Chiuso il sipario sul Festival di Sanremo 2022, un Visto di punta ci sta tutto perchè Sanremo è Sanremo, come recita il noto tormentone e, a prescindere dalla bella e ridente città da cui ha preso il nome, non si può ignorare. E quindi eccoci qui, sistemati sulla solita punta angolata a guardare tra il serio e il faceto l’evento televisivo dell’anno e a cercare di tradurre in parole le naturali riflessioni che ne scaturiscono.
Si può snobbare, ignorare, criticare, aspettare con impazienza, amare o odiare ma il Festival di Sanremo, ci piaccia o no, per un’intera settimana occupa gli spazi televisivi e più in generale mediatici con una presenza quasi invasiva. Non c’è trasmissione televisiva delle reti sia pubbliche che private, dall’intrattenimento all’informazione o social network che non sia invaso dalle notizie che il carrozzone Festival porta con sè.
Al di là delle mode che in settant’anni di storia italiana hanno visto cambiare usi e costumi e gusti musicali, al di là di centinaia di artisti o pseudo tali che si sono esibiti, esponendosi ai giudizi della critica più qualificata o del pubblico più musicalmente ignorante, al di là di musicisti e cantanti più o meno degni di essere definiti tali che si sono alternati sul palco, al di là delle consacrazioni, delle sconfitte, delle vittorie, il Festival di Sanremo fa parte della storia nazional-popolare italiana.
È stato, è e sarà ancora un evento che annualmente ci accompagna che spesso fa discutere e accende polemiche tra i sostenitori e i detrattori. Difficile ignorarlo, anzi quasi impossibile dal momento che il tam–tam mediatico batte forte sul tamburo di media e social-media. La conseguenza? Il Festival di Sanremo è storia nazionale: spicciola se vogliamo, nazional-popolare se ci pare, a volte anche trash, diciamolo pure, ma occupa buona parte degli argomenti di discussione a tutti i livelli.
Festival di Sanremo: impossibile ignorarlo
Dalle spicciole conversazioni sui mezzi di trasporto, alle chiacchiere nei salotti televisivi o telematici per un mese abbondante tra gli italiani, dalle Alpi alla Sicilia, si scoprono improbabili critici musicali e recensori di testi che, spesso, sono solo un’esercitazione pseudo poetica in rime baciate.
Eppure canzoni e canzonette dal palco fiorito del Festival spiccano il volo e approdano alle radio e da esse alle orecchie di tutti, con un po’ di c…, pardon voglio dire fortuna, riescono a far ricchi e felici produttori, manager e cantanti e tutto quel rutilante mondo che gira intorno alla discografia. Se poi il brano baciato dalla dea bendata sia o meno di qualità, è secondario. La cosa più importante è che sia d’effetto e che risulti di facile acchiappo.
Sarebbe ingiusto però affermare che tutti i brani musicali passati per il Festival di Sanremo siano di dubbia qualità, ogni tanto quel palco ospita anche musicisti e poeti-cantanti veri che, per desiderio legittimo di notorietà e per tentare la scalata di quelle erte e scoscese vette che conducono alla fama, transitano su quella passerella fiorita, meta ambita di chi aspira a vivere di musica e canzoni.
È un fenomeno di costume il Festival di Sanremo, un fenomeno che ha conosciuto alterne vicende da quel lontano 1951, quando dal teatro Ariston Nilla Pizzi, proclamata regina della musica italiana a furor di popolo, intonava (e bisognava davvero essere intonati a quei tempi, altro che auto-tune di moderno utilizzo) Grazie dei fior… Vicende che lo hanno visto anche relegato in seconda serata o