Caro iCrewer, per la nostra rubrica Lifestyle ti vorrei parlare della performancer Marina Abramović. Prima di tutto una donna e poi un’artista che ha fatto di sé stessa e del suo corpo un mezzo di denuncia contro una società sempre più crudele e sempre più corrotta.
Marina Abramović: biografia di un’artista
Marina Abramović nasce il 30 novembre 1946 nella capitale serba di Belgrado, da genitori partigiani ed esponenti graduati dell’esercito comunista di Tito. Il padre di Marina, Vojin Abramović, fu un comandante riconosciuto, dopo la guerra, eroe nazionale; la madre, Danica Rosić, maggiore dell’esercito, alla metà degli anni sessanta fu nominata direttrice del Museo della Rivoluzione e Arte in Belgrado.
E proprio dopo questo ruolo affidato alla madre, Marina Abramović si avvicina all’arte e al suo studio. Dal 1965 al 1972 ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Belgrado. Dal 1973 al 1975 ha insegnato presso l’Accademia di Belle Arti di Novi Sad, mentre creava le sue prime performance.
Nel 1974 viene conosciuta anche in Italia, dove presenta la sua performance, Rhythm 4, esposta a Milano, nella Galleria Diagramma di Luciano Inga Pin. Nel 1976 lascia la Jugoslavia per trasferirsi ad Amsterdam. Nello stesso anno inizia la collaborazione e la relazione con Ulay, artista tedesco. Nel 1997 vince il Leone d’oro alla Biennale di Venezia con l’esecuzione Balkan Baroque.
Marina Abramović e Ulay iniziano a lavorare insieme a delle performance che segneranno la storia dell’arte contemporanea, fino alla separazione del 1988, anno che decreta la fine del loro rapporto professionale e amoroso. Marina Abramović e Ulay tengono la loro ultima performance sulla muraglia cinese, realizzando un’opera piena di significati e interpretazioni: The Lovers.
Gran parte del loro lavoro insieme riguardava l’identità di genere, più notoriamente Imponderabilia (1977), in cui stavano nudi mentre si fronteggiavano nello stretto ingresso di un museo, costringendo i visitatori a stringersi tra di loro e, così facendo, a scegliere quale dei due affrontare e toccare.
Rhythm 0: dimostrazione della crudeltà umana
Nel 1974, nella galleria studio Morra a Napoli, Marina Abramović mise a rischio la propria incolumità per dar vita a una performance che si trasformò in un vero e proprio esperimento sociologico, volto a dimostrare il livello di spietatezza che l’essere umano è in grado di raggiungere nei confronti dei propri simili, laddove abbia la possibilità di infierire impunemente.
La performance fu allestita così: Abramović si posizionò immobile al centro di una sala della galleria – come fosse un manichino – e mantenne questa stessa posizione per sei ore consecutive. Accanto a sé, in sala, l’artista aveva predisposto 72 oggetti diversi, tra i quali molti oggetti finalizzati a procurare piacere psicologico e sensoriale come fiori, piume, acqua, pane, un profumo, una rosa, e del miele. D’altro canto, furono inseriti tra questi oggetti anche strumenti capaci di procurare dolore, e potenzialmente pericolosi e letali; tra questi spiccavano un coltello da cucina, un coltello tascabile, una sega, uno scalpello, delle catene, un’ascia e perfino una pistola con proiettili.
Nella sala in cui si svolse la performance, Marina Abramović aveva apposto un cartello con le istruzioni che i partecipanti avrebbero dovuto seguire. Il cartello recitava:
Ci sono 72 oggetti sul tavolo che possono essere usati su di me nel modo in cui desiderate. Io sono l’oggetto. Mi assumo completamente la responsabilità di quello che faccio. Durata: 6 ore, dalle 20:00 alle 2:00.
Nelle prime ore della performance, il pubblico non si è sbilanciato e non mostrò nessun comportamento crudele. Alcuni si avvicinarono all’artista per osservarla, altri iniziarono a farle delle carezze a mani nude, altri ancora la sfiorarono con una piuma e presero a farle il solletico. Poi la situazione degenerò e ai danni della performer serba furono perpetrati atti di estrema violenza e crudeltà inaudita.
L’artista ha dichiarato:
Inizialmente erano pacifici e timidi, ma rapidamente è iniziata un’escalation di violenza.
Quando il pubblico aveva capito che Marina non avrebbe reagito, iniziarono ad esagerare. Il pubblico iniziò a comportarsi in modo sadico e violento.
Alcuni presero a tagliarle tutti i vestiti che aveva indosso e la lasciarono completamente nuda, altri la spinsero, la trasportarono da un luogo all’altro della sala procurandole vistosi tagli sulla pelle. Più il tempo passava, più le azioni si facevano gratuitamente crudeli: qualcuno le conficcò le spine della rosa nella carne, qualcuno succhiò il sangue dalle sue ferite, altri assistevano passivamente mentre il volto dell’artista si rigava di lacrime. Il pubblico è stato capace di compiere anche abusi sessuali: Abramović fu legata e palpata da uomini che sfogarono sul suo corpo i propri impulsi sessuali.
L’apice della spietatezza si raggiunse quando qualcuno mise in mano all’artista una pistola carica e gliela puntò contro la gola; fu in quell’istante che, di fronte al pericolo concreto che Abramović perdesse la vita, il gallerista si avventò sulla scena, prese la pistola e la lanciò fuori dalla finestra.
Allo scadere delle sei ore, la Abramović prese a camminare verso coloro che l’avevano maltrattata e coloro che avevano messo in atto ogni tipo di crudeltà. Il pubblico in quel momento prese coscienza del fatto che l’artista era viva e cosciente. Il pubblico arretrava spaventato all’avanzare dell’artista, si mise quasi in fuga, evitò in tutti i modi di incrociarne lo sguardo o di avere un contatto ravvicinato con lei. Nessuno ebbe il coraggio di guardare negli occhi serenamente la donna.
Questa performance si dimostrò essere un vero e proprio esperimento psicologico. L’esperimento dimostrò che che l’uomo è portato ad accanirsi con una violenza inaudita e illimitata su chiunque si trovi in una posizione di subalternità.
Marina Abramović è stata una donna che più di una volta ha scosso le coscienze e gli animi. Credo che questo sia stata la performance più forte e crudele che lei abbia mai realizzato.