuna di noi: sensibili, forti, indipendenti. Donne. Gli uomini, anche se marginali, trovano il loro posto: il marito di Costanza è una presenza discreta, amorevole, in grado di dare sicurezza, di essere porto di attracco solido. In contrapposizione troviamo “l’uomo” da cui Silvia avrà un figlio… una comparsa “il momento più libertino”.
La gravidanza le unirà ancor di più, poi accade qualcosa di impensabile e l’amicizia tra le due donne vacillerà.
L’ambivalenza del sentire materno e in generale delle relazioni umane, la separazione, la delicatezza e l’imponderabilità del confine che separa la scelta della fatalità, la rivolta contro il proprio destino, la tessitura paziente dei legami d’amore, il valore della parola contro il disordine della vita.
E’ vero, c’è anche un momento straziante e doloroso, scene forti e crude che ti fanno soffermare e riflettere. Ma quando mai la vita scorre su binari diritti e lisci? Temi delicati che ciascuno di noi vive nella quotidianità, la Pieri è riuscita a trattarli in modo diretto ma con delicatezza anche quando l’atmosfera diventa decisamente cupa.
“Nel frattempo muoio io, con lentezza, con un dolore infinito che non somiglia a niente, a niente che io possa ricordare.“
Ebbene, arrivare alla fine mi ha fatto provare comunque un moto di speranza.
L’amicizia tra due donne può esistere e non finire mai perchè non ha bisogno di scuse, è fatta di alti e bassi, di silenzi e attese cariche di ansie, ha bisogno di tempo, di cure, di presenza nell’assenza.
Una storia di riscatto dal dolore, di ricomposizione della trama del proprio vivere a partire da un taglio, dal riconoscimento della ferita, dal suo spessore e dal segno che ci lascia sulla pelle. E poi, della rivincita della vita, una rivincita che ciascuno di noi mette da parte per fronteggiare la propria esistenza.
Grazie Francesca Pieri per la coraggiosa indagine sull’amicizia femminile e sui meccanismi che accompagnano le scelte più complesse.