La bellezza dei testi antichi, spesso sta proprio nella loro veste datata, nelle loro pagine ingiallite e usurate, nelle parole che si leggono a fatica, perchè innumerevoli dita ne hanno cancellato l’inchiostro. Tuttavia, a volte è piacevole poter consultare un volume ripubblicato ai giorni nostri (magari in una veste grafica che lo rende più facile da consultare da portarsi appresso). Questo è proprio il caso della Saga di Búi Andríðsson.
Si tratta di una saga islandese datata intorno al XIV secolo e ripubblicata qualche mese fa dalla casa editrice Iperborea – specializzata nella traduzione di letteratura nordica, nonché editrice del periodico di viaggi The Passenger e collaboratrice alla pubblicazione della rivista Cose spiegate bene, insieme al Post – che ha deciso di dare nuova vita a questo testo.
Le particolarità di quest’opera sono principalmente due: prima di tutto, si tratta di uno dei pochi testi ambientati nei pressi dell’odierna capitale, Reykjavik. L’altro punto riguarda i temi della trama, in un primo luogo orientata verso la narrazione della vicende di un gruppo di coloni (topos appartenente a un filone più classico di saghe), per poi concentrarsi soprattutto su un personaggio,
Ti presento ora la trama della
Búi, discendente dei colonizzatori di Kjalarnes, è un ragazzo poco promettente: ribelle e testardo, non vuole saperne di offrire sacrifici agli dèi e, quando è messo al bando per empietà, non solo dà fuoco al tempio pagano, ma continua a girare «disarmato come le donne».
La semplice frombola che porta legata in vita si rivela però un’arma terribile, e Búi, grazie anche alle arti arcane della madre adottiva Esja, riesce a sottrarsi alle ire dei signori locali e a fuggire in Norvegia, dove per aver salva la vita lo aspetta una prova giudicata impossibile: dovrà introdursi nell’introvabile regno di Dofri, sovrano dei giganti, e ottenere la sua preziosa scacchiera. Stavolta ad aiutarlo è la figlia di Dofri, della quale si innamora.
E dopo essersi separato da lei torna carico di onori e ricchezze in Islanda, dove si stabilisce come signore della sua contrada di origine. Ma qualche anno dopo il destino bussa alla porta: è il figlio Jökull, avuto dalla principessa dei giganti e venuto a reclamare la sua eredità.
Esempio di «saga degli islandesi» tardomedievale, la storia di Búi Andríðsson tende a sfumare il passato storico della Terra del Ghiaccio nel leggendario e nel fantastico, intrecciando i temi classici della colonizzazione d’Islanda, della faida e della tensione tra paganesimo e cristianesimo a quelli della ‘quest’ eroica, della sfida impossibile e della lotta contro esseri soprannaturali. E le avventure del figlio di Búi narrate nel suo seguito (Racconto di Jökull Búason) virano più decisamente verso il fiabesco e l’esotico, tra terre selvagge di Groenlandia, temibili orchesse e anelli magici, costruendo un altro pezzetto di quel lungo arco che congiunge la tradizione orale di cui le saghe si nutrirono al gusto del lettore moderno.