Il libro che oggi intendo tirar fuori dalle sabbie della Storia non è un libro qualunque. Si tratta, infatti, di un ricettario, peraltro, uno dei più antichi della nostra tradizione occidentale!
Si tratta di una raccolta di svariate ricette appartenenti ad un certo Apicio vissuto tra il I e IV secolo d.C.
Il Libro di Apicio (De re coquinaria) ci dà un’idea dei gusti e delle usanze alimentari degli antichi romani, se non altro dei più ricchi e sfarzosi.
Senza ulteriori indugi lanciamoci alla scoperta di questo curiosissimo ricettario antico!
Apicio: cuoco e gastronomo
Ma chi era l’autore di questo ricettario? La risposta non è semplice. Sembra infatti che ci fossero ben tre (o forse addirittura quattro) diversi Apicio, tutti uomini particolarmente rinomati per la loro ingordigia.
Il primo, vissuto intorno al I secolo d. C., sembra che fosse un uomo particolarmente ricco, amante del cibo e del lusso più sfrenato. Si racconta che questo Apicio si suicidò quando, sperperato tutto il suo patrimonio, si rese conto di non poter più mantenere il suo stile di vita.
Dal momento che anche gli altri Apicio sembra abbiano avuto personalità molto simili, è stato ipotizzato che questo, più che un nome vero e proprio, fosse in realtà un soprannome affibbiato ai maggiori “ghiottoni” dell’Impero Romano.
Ma non si trattava solo di gran mangioni, ma anche di cuochi provetti! Difatti molti critici ritengono che Apicio significasse, appunto, “esperto di cucina” e che il Libro di Apicio fosse, in realtà, un ricettario “aperto” arricchito di volta in volta dai maggiori cuochi dell’Impero tra il I e il IV secolo.
Insomma questo ricettario non è poi molto diverso da quello che le nostre nonne ci tramandavano di generazione in generazione!
Dalle ricette riportate però sembra che i compilatori di questo ricettario fossero dei grandi amanti di cibi “esotici”. Sono moltissimi gli ingredienti provenienti dall’Asia o da territori ai confini dell’Impero. Insomma la cucina romana dei primi secoli non può certo dirsi una cucina a chilometro zero!
Il ricettario di Apicio: struttura e ricette
“La cucina è una scienza esatta!”
Quante volte abbiamo sentito questa frase negli show culinari o dalle nostre nonne che ci rimproveravano se per sbaglio non avevamo rispettato scrupolosamente le dosi prescritte dalla ricetta?
Ebbene ai Romani non sembra importare granchè di questi dettagli. Nelle ricette di Apicio, infatti, non ci sono dosi né elaborati procedimenti di cottura. In verità le ricette si presentano più che altro come una lista di ingredienti (tanti ingredienti!) con qualche indicazione sommaria su come legarli assieme.
Il ricettario è composto da dieci libri, ciascuno destinato ad una classe di alimenti diversa. Colpisce la fantasiosità di queste ricette, ricchissime di spezie e condimenti (che in realtà erano il piatto principale) e di accostamenti che oggi difficilmente potremmo apprezzare. Il gusto di queste pietanze doveva essere certamente forte e poco convenzionale…almeno per noi.
Ovviamente si tratta di ricette destinate ad una cucina ricca ed opulenta che nulla aveva a che fare con la semplicità ed essenzialità della cucina povera.
Ecco un breve riassunto di questo ricettario:
- Il primo libro è dedicato ai vini e ai diversi metodi di conservazione dei cibi e delle bevande. I Romani sembra che fossero grandi estimatore del miele che usavano sia per addolcire il vino che per conservare i cibi.
- Il secondo libro è dedicato alle carni tritate. È forse il libro più semplice e “popolano”. Spiccano polpette e salsicce di tutti i tipi: di carne, ortaggi e pesce, condite con salse pungenti e l’immancabile garum o liquamen (una salsa a base di interiora di pesce fermentate) che Apicio sembra utilizzare come noi usiamo oggi il sale.
- Il terzo libro parla degli ortaggi i quali, vista la loro semplicità e genuinità, sono considerati come dei medicinali. Molte ricette di questo libro, infatti, sono simili ai classici “rimedi della nonna” contro i malanni più comuni. Certo erano molto meno gradevoli. Ad esempio come rimedio per il mal di pancia suggerisce di lessare bietole e porri appassiti e condirli con un trito di pepe, cumino, garum e vino passito.
- Il quarto libro è dedicato ai pandecter una parola che vuol dire “piatti in cui ci va tutto”. Ed in effetti compaiono piatti elaboratissimi soprattutto salse ma anche dolci e antipasti. Ne riporto solo una che riflette in maniera esemplare la particolarità di questo ricettario:
Salsa di Apicio: metti in un mortaio semi di sedano, menta secca, zenzero, coriandolo verde, chicchi d’uva appassita, miele, aceto, olio e vino. Trita il tutto. Getta in un pentolino pezzi di pane con polpa di pollo, ghiandole di capretto, formaggio, pinoli, cocomero e cipolle secche tagliate a piccoli pezzi. Versaci sopra ciò che hai preparato. Poni il vaso sopra il ghiaccio tritato e servi.
- Il libro quinto è dedicato ai legumi e alle tantissime farine che se ne ricavano.
- Nel sesto libro ci sono le ricette a base di uccelli. Non solo volatili comuni ma anche struzzi, pavoni, fenicotteri e pappagalli. Apicio consiglia di lessarli e condirli con un mix esplosivo di spezie, vino e miele.
- Il settimo libro raccoglie le polyteles, le “vivande prelibate”, piatti esotici e costosi per palati sopraffini: interiora, rognoni, gobbe di cammello, zampe di cinghiale condite soprattutto con funghi e miele.
- L’ottavo libro parla di come cucinare i quadrupedi. I più pregiati sono il cinghiale e il cervo, ma ci sono anche camosci, manzo, agnello, maiali e lepri, ognuno con la propria salsa abbinata. I Romani, infine, sembra fossero ghiotti di scoiattoli. Apicio consiglia di farli al forno, ripieni di pepe, pinoli, garum, ed estratto di silfio, una spezia simile al finocchio selvatico molto in voga nella cucina antica ma oggi completamente scomparsa.
- Gli ultimi due libri sono dedicati ai pesci con i quali raramente Apicio consiglia di fare dei veri e propri piatti. Più comunemente sono usati come accompagnamenti da intingere in apposite salse o come ingredienti delle salse stesse.