Fuga da Parigi. Un’incredibile storia di resistenza nella Francia occupata dai tedeschi di Stephen Harding, edito da Newton Compton Editori.
Un libro forte, profondo e veritiero che ti mostra quella faccia rude e cruda della guerra che nemmeno ti immagini, sensazioni che ti arrivano dritte al cuore lasciandoti attonito ed immerso in quelle mille domande le quali – con tutta probabilità – mai troveranno delle risposte.
Partiamo dalla cover: sotto un cielo plumbeo, sorvolato da aeromobili da guerra, notiamo il primo piano di un uomo a figura intera: pare ben vestito ma il suo volto è poco chiaro, se ne confondono i lineamenti. La sua andatura ci suggerisce una fuga: simboleggia l’evasione di tutti quegli uomini caduti in territorio francese che cercano di rifuggire al nemico tedesco. Alle sue spalle l’elemento simbolo di Parigi: la Tour Eiffel, maestosa e splendente in tutta la sua imponenza, non sembra cogliere l’alea di terrore che l’avvolge.
Stephen Harding ha deciso di raccontarci una storia reale: quella di Joseph Cornwall, detto Joe, mitragliere in forza su uno dei tanti B-17 – precisamente su quell’aeromobile che passò alla storia come il Salty’s Natural –, e di Georges, Denise ed Yvette Morin rispettivamente un padre, una madre e una giovanissima figlia che hanno sostenuto e portato avanti quella che era la resistenza francese contro i tedeschi.
Una famiglia che si è battuta con dignità, onore e passione e che ha cercato di aiutare tutti quegli aviatori Alleati caduti in suolo francese a scappare da quella che sarebbe stata per loro una morte certa se fossero caduti in mano al nemico tedesco.
Un ruolo predominante in tutta questa storia lo ha rivestito il maestoso e caratteristico Hôtel des Invalides, una delle strutture simbolo di Parigi e che ospita la tomba di uno dei più grandi condottieri della storia: Napoleone Bonaparte. L’istituto, grazie proprio alla sua immensità e alla complicità e bravura dei Morin, si è ben prestato a tenere segreta la presenza degli ospiti della tenace famiglia francese.
Fuga da Parigi: cosa aspettarci?
Dal punto di vista tecnico il libro si compone di un prologo, di otto capitoli, ciascuno di una certa lunghezza e recante un proprio titolo; all’interno dei capitoli poi vi sono delle note a piè di pagina, così durante la lettura del capitolo troverai quei familiari numerini che fanno da cappelletto alle parole e che ti faranno intuire che a quella cifra corrisponderà poi una nota. Questo non fa che rimarcare la veridicità della storia narrata.
Al termine dei capitoli vedremo un epilogo e un’appendice che contiene numerosi ritratti fotografici dell’epoca, nei quali è possibile ammirare il mitragliere Joe Cornwall, Georges, Denise, Yvette, l’equipaggio del Salty’s Natural e molti altri protagonisti di quel periodo. Ognuna di esse è accompagnata da una didascalia.
Osservare quelle foto è stato quasi come vivere quei momenti, dare un volto alle persone delle quali ne hai solo lette le gesta, frugare in quei visi cercando di cogliere i sentimenti più reconditi, ammirare le divise di aviatore, le loro sciarpe di seta, la bellezza incolta di Yvette, tutto ciò è stato emozionante: ho molto apprezzato questa scelta di Stephen.
Infine troviamo i ringraziamenti e la bibliografia consultata. La narrazione vede per la quasi totalità della storia l’assenza di dialoghi sia diretti che indiretti. È una ricostruzione di fatti realmente accaduti, raccontata a mo’ di storia, di ciò che avvenne negli anni che vanno dal 1943 al 1945, con qualche accenno a quello che accadde nelle vite dei protagonisti negli anni immediatamente a seguire.
Qualche refuso presente, quantomeno nella versione e-book, ma nulla di così rilevante. Il linguaggio utilizzato è piuttosto tecnico: ciò è senza dubbio dovuto al fatto che trattasi spesso di nozioni appunto tecniche riguardarti i velivoli di guerra, come la descrizioni dei componenti, i ruoli ricoperti dagli aviatori, ma anche di cognizioni storiche che ci vengono snocciolate.
