Conosci l’effetto che fa chiudere le pagine dell’ultimo libro che hai letto e pensare: “Che bel libro!”? Proprio quell’effetto che ti fa sorridere e credere che se ci sono scrittori capaci di scrivere così e sono italiani, allora è proprio vero che la genialità italiana gode buona salute e piazza questo, per altri versi, sgangherato Paese in buona posizione nel mondo letterario. Pensi che sto esagerando? Può darsi, queste che sto scrivendo sono le impressioni a caldo, le prime, dopo aver finito la lettura di Planimetria di una famiglia felice di Lia Piano, edizioni Bompiani, in libreria dal 28 Agosto 2019 e definirle positive, mi sembra il minimo.
Ironico, surreale, dissacrante, paradossale, spassoso, geniale, poetico…
Questi sei aggettivi riassumono, in estrema sintesi, il contenuto del libro che si legge quasi tutto di un fiato: sia per la brevità, sono soltanto 160 pagine che per lo stile di scrittura e per la storia raccontata. Planimetria di una famiglia felice, non è il classico libro di memorie familiari o di ricordi infantili addolciti dal tempo che rende tutto più bello e incantato, è un libro dove l’ironia e l’autoironia, palese o strisciante, gioca il suo bel ruolo d’attacco, così per rendere bene l’idea, prendo in prestito dal linguaggio calcistico l’espressione. Di “attacco massiccio e sistematico” vero e proprio si può parlare perchè non c’è pagina in cui non sia presente.
Planimetria di una famiglia felice è anche una storia surreale: un surrealismo che la avvicina ai grandi maestri del surrealismo italiano (non a caso l’autrice ama leggere Calvino), dove fantasia e realtà si mescolano ed interagiscono in un connubio perfetto che rasenta la genialità.
Lia Piano, terza figlia dell’arcinoto architetto Renzo Piano, racconta la storia “planimetrica”della sua famiglia, con le gioie, i dolori, le avventure di una famiglia alternativa tra invenzione ed autobiografia. Lo fa in una maniera originale e dissacrante. Le figure genitoriali sembrano uscirne demolite ma la demolizione non li rende inadatti al ruolo, piuttosto li fa apparire estrosi, originali, fuori dalle righe e, alla fine, si desidera quasi di avere genitori così: genitori che costruiscono una mensola lungo 307 metri, che percorreva tutte le stanze, avvolgendo i muri come un nastro e che si preoccupano di vietare il vietato. Quella di Nana, così è chiamata la protagonista in famiglia, è un’infanzia piena di urla, risate, corse, di cani, pulcini, galline e rane che circolano indisturbati per le stanze, di candele accese nella notte, di esperimenti di chimica, di riprese cinematografiche improvvisate, di fogli che volano al vento delle finestre aperte, di rumori di tacchi materni e martellamenti paterni, di profumi di tuberose e odori di cibo calabrese; una famiglia dove Vietato vietare è scritto in bella mostra alle pareti di tutte le stanze ed esposto come si espongono i quadri d’autore.
La notte la casa era percorsa da risate e bisbigli, passetti e oggetti trascinati senza senso da una stanza all’altra. Eravamo una famiglia insonne e perdutamente felice.
Altro aspetto non indifferente, il paradosso che oltre a far sorridere (a volte anche ridere) il lettore, dimostra l’abilità dell’autrice ad orchestrare bene i suoi “strumenti”, dosando realtà e finzione in maniera perfetta e mai esagerata. Sono proprio i paradossi presenti tra le pagine di Planimetria di una famiglia felice che rendono il romanzo spassoso, piacevolissimo da leggere: una lettura leggera che non rende il contenuto superficiale, tutt’altro. La leggerezza racchiude il segreto di una famiglia insonne perdutamente felice e trasgressiva, fuori dalle regole comuni, che trascina e affascina il lettore, pagina dopo pagina. Perchè questa famiglia è decisamente felice, di quella felicità che nasce dalla totale apertura mentale che detesta le convenzioni e in essa si respira una grande aria di libertà e follia, creatività, accettazione e condivisione: una planimetria decisamente inconsueta, ironica, allegra, scanzonata.
La genialità di Lia Piano è racchiusa nel modus che ha adottato per scrivere Planimetria di una famiglia felice: non ha raccontato la sua infanzia con il sapore nostalgico dei ricordi, con la malinconia di un tempo vissuto e passato o con l’orgoglio di chi ha avuto una famiglia “speciale”, ha raccontato la sua storia, il suo vissuto di bimba con gli occhi di bimba ed è per questo che è stata, non so quanto involontariamente, poetica. C’è poesia nel dedicare il romanzo a Pippo, il suo cane, fedele compagno-bambola (lo trucca e lo veste con tulle e chiffon) di tutte le avventure; come c’è poesia nel dormire tutti insieme per terra nel salone di casa, solo per guardare le stelle; c’è poesia nell’essere sollevata dal padre, tutte le volte (spesso) che le inciampava contro, e posta sulle sue spalle ad guardare il mondo da un’altra angolazione; c’è poesia nel ricordo di un’infanzia diversa, incantata, magica e felice.
Aprire questo romanzo è come entrare nella grande casa dove è possibile un’infanzia incantata. E se hai vissuto lì anche solo un giorno, nessuno potrà rubarti la tua riserva di felicità quando la vita si fa dura.
Unico neo di un libro che mi è piaciuto tantissimo? A mio parere la copertina, qualcosa di più colorato avrebbe dato un tocco di brio e avrebbe reso meglio l’idea del contenuto. Ovviamente è un dettaglio.
Lia Piano è nata a Genova nel 1972, terza di tre fratelli che poi diventeranno quattro. Laureata in lettere, dal 2004 si occupa della Fondazione Renzo Piano. Oggi vive e lavora in moto perpetuo fra Parigi, Genova e qualsiasi altro luogo del mondo. In attesa di radicare, ha scritto il suo primo libro. E’ una lettrice accanita, pronta a sbranare letteratura e saggistica. Recentemente si è scatenata in una rilettura di Italo Calvino. Ama Parigi ma preferisce i ristoranti italiani. Per le vacanze, la sua massima aspirazione è adagiarsi sulla barca a vela.