Oggi, in Libri dalla Storia parliamo di un argomento che mi ha sempre incuriosito: i quipo, l’insieme di cordicelle annodate che costituiva il sistema di scrittura dell’impero Inca, una delle più grandi società precolombiane.
Sembra straordinario e anche un po’ incomprensibile, no? Cosa significa che scrivevano con cordicelle annodate? È completamente fuori, lontano mille miglia dal nostro concetto di scrittura, eppure è proprio così. I messaggeri che percorrevano le Ande in lungo e in largo non portavano con se rotoli di pergamena, di papiro o tavolette d’argilla, oppure pezzetti di corteccia intagliati, ma i quipo.
Quipo: la prova che non tutti i sistemi di scrittura sono bidimensionali
Come facevano i funzionari dell’impero Tahuantinsuyu – Inca – a comunicare, prendere nota, fare rapporto? Ad essere sinceri, gli studiosi ancora non lo sanno con certezza. Tuttavia, la soluzione di questo mistero è probabilemte racchiusa in parte anche nella decifrazione dei quipo.
Chiamati anche quipu, in lingua quechua, sono delle cordicelle annodate in modo sistematico, con una distanza fissa e sempre uguale, a una corda più grossa, che funge da sostegno. Potevano essere composti da poche corde, così come da più di duemila e i messaggi erano inalterabili. Una volta annodate, infatti, le corde venivano bagnate, fatte seccare e poi ricoperte da resine particolari (un metodo piuttosto efficace, secondo me, se consideriamo che a volte io non riesco a sciogliere nemmeno i nodi dei sacchetti della frutta, figuriamoci se vengono praticamente incollati).
E quali erano questi messaggi così importanti, da non dover essere alterati? Per ora, gli studiosi concordano sul fatto che si trattasse principalmente di registrazioni matematiche: censimenti, calcoli delle tasse, compravendite, rendimenti e via dicendo. I quipo erano anche utilizzati per calcoli astronomici, per registrare in modo sommario eventi storici e per formule magiche.
Ciò era possibile in quanto ogni nodo rappresentava un numero e la sua posizione indicava decine, unità, ecc. Vi erano tre metodi per annodare una cordicella: nodi semplici; nodi lunghi fatti di due o più giri e nodi a forma di otto (sì, la faccenda è esattamente complessa come ti sta sembrando in questo momento). Si pensa che alcune serie di numeri possano essere in realtà una cifra identificativa di una specifica città o di un avvenimento, ma non c’è nessuna Stele di Roseta che aiuti gli storici occidentali a capire e decifrare in profondità i quipo.
Tuttavia, nel 2005 Gary Urton e Carrie J. Brezine pubblicarono in una rivista di settore l’articolo Khipu Accounting in Ancient Peru, in cui affermavano di aver identificato un toponimo (un nome di città) all’interno di un quipo. Si tratta del primo messaggio non numerico a essere stato decodificato.
Fatto sta che, in generale, quello dei quipo rimane sostanzialmente un mistero, soprattutto perchè ognuno dei seicento messaggi giunti fino a noi è privo di contesto di riferimento. Gli esemplari più antichi sono stati ritrovati nell’insediamento di Caral a Supe, in Perù, abitato tra il 3000 a.C. e il 2000 a.C., quindi un bel po’ prima dell’avvento dell’impero Inca.
Nella società Tahuantinsuyu, i quipo erano principalmente creati e usati dai Quipucamayocs, i ragionieri, che li utilizzavano sia come metodo di registrazione, sia come supporto alla memoria – come attestano le fonti prodotte dai Conquistadores spagnoli. Erano in grado di decodificarli, però, anche gli appartenenti alla classe nobiliare e dirigente, e gli storici (quindi, secondo me, avrebbe senso che non riportassero solo numeri e codici… sarebbe un po’ complesso raccontare la storia di un popolo in questo modo, non credi? Ma io sono solo un’appassionata, non un’addetta ai lavori).
Con la conquista e l’evangelizzazione spagnola, l’utilizzo dei quipo venne bandito e oggi solamente i pastori peruviani e boliviani ricorrono ancora a questo antico sistema di scrittura tridimensionale.
Consiglio di lettura: Le torri di vetro, di Natasha Pulley
La prima volta che ho sentito parlare dei quipo, ero ancora alle superiori, e già allora ricordo di aver cercato qualche altra notizia. Immagina il mio stupore quando, leggendo Le torri di vetro di Natasha Pulley, edito da Bompiani, mi sono imbattuta in un personaggio che consulvata proprio queste cordicelle.
Non si è trattato solamente di un dettaglio curioso, ma di un particola importante, che ha ricollegato quell’uomo a una parte molto precedente della Storia, aprendo nuove porte d’interpretazione alla narrazione (e non ti dico altro, perchè altrimenti… spoiler!). Tuttavia, non ti nascondo che è stato molto piacevole riconoscere subito ciò di cui l’autrice stava parlando.
Se invece vuoi leggere qualcosa ambientato durante gli ultimi anni della civiltà Inca, allora ti consiglio la serie Incas di Antoine B. Daniel.
Articolo molto interessante. Questa rubrica mi piace tantissimo ❤️
Grazie mille Erika! Sono davvero felice che la rubrica ti piaccia e che tu abbia trovato l’articolo interessante!