Va da sé, quindi, che la concentrazione, soprattutto in certi periodi, debba essere accurata: se leggi con noncuranza capita che devi tornare indietro e rileggere la parte.
La precisione dell’autore è stata certosina, bisogna dargliene atto: quella insolita accuratezza nel descrivere le scene come quasi tu fossi lì, quei dettagli che fanno la differenza, e benché lui stesso abbia redatto questo romanzo sulla scorta dei documenti letti e delle testimonianze raccontategli, ha saputo fare veramente un ottimo lavoro descrittivo.
Fuga da Parigi: un romanzo che ti fa toccare con la mano la brutalità di certi eventi
E così alle parole dell’autore te li immagini davvero, questi aviatori. Te li raffiguri come puntini neri nel cielo che man mano diventano sempre più nitidi, sorretti da quell’enorme ombrello, li osservi mentre toccano terra, scrutarsi attorno guardinghi, come prede in attesa di essere sbranate, subitanei liberarsi dell’imbragatura, piegare con cura il paracadute e provvedere a seppellirlo, scavando una buca nel terreno molto spesso a mani nude. Quando il fosso scavato raggiunge la profondità ritenuta sufficiente vi gettano dentro il tutto; ricoprono per bene e fuggono via alla ricerca di quell’aiuto che troveranno in altri uomini valorosi quanto loro: gli uomini della resistenza francese.
E poi ti figuri anche la disumanità e l’orrore nei campi di concentramento, quell’inferno in terra, e leggendo quelle parole capisci bene che non è invenzione, sai bene che tutto quello che stai scorrendo voracemente con gli occhi è accaduto davvero e ti disperi, urli dentro e in silenzio perché realmente non ti rendi conto di come l’essere umano si sia potuto rendere un carnefice della peggiore specie e provocare così tanto dolore, senza pietà, per puro sadismo nei confronti di essere suoi simili:
«Furono spogliati e dovettero consegnare le fedi nuziali, dopodiché furono rasati e ammassati per una doccia di gruppo. Dopo, a ognuno venne consegnata una divisa da prigioniero a righe: sulla maglietta di lana grezza era apposta una pezza triangolare con un codice e un colore che descriveva la ragione per cui era stato deportato ciascun individuo. Per Georges e molti altri nuovi arrivati il simbolo era rosso e recava una F al centro, combinazione che indicava i prigionieri politici francesi. Sul triangolo c’era anche scritto il numero di ogni prigioniero…».
La stanchezza era indicibile, corpi che si trascinavano solo per inerzia, visi smunti sui quali potevi leggerci solo dolore, labbra che avevano smarrito ogni accenno di sorriso, vane tutte le speranze «Con l’obiettivo di portare avanti la politica di Vernichtung durch Arbeit alle donne veniva dato da mangiare solo una volta al giorno, a metà del turno di lavoro, e il pasto consisteva in una tazza di zuppa leggera e un piccolo tozzo di pane raffermo. La mancanza di cibo aveva gravi ripercussioni su tutte le detenute, ma le più anziane come Denise erano inclini a manifestare problemi fisici associati alla malnutrizione.»
Ho apprezzato il coraggio di Joe, l’incorruttibilità e la forza di Georges, la bontà e l’arguzia di Denise ma più di tutti ho amato Yvette: benché la giovane età ha saputo rendersi protagonista di grandi vicende, tanto più grandi lei, senza remore, senza timore, senza mai arrendersi, ha lottato, lottato e ancora lottato e Stephen Harding ha avuto l’onore di poterla incontrare e ripercorrere assieme a lei, molto probabilmente guardandola negli occhi, gli anni terribili della sua giovinezza.
Ti lascio proprio con una frase che ti descrive questa Grande Donna «Nonostante la sua giovane età, Yvette aveva il sangue freddo, una rarità fra le sue coetanee, e nell’ultimo periodo aveva iniziato a indossare il braccialetto con incisi nome e data di nasciata che le aveva regalato suo nonno per la prima comunione: pensava sarebbe stato utile per identificare il suo corpo, nel caso i tedeschi l’avessero arrestata e giustiziata.»
Leggi Fuga da Parigi: il tuo cuore conoscerà una verità che non leggerai mai nei libri di storia.