“L’anima” di François Cheng edito Bollati Boringhieri ci da una lezione su temi profondi, specialmente ora che l’aria è di festa.
Ormai è Natale, le luci brillano e i festoni infestano tutti i paesi, siamo circondati da musiche natalizie che ci spingono ancor più a comprare regali con la presenza continua di renne e del suo padrone in divisa rossa. Tutto è come un ciclo che si ripete ogni anno: per molti solo spreco di soldi, malumore e nevrosi.
Perché? Dov’è finito lo spirito natalizio?
Questo periodo diventa duro per molti, ci si sottopone a un obbligo: festeggiare anche se non lo si desidera, ma l’unico regalo che si vorrebbe per sé stessi è solo scappare. Del senso di questa festa non è rimasto più nulla. Siamo spinti a forza a divertirci, consumare e vivere nella gioia, ma questo crea l’opposto.
Abbiamo perso il senso di tutto, anche il vero valore di questa festa. Cala il sole, le giornate si accorciano e veniamo assaliti dal buio. Poi le luci di Natale cominciano a sfavillare nell’oscurità della notte senza saperne il perché. Forse dovremmo piegare il costume di Babbo Natale e fermarci a pensare. Perché il Natale, è prima di tutto al di là di ogni fede una festa di Nascita. Ma, purtroppo, il nostro mondo troppo tecnologico, controllato e commercializzato, ha fatto cascare la magia del senso che questa festa racchiude.
Dunque possiamo parlare di una nuova Nascita. Una rinascita. Quella dell’anima. Non per nulla gli antichi Celti festeggiavano Yule, nonché il nostro Natale, ma il 21 Dicembre per il Solstizio d’Inverno. Questo rappresentava un momento di passaggio molto importante di morte simbolica, trasformazione e rinascita. Quella dell’anima.
François Cheng affronta in un certo senso uno degli argomenti che pochi vorrebbero affrontare: L’anima.
Secondo alcuni, l’anima non esiste, perché nessuno l’ha mai vista, non si misura, non si pesa, non si tocca. Però, nonostante questo, è il fulcro del nostro pensiero e domande.
Quante volte ci siamo soffermati a pensare alla morte e al senso profondo della vita?
Eppure la vita di oggi, ridotta al solo livello fisico o materiale ha portato all’esplosione del caos. Il nostro corpo è diventato un semplice involucro che vuole provare sensazioni sempre più forti per sentirsi “vivo”, arrivando a perdere il controllo, abusandone e cercando di superare dei limiti. Limiti che cercano d’essere superati disperatamente per poi raggiungerne altri, il tutto per colmare quel grande vuoto che resta persistente dentro di noi.
Ci siamo dimenticati di tutto, di ogni cosa, anche della nostra vera essenza.
«Sapere che si ha un’anima o ignorarlo, non è la stessa cosa» scrive François Cheng. «Sapere significa portare un’attenzione vigile ai tesori che possono illuminare il grigiore dei giorni.»
Tutto ciò che ci circonda è solo la manifestazione della sofferenza della nostra anima. Riportare al centro di tutto la nostra anima vuol dire capire cosa sia per davvero il sentimento, non il vittimismo o sentimentalismo. Dare un senso a tutto che vada al di là della materia, oltre al possesso e al consumo. Siamo molto di più!
Bisogna riportare “l’anima”, al centro del nostro essere.
“Dalla primavera all’autunno: nella magnificenza delle stagioni più rigogliose Francois Cheng scrive queste sette lettere che mettono in risonanza paesaggi del presente, tradizioni di pensiero orientali e occidentali, ricordi di una giovinezza in Cina, affetti ritrovati. La destinataria è un’amica ricomparsa a distanza di decenni, un’artista che gli confessa di essersi accorta tardi di possedere un’anima, invitandolo a parlarne insieme. Dapprima esitante di fronte alla parola desueta «anima», Cheng risponde all’appello con la stessa grazia con cui in passato si è sporto su altri concetti abissali, come la bellezza e la morte. La «temerarietà» di accostarsi, oggi, a un simile argomento, si rivela una benedizione, per lui, per la sua interlocutrice e per i lettori, perché lascia riaffiorare in ciascuno qualcosa che sembrava perduto da tempo, il «sentimento intimo di un’autentica unicità e di una possibile unità». Agli occhi di Cheng, ancora pieni di meraviglia dopo una lunga esistenza, null’altro è l’anima se non il «segno indelebile» di quell’unicità incarnata, che sfugge al rigido dualismo corpo-mente e partecipa dell’universo vivente. Nel suo procedere a lieve arabesco, la scrittura indugia su taoismo e patristica, buddhismo e Simone Weil, ma si concede anche gli abbandoni della memoria: tutto – dottrine, filosofie e sprazzi di storia personale – converge verso l’anima, inesauribile aspirazione alla vita.”
Può apparire troppo esile, e ogni tanto lo è, però a tratti prende il libro prende davvero il volo. Per goderlo bisogna lasciar andare la razionalità e abbandonarsi a un modo “poetico” o intuitivo di comprendere il mondo.