L’articolo di oggi, caro iCrewer, è stato complesso da scrivere. Ti dico subito che parleremo di Aleksandr Sergeevic Puškin, uno fra i più grandi autori russi di sempre, e del suo romanzo La figlia del capitano, una storia di rivolte dei deboli, oppressi dal potere centrale.
So che sarebbe più giusto parlare di Ucraina, delle sue tradizioni, della sua letteratura, delle grandi opere che ne hanno segnato la cultura. Personalmente, però, non sono in possesso delle conoscenze necessarie per farlo, e non credo nemmeno che nel momento storico attuale sarebbe sufficiente approcciare tali temi con alle spalle soltanto una ricerca sul web. Penso che sia corretto avere un bagaglio molto più ricco, solido e formato, prima di scrivere – o dire – qualunque cosa riguardo il popolo ucraino.
Per questo ho deciso di cambiare approccio e parlare di una Russia contadina e rivoluzionaria. Bada bene, questa scelta è basata esclusivamente sulle mie maggiori conoscenze in ambito di letteratura russa. Condanno ogni singola azione offensiva compiuta dal governo russo nei confronti di ogni persona, a prescindere dalla sua nazionalità – perchè ricordiamoci che è prima di tutto il governo russo ad aver iniziato questa guerra, non di certo il popolo russo.
Quindi, invece di raccontarti fatti su zar e città splendenti, su lunghe dinastie o elogi alla bellezza, ho deciso di concentrarmi su quella che è stata la più grande rivolta contadina della storia dell’impero zarista, la rivolta di Pugacëv (1773-1775), vista attraverso le pagine del romanzo storico di Aleksandr Puškin.
La più grande rivolta contadina russa narrata dalle parole di Puškin
La mamma era ancora incinta di me quando sono stato arruolato nel reggimento Semënovskij per il gentile intervento del maggiore della Guardia principe B., nostro parente stretto. Se, a dispetto di ogni attesa, la mamma avesse partorito una figlia, papà avrebbe denunciato all’apposito ufficio la morte del mai esistito sergente e la faccenda sarebbe finita così.
La figlia del capitano, Aleksandr Puškin, pp 3
Tratteggiamo un breve quadro storico dell’Impero russo (all’epoca sì che si poteva definire così, ora dovrebbe essere inconcepibile anche solo il pensiero di un’entità statale del genere) nella seconda metà del Settecento: la forma di governo era una monarchia assoluta, e sul trono sedeva già da un po’ Caterina II, detta la Grande. La monarca aveva avviato un processo di riforme, per cercare di rinnovare il Paese e renderlo più simile agli altri Stati europei.
Per farlo, aveva persino intrapreso uno scambio epistolare con l’illuminista francese Diderot, ma senza che ciò desse troppi frutti (il filosofo stesso, in altre lettere, afferma che l’Illuminismo in Russia non poteva attecchire, visto che la monarchia prendeva in considerazione soltanto gli aspetti del movimento che le erano più vantaggiosi).
Nel frattempo, però, la situazione della stragrande maggioranza della popolazione era molto precaria: la servitù della gleba era ancora presente e, sebbene non più considerati unicamente come proprietà del padrone, servi e contadini non erano comunque liberi di esercitare il proprio volere (la servitù della gleba verrà abolita soltanto nel 1861, quando l’Italia intraprendeva il processo di unificazione nazionale). A ciò si deve aggiungere una considerazione: in Russia vivevano, e convivono tutt’ora, quasi un centinaio di etnie diverse, con culture, tradizioni e usanze differenti.
Cominciava a imbrunire quando giunsi a casa del comandante. La forca con le sue vittime era un’ombra nera e spaventosa. Il corpo della povera comandante era ancora abbandonato accanto al terrazzino d’ingresso presso il quale montavano la guardia due cosacchi.
La figlia del capitano, Aleksandr Puškin, pp 72
Immaginerai, perciò, come Emel’jan Ivanovič Pugačëv, un cosacco ex-tenente dell’esercito zarista, riuscì a fare leva non soltanto sui sentimenti di dissenso generati dalla guerra contro l’impero ottomano (sì, quella russa è una storia costellata di guerre, repressioni, e censura), ma anche sulla paura di veder cancellata la propria cultura, per radunare attorno a sé un vasto gruppo di dissidenti, e dare il via alla rivolta. Gli scontri durarono dal 1773 al 1775, con un’enorme perdita di vite umane da ambo le parti, visto che il governo centrale aveva inizialmente sottovalutato il pericolo rappresentato da Pugačëv, e non aveva dato peso alle richieste di aiuto delle province.
Ora, vorrei davvero poterti dire che questa rivolta fu il punto di svolta nel governo di Caterina II, verso un’inclusione e una tolleranza più estese, ma accadde esattamente l’opposto. Una volta giustiziati i rivoltosi, infatti, la monarca decise di dare una direzione totalitaria la suo governo, rafforzando la presenza militare in tutto il territorio e mettendo una pressione ancora maggiore sulla censura (che non ha praticamente mai cessato di esistere).
“Vostra nobiltà!” disse Pugacëv vedendomi. “Benvenuto; accomodatevi, di grazia.”
La figlia del capitano, Aleksandr Puškin, pp 72
La figlia del capitano uscì nel 1836, come appendice a una rivista. In questo romanzo, Puškin utilizza un linguaggio semplice e scorrevole, a tratti ironico, per narrare la vicenda della rivolta di Pugačëv dal punto di vista di un piccolo proprietario terriero.