Caro iCrewer oggi siamo in un paese che potrebbe essere definito il nuovo El Dorado dell’America Centrale, se non fosse…
Nicaragua
E’ il più vasto paese dell’ America Centrale, definito terra di laghi e vulcani, accanto ai quali sono stati creati bellissimi parchi nazionali. Più selvaggio dell’Honduras, meno gremito di turisti della Costa Rica, con un territorio popolato di vulcani e pianure che orlano la costa del Pacifico e grandi laghi dall’acqua color turchese. Un luogo paradisiaco in cui crogiolare al sole, che non manca mai, in riva al mare o al lago, con un bel libro magari di un autore del posto che è il fine ultimo di questa rubrica.
… e invece dobbiamo fare i conti con il rovescio della medaglia.
Iniziamo con una breve storia sul Nicaragua, che poi non si discosta molto da quella di tutti gli altri stati del Centro America: terra ricca e fertile, territorio di conquista prima a cura degli spagnoli, serbatoio di schiavi da portare a Panama e in Perù, luogo di sfruttamento delle risorse minerarie sempre da parte degli spagnoli. Per circa tre secoli ha subito, senza riuscire a modificare la sua realtà, aggiungendo a tutto ciò le incursioni piratesche provenienti da tutte le parti.
Nel 1821 riesce ad ottenere l’indipendenza divenendo parte delle Province unite dell’America Centrale e nel 1838 diventa repubblica indipendente.
L’America non sta a guardare e nel 1909 decide che deve far parte della vita politica ed economica di questo stato, ed invia truppe di marines per contrastare le iniziative del presidente Zelaya. I marines vi rimangono fino al 1933 appoggiando un governo conservatore. Come in ogni situazione di “controllo”, ovviamente, c’è sempre qualcuno a cui non va giù un regime, e così, tra il 1927 e il 1933, comincia la guerriglia di Augusto Cesar Sandino; per lui l’imperialismo è il nemico da cacciare, costringendo così gli Stati Uniti a ritirare il loro esercito ed abbandonare lo stato del Nicaragua, ma prima di andarsene creano la Guardia Nazionale con a capo Anastasio Somoza, un loro fedelissimo.
Incomincia, per questo splendido stato, un periodo di guerra civile a cui si aggiunge la devastazione ad opera della natura sotto forma di un terremoto fortissimo che distrugge Managua, la capitale.
Nel 1979 il nuovo governo proclamato dai ribelli rivoluzionari sandinisti si trova di fronte un Paese distrutto dalla guerra civile, deforestato ed inquinato ad ogni livello dalle sostanze tossiche utilizzate fino a quel momento, ed una popolazione affamata, denutrita e analfabeta. A nulla serviranno le due campagne poste in atto per far fronte a queste emergenze.
In tutto questo le relazioni con gli Stati Uniti cominciano a vacillare, vengono sospesi gli aiuti, i finanziamenti deviati verso altre iniziative più o meno legali, e tutto questo sfocia in una seconda guerra civile che provoca anche un ordine di embargo economico completo da parte del Presidente americano che rimarrà in vigore fino al 1990. E purtroppo non finisce qui.
Posso dire che diventa complicata la storia del nostro stato. Perché gli scontri e le proteste continuano! Notizie recenti consigliano di prestare molta attenzione se pensi di intraprendere viaggi in Nicaragua, e tra i consigli uno in particolare: prestare molta attenzione alla sicurezza personale. Il motivo è la situazione politico/sociale estremamente tesa che può scatenare manifestazione e scioperi in qualsiasi momento, con il rischio di ritrovarsi in mezzo a scontri violenti.
E’ il paese delle grandi contraddizioni, ma anche di forti emozioni, della nostalgia e di un mondo che cerca di recuperare un’identità. al momento della conquista, in Nicaragua, vi erano due culture venute dal nord: la più antica Chorotega e quella del Nicaraguas come l’ha narrata il cronista spagnolo Oviedo. I Chorotega erano i democratici, i Nicaraguas o Nahualt invece erano una popolazione insediatasi in epoca molto più recente, più bellicosi e aggressivi, tesi a spodestare i chorotega.
Terra di poeti, per chi ha cuore e passione per le sfide dei popoli, la realtà di una rivoluzione che supera l’immaginazione. Ogni anno a metà febbraio dal 2005 fino al 2018, si è svolto, nella piazza di Granada, uno dei festival di poesia più importanti del mondo il Festival Internacional de Poesìa de Granada, Nicaragua, che ha riunito migliaia di famosi poeti provenienti da tutto il mondo, per una settimana. Con le loro parole sono stati il canto della Rivoluzione, sono stati uccisi, hanno sparato, hanno combattuto. Migliaia di persone li hanno ascoltati. Ad aprile dello scorso anno il paese è insorto nuovamente, una ribellione improvvisa, sopita per anni, per cercare di scrollarsi di dosso un governo che aveva tradito la storia. Nella ribellione sono morti un centinaio di persone tra uomini e donne, molti erano ragazzi giovanissimi. Continuano ad esserci arresti ed espulsioni. Molti nicaraguensi scelgono la strada dell’esilio.
La più conosciuta nel mondo fra le scrittrici di questo Paese, Gioconda Belli scrive: “Non può esserci poesia in un momento nel quale il paese è sprofondato nella repressione e nella violenza.”
Di qui la scelta di portare “il Festival dei poeti” in giro per il mondo per ottenere il Nicaragua Libero.
Mi faccio portavoce, attraverso questa rubrica, e ti segnalo Gioconda Belli, poetessa, giornalista e scrittrice nata a Managua nel 1948 che, oltre a scrivere romanzi, è autrice de Il Paese sotto la pelle del 2000 che è la sua storia biografica.
Per combattere la dittatura sostenuta dagli Stati Uniti, Gioconda partecipa alla guerriglia del Fronte sandinista, affrontando rischi enormi e vivendo la perdita di tanti compagni e la tristezza dell’esilio. Ma Gioconda è anche, è soprattutto una donna, assolutamente consapevole della propria identità femminile. Racconta il matrimonio di una ragazza di buona famiglia, finito a rotoli; gli amori travolgenti e difficili dentro la guerriglia, l’amore altrettanto appassionato e difficile con un gringo; le figlie dalle quali è a lungo dolorosamente separata a causa della militanza, le drammatiche gravidanze, i sentimenti, le battaglie interiori, le lacerazioni tra politica, passione, famiglia. Privato e pubblico si scontrano e s’intrecciano nell’avventurosa e romantica biografia di una donna che non vuole essere superdonna, ma vivere con coraggio e creatività per realizzare i propri ideali.
Scrive poesie che “continuano ad essere l’espressione del corpo e prende forma quando la sua anima ritorna alle sue radici”:
E Dio mi fece donna
“E Dio mi fece donna,
con capelli lunghi,
occhi,
naso e bocca di donna.
Con curve
e pieghe
e dolci avvallamenti
e mi ha scavato dentro,
mi ha reso fabbrica di esseri umani.
Ha intessuto delicatamente i miei nervi
e bilanciato con cura
il numero dei miei ormoni.
Ha composto il mio sangue
e lo ha iniettato in me
perché irrigasse tutto il mio corpo;
nacquero così le idee,
i sogni,
l’istinto.
Tutto quel che ha creato soavemente
a colpi di mantice
e di trapano d’amore,
le mille e una cosa che mi fanno donna
ogni giorno
per cui mi alzo orgogliosa
tutte le mattine
e benedico il mio sesso.”
Ernesto Cardenal Martinez
Nato a Granada nel 1925 è una figura emblematica e controversa del panorama letterario del Nicaragua. Ha studiato letteratura all’Università di New York, in Messico e in Spagna. Tornato in patria ha partecipato alla ribellione contro Somoza. Dopo anni dedicati agli studi sacri, ha ricevuto gli ordini sacerdotali nel 1965 e ha fondato la comunità religiosa di Solentiname, in un’isola del Lago di Nicaragua, diventata un punto di riferimento per il cattolicesimo progressista latino americano e per i sostenitori della “teologia della liberazione”.
Ernesto Cardenal scrive la maggior parte della sua poesia in uno stile composito che unisce l’ideologia politica rivoluzionaria con la Teologia della Chiesa Romana. Nel 1983, durante la sua visita in Nicaragua, papa Giovanni Paolo II lo invitò a dimettersi: essendosi rifiutato, fu sospeso a divinis.
Cardenal focalizza i suoi scritti sull’oppressione nella società conmtemporanea e cerca di motivare i suoi lettori ad agire per il cambiamento sociale. I critici spesso sottolineano che Cardenal sia stato fortemente influenzato dalla poesia di Ezra Pound. L’abilità tecnica e la rilevanza sociopolitica della sua opera hanno contribuito a farlo considerare come, probabilmente, il più importante poeta dell’America Latina emerso dal 1950. Tra le sue opere, molte delle quali tradotte in italiano, da ricordare soprattutto “Epigramas” pubblicato nel 1961, ma scritto negli anni precedenti, intrecciano il tema amoroso con la lotta politica contro la dittatura di Somoza; “Hora 0” del 1960 è un vasto affresco in cui la denuncia dell’oppressione imperialistica e oligarchica si manifesta attraverso un impasto di diversi linguaggi, con una tendenza alla dimensione epica.
Ernesto Cardenal ha lasciato alla spiritualità occidentale un’opera contemplativa che riveste un’importanza capitale, inserendosi di diritto nell’ambito del discorso mistico cristiano. È stata un’eredità silenziosa, perché abbiamo tardato molto ad apprezzare l’esistenza nei suoi termini propri e, più ancora, le conseguenze del discorso mistico cardenaliano, che fa scuola non solo con Teilhard de Chardin e Thomas Merton, ma perfino con Maestro Eckhart e S. Giovanni della croce. È più facile accogliere la protesta politica che la contemplazione mistica. Ma è vero che ci troviamo davanti al fondatore della letteratura mistica ispanoamericana e a uno dei mistici cristiani più originali del XX secolo. M’azzardo a pensare che tra un centinaio di anni ricorderemo Cardenal più come poeta mistico che come poeta d’impegno sociale, oppure – quel che forse è più giusto – di impegno sociale perché mistico. Telescopio nella notte oscura è un libro di una nudità espressiva molto grande, un grido splendidamente silente dell’estatico che ha lasciato dietro a sé le consolazioni; un libro piccolo in estensione, però straordinario per la storia delle idee della letteratura contemplativa del XX secolo.