Mi ritrovo a tu per tu con me stessa…
Sarò capace di convincerTi caro/a iCrewer che ciò che stai per leggere è un tema che dobbiamo affrontare?
La società in cui viviamo continua a rifiutarsi di affrontare il tema “della morte assistita“, e forse un pochino anche io… magari per una educazione cattolica lontana nel tempo. Non immaginando che questa scelta, di non consentire a chi lo desidera, ha come conseguenza che molte persone si ritrovino a morire sole in luoghi che non hanno niente a che fare con la loro intimità, per esempio una stanza di ospedale.
Sergio Ramazzotti, l’autore di
“SU QUESTA PIETRA. Storia di un uomo che andava a morire”
è uno che racconta storie vere, vita vissuta ed in questo, in particolare, diventa partecipante attivo. Usa i diversi strumenti di cui dispone e a cui ricorre per esprimere con la sua sensibilità, il suo gusto, la sua visione e versione dei fatti.
“Durante il suo lavoro di fotografo e reporter, Sergio si imbatte in un’occasione inaspettata e spiazzante: accompagnare in Svizzera una persona che sta andando a morire. L’uomo, affetto da una grave malattia neurodegenerativa, ha deciso di ricorrere al suicidio assistito e, dopo una lunga trafila medica e burocratica, ha finalmente ottenuto la “luce verde”, il permesso di morire. Vuole che Sergio racconti la sua storia, quella di chi è “costretto a umiliarsi, viaggiando lontano da casa come una specie di clandestino, per poter esercitare fino alle estreme conseguenze il proprio sacrosanto diritto al libero arbitrio, che nel nostro paese ci viene negato”. Ma non vuole avere un nome né un volto, nessuno deve poterlo riconoscere. Di fatto, per Sergio significherebbe trascorrere con lui le sue ultime quarantotto ore sulla Terra. Sergio accetta. Questa è la storia vera di quelle quarantotto ore e dei millequattrocento chilometri che i due uomini hanno percorso insieme: dal momento in cui si sono stretti la mano fuori da un aeroporto del Sud Italia fino a quello in cui l’uomo gli ha rivolto le sue ultime parole sulla poltrona di un monolocale di Basilea. È questa la “clinica svizzera” in cui Erika da otto anni accompagna i pazienti al suicidio, dopo essersi scambiata decine di lettere con ognuno di loro e averli incontrati e visitati per concedere loro la “luce verde”.
Ho provato ad immaginare cosa può aver provato nel momento in cui “questa persona che sta andando a morire” gli ha chiesto di accompagnarlo con la preghiera di non divulgare mai la sua identità. Ma ciò che si è formato nella mia mente è ben lungi da ciò che provato Ramazzotti.
Il suo è un grande mestiere, giornalista e fotografo prima di tutto.
Il fattore umano è fondamentale, l’uomo è la chiave per capire il mondo. E il viaggio che ha intrapreso da quando “ha stretto la mano fuori da un aeroporto…a quello in cui l’uomo gli ha rivolto le sue ultime parole.” denotano la sua sensibilità e la sua capacità di evidenziare un problema delicato, muovendosi in un territorio dove predomina una feroce battaglia sulla demarcazione del confine tra la vita e la morte.
Sergio Ramazzotti (Milano, 1965) è fotografo, reporter e scrittore. Ha vinto due volte il premio Enzo Baldoni per reportage da territori di guerra. Tra le sue pubblicazioni, i libri-reportage Vado verso il capo (1996), La birra di Shaoshan (2002) e Afrozapping (2006), tutti editi da Feltrinelli, e gli instant book Liberi di morire (Piemme, 2003) sulla guerra in Iraq e Ground Zero Ebola (Piemme, 2015) sull’epidemia di Ebola in Africa occidentale. È uno dei fondatori dell’agenzia fotogiornalistica internazionale Parallelozero.