Si chiama Made in Sweden ed è il nuovo libro di Elisabeth Åsbrink (traduzione di Alessandro Borini), pubblicato in Italia da Iperborea. Nella prefazione, Elisabeth Åsbrink ci racconta «Ho scritto questo libro perché l’idea mi divertiva, e perché mi dà da pensare. L’ho scritto perché io sono nata in Svezia, ma i miei genitori no: mio padre arrivò qui come rifugiato politico, mia madre perché si era innamorata. L’ho scritto perché l’identità a molti crea problemi, ma raramente euforia.»
La prefazione continua con una riflessione sull’identità svedese e sull’appartenenza, in cui Elisabeth Åsbrink passa dalla salsiccia di Falun al suffragio universale, dai knack fatti in casa alla parità di retribuzione, dal sentirsi un’estranea a rendersi conto di quanto profonda sia invece la sua svedesità.
«I capitoli di questo libro possono essere letti uno dopo l’altro oppure per argomento, indipendentemente dall’ordine cronologico. Per me sono come i pixel dell’immagine che gli svedesi hanno di sé» ci incalza Elisabeth Åsbrink, sempre nella prefazione.
Svedesi sono alcuni personaggi che conosciamo tutti, come per esempio il naturalista Linneo, il personaggio di fantasia Pippi Calzelunghe – nata dalla mente di Astrid Lindgren, il premio nobel Selma Lagerlöf, il calciatore Ibrahimović, l’attrice Ingrid Bergman e l’Ikea. Ma della Svezia in quanto tale, quanto ne sappiamo?
Made in Sweden, di Elisabeth Åsbrink
Con la sua società aperta, accogliente e tollerante, il suo welfare collaudato, il civismo proverbiale e l’ambientalismo d’avanguardia, la Svezia è da tempo un modello che si osserva con ammirazione e stupore: uno stato che sa coniugare la ricchezza con la redistribuzione, la libertà con l’eguaglianza. A questo idillio politico-sociale si sono aggiunti il design, la moda, il cibo, la cultura, ma ancor più la sensazione che lo stile di vita scandinavo sia quanto di più desiderabile, sofisticato ed evoluto ci sia al mondo. Ma dove affonda le radici questa idea di società?
O meglio, come sono nate le idee che hanno reso possibile questa sorta di utopia? O peggio, e se invece non fosse che una bella favola che gli svedesi raccontano a se stessi (e agli altri)? Con divertita intelligenza, in un caleidoscopio di storie e salti nel tempo, Elisabeth Åsbrink – svedese di nascita ma di origini anglo-ungheresi – ci accompagna in un viaggio tra cinquanta parole, eventi, persone e personaggi che hanno fatto la Svezia.
Dall’ambizione di Linneo di catalogare la natura intera all’esuberanza del leggendario primo ministro Olof Palme, deciso a rendere la Svezia la prima «superpotenza morale» della storia, dalla rivoluzionaria visione pedagogica di Ellen Key – fonte di ispirazione sia per Astrid Lindgren e la sua Pippi che per Maria Montessori – al divismo di Zlatan Ibrahimović, tanto inviso a inizio carriera per l’individualismo sfacciato quanto poi celebrato come icona della nuova «svedesità», Åsbrink affascina con collegamenti sorprendenti mentre infrange miti indiscutibili, come può permettersi solo una patriota la cui solidità intellettuale è fuori discussione: «Amo il paese in cui mi è capitato di nascere, ma non ciecamente.»
Elisabeth Åsbrink
Scrittrice e giornalista svedese, nata nel 1965 a Göteborg, Elisabeth Åsbrink è conosciuta soprattutto per i suoi reportage letterari di argomento storico e sociale, scritti con uno stile unico in cui sensibilità, documentazione e narrazione formano uno splendido connubio. Il suo primo libro pubblicato in Italia da Iperborea si intitola 1947.
Un altro suggerimento di lettura, sempre della stessa autrice: 1947
Dove comincia il presente? Quando nascono le forze, i conflitti e le idee che governano la nostra epoca? Inseguendo le tracce della famiglia che non ha mai potuto conoscere, Elisabeth Åsbrink ci trasporta in un anno cruciale del ’900, nel momento in cui l’Occidente, reduce dal Secondo conflitto mondiale, è di fronte a una serie di bivi e possibilità ancora aperte, e compie scelte decisive per i nostri giorni. È il 1947 quando scoppia la Guerra fredda, viene istituita la CIA e Kalašnikov inventa l’arma oggi più diffusa al mondo; l’ONU riconosce lo Stato di Israele e il figlio di un orologiaio egiziano lancia il moderno jihad.
È solo nel ’47 che viene redatta la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, prima sconosciuti all’umanità quanto il termine «genocidio», coniato da un giurista polacco che ha perso la famiglia nei Lager. E mentre una rete clandestina di organizzazioni internazionali mette in salvo i gerarchi del Reich e rilancia gli ideali fascisti, Primo Levi riesce a pubblicare Se questo è un uomo, un disilluso George Orwell scrive il profetico 1984 e Christian Dior crea il suo controverso New Look. In mezzo a tutto questo, tra le masse di profughi ebrei che attraversano l’Europa in cerca di una nuova vita, c’è il padre dell’autrice, un orfano ungherese di dieci anni, davanti a una scelta che deciderà il suo futuro.
In un racconto poetico e documentatissimo, che ci cala nei destini di personaggi d’eccezione e persone comuni, Åsbrink ricompone il puzzle di un anno emblematico per la sua identità personale e per quella collettiva. E scavando nei retroscena degli eventi, fino agli istanti in cui la Storia avrebbe potuto prendere un altro corso, arriva all’origine di quei nodi che non abbiamo ancora sciolto.