Giovanni Boccaccio, ovvero una tavolozza di colori usati per regalarci l’affresco a tinte chiare della società in cui viveva.
Siamo nel 1300, Dante ha iniziato da pochi anni, con la sua Divina commedia, il percorso che porterà all’unificazione linguistica della penisola italiana. Petrarca pubblica versi profondi e dalla marcata religiosità, dedicati alla sua amata Laura.
La letteratura è dominata dalle note dell’amor cortese con i suoi profondi ideali di cui la nobiltà è pregna. Eppure la società sta cambiando. Nella Signoria di Firenze, la città in cui il Boccaccio soggiorna pur essendo originario di Certaldo, i mercanti con i loro nuovi valori e la loro innovativa impostazione sociale prendono spazio e pretendono l’attenzione anche di chi racconta la vita attraverso le parole scritte.
Ci avviamo così all’arte fresca e viva del Decameron, a quest’opera immensa eppur semplice e organica, in cui circola l’aria, il moto, la vita concepita fuori di ogni altro intendimento, che non quello dell’arte, e perciò indifferente a ogni idealità di religione, di morale e di politica (Cit L.D.F. Enciclopedia Treccani voce Boccaccio Giovanni)
Nel 1348 scoppia a Firenze una violentissima peste, ne sappiamo qualcosa noi del 2020, e proprio come noi abbiamo sopportato la chiusura totale in isolamento, il Boccaccio narra di sette ragazze e tre ragazzi, di elevata estrazione sociale, che si isolano su un colle fiorentino per sfuggire alla malattia. Per trascorrere le giornate, i dieci giovani dediti al ballo e agli svaghi, decidono di raccontarsi storie a turno.
Ecco allora Che Giovanni Boccaccio, con la sua più famosa opera, il Decameron, sposta l’attenzione dalla nobiltà, che aveva popolato la letteratura fino ad allora, alla gente comune, popolani, borghesi, nobili decadenti, offrendo una ricchissima varietà di personaggi e di circostanze narrative. Emerge un nuovo ordine sociale in cui le virtù non sono più legate alla magnanimità dell’amor cortese ma all’intelligenza dei mercanti e all’astuzia dei servi.
Comincia il libro chiamato Decameron, cognominato prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in diece dì dette da sette donne e da tre giovani uomini.
Nessuno scrittore ebbe, più di Boccaccio, gagliardo e sicuro senso della vita, né maggior prontezza e immediatezza d’osservazione; nessuno, dopo Dante e prima dello Shakespeare, creò e colorì con più ricca tavolozza tanti caratteri e tante figure, né lumineggiò così svariate situazioni (Cit. L.D.F. Enciclopedia Treccani alla voce Boccaccio Giovanni)
Donnaiolo e gaudente viaggiatore in giovinezza, trovò la sua musa ispiratrice in Fiammetta, come Dante la ebbe in Beatrice e Petrarca nella sua Laura, e numerose furono le opere erudite di Boccaccio che precedettero il Decameron. È con questo ultimo però che Boccaccio traccia un solco nella storia della letteratura e scatta un’istantanea del cambiamento sociale includendo perfino la considerazione, ritenuta sacra fino a quel momento, dovuta agli uomini di chiesa: da austeri portatori del Verbo, Boccaccio ce li disegna come bricconi corrotti, iracondi e avari.
Ancora una volta è a Firenze che si deve la corona del cambiamento: il Trecento è un secolo di passaggio, da un medioevo nobile a un rinascimento borghese guidato dai Medici e condizionato dal potere del denaro più che da quello dei valori e della Fede.
Giovanni Boccaccio e le tavolozze di colori
Non facciamo il grande errore di Considerare Giovanni Boccaccio un autore meno incisivo solo perché narra di storie di gente comune: l’ideale cavalleresco è comunque ben rappresentato nelle cento novelle e lui stesso non amerebbe essere definito così. È certo un autore del suo tempo, scevro da condizionamenti culturali non perché non li conosca, ma perché li ha assimilati e metabolizzati in giovane età, quando il Petrarca era ancora un grande esempio da seguire.
Il tempo delle visioni dantesche e dei viaggi nell’oltretomba è terminato con Dante; comincia con Boccaccio l’esaltazione della vita, dei colori, della gioia, dell’amore romantico ma anche di quello libertino. Del resto, boccaccesco è colui che dice pane al pane senza peli sulla lingua e usando parole volgari, il perfetto linguaggio di un gruppo di giovani in lockdown nel 1348!