Dal 1883, anno della sua nascita a Bsharre in Libano, Kahlil Gibran è arrivato direttamente a noi, generazione cibernetica terzo millennio, sulle onde elettromagnetiche di computer e affini e ha “spaccato”.
Passami il linguaggio trash-televisivo anche se questa è una rubrica di poesia, caro lettore. Il termine “spaccato o spaccare” è infatti proprio di un certo tipo di trasmissioni che vagano dal nazional/popolare al trash senza passare per il buongusto, che hanno un certo seguito e che comunque, piaccia no, condizionano il linguaggio comune creando nuovi modi dire.
Spaccare sta ad indicare fare presa, avere successo, diventare famosi: ora non me ne vogliano né Kahlil Gibran né i suoi estimatori se ho usato il termine spaccare per esprimere la grande diffusione in tempi recentissimi che l’opera del poeta/letterato/artista libanese ha avuto, anche grazie ai social. Se prima dell’era telematica Kahlil Gibran era un nome circoscritto ai frequentatori di letteratura e affini, con l’avvento dei vari social le sue poesie e i suoi aforismi circolano frequentemente e sono a portata d’occhio di chiunque.
Kahlil Gibran dal Libano al mondo
Benedetti siano i social se servono a diffondere il pensiero di letterati come Kahlil Gibran! Perché è vero che la validità di un poeta supera il tempo, i confini geografici e persino le chiusure mentali di un certo tipo di critica.
Dal lontano Libano, in un’epoca in cui le comunicazioni non erano di certo quelle di oggi, parliamo degli inizi del Novecento, il valore letterario ed artistico di Kahlil Gibran, riuscì a valicare i confini e a diffondersi in Occidente, tanto che le sue opere furono tradotte in 20 lingue e i suoi disegni esposti nelle grandi capitali europee. La sua raccolta poetica più famosa, Il profeta, scritta nel 1923 ha avuto numerosissime riedizioni ed è tuttora una delle più lette.
Un artista sensibile e profondo con una densa spiritualità: un vero e proprio profeta il cui sincretismo religioso ha anticipato di gran lunga l’agognata universalità delle religioni di cui si è cominciato a parlare in tempi più recenti.
Non intendo, oggi in questa rubrica, analizzare il pensiero letterario-filosofico-religioso di Kahlil Gibran anche perché facendo un giretto fra gli articoli pubblicati nel nostro sito si incontra più volte e a diverso titolo. Oggi mi voglio soffermare in particolare su una sua poesia che ha il marcato sapore di preghiera: Dammi il supremo coraggio dell’amore.
Dammi il supremo coraggio dell’amore,/ questa è la mia preghiera,/ coraggio di parlare,/ di agire, di soffrire,/ di lasciare tutte le cose,/ o di essere lasciato solo.
Temperami con incarichi rischiosi,/ onorami con il dolore,/ e aiutami ad alzarmi ogni volta che cadrò.
Dammi la suprema certezza nell’amore,/ e dell’amore,/ questa è la mia preghiera,/ la certezza che appartiene alla vita e alla morte,/ alla vittoria nella sconfitta,/ alla potenza nascosta nella più fragile bellezza,/ a quella dignità nel dolore,/ che accetta l’offesa,/ ma disdegna di ripararla con l’offesa.
Dammi la forza di amare/ sempre/ e ad ogni costo.
Una poesia/preghiera in cui il dialogo con Dio si trasforma in un’accorata richiesta. Una richiesta che non è l’anelito ad avere una vita facile, scorrevole, in cui tutto fila liscio e senza intoppi: no, tutt’altro Kahlil Gibran chiede a Dio il coraggio dell’amore.
La poesia/preghiera di Kahlil Gibran
Consapevole delle fragilità meramente umane, Kahlil Gibran a Dio chiede il coraggio di amare oltre ogni limite; chiede il coraggio del dolore sopportato con dignità che lima e smussa gli spigoli e rende capaci di aprire il cuore all’altro; chiede di accettare le offese senza ripagarle con la stessa moneta; chiede una mano che aiuti a rialzare ogni inevitabile caduta; chiede di amare sempre e ad ogni costo.
E ce ne vuole di coraggio per amare. A tutti i livelli. A cominciare dall’amore fra due persone, considerati tutti gli egoismi travestiti di sentimento che portiamo all’interno di una coppia, per finire all’amore universale che non esclude nessuno. Amare presuppone sempre un’apertura totale verso l’altro, un’apertura che deve rimanere anche quando dall’altro lato c’è una chiusura a doppia mandata.
E se ti sembra una vera utopia, non a portata di umana possibilità, realizzare questo tipo di amore, ti dico che è ciò cui ogni uomo è chiamato, che sia credente oppure no. La difficoltà è nel riuscirci: riuscire a realizzare quel tipo di amore che è dono gratuito e disinteressato presuppone tanto coraggio, tanta umiltà e tanta apertura. Presuppone, a volte anche l’abbraccio a quel legno in cui abbiamo crocifisso l’Amore incarnato.
E non è facile, non è per niente facile. Non lo è mai stato e non lo è a maggior ragione quando anteponiamo una D maiuscola a quel misero “io” intorno al quale facciamo girare il mondo, arrogandoci il diritto di essere padroni incontrastati di tutto, non capendo di essere padroni soltanto dei nostri egoismi. Per questo Kahlil Gibran chiede, in una poesia che ha il sapore di preghiera, di avere in dono il coraggio di amare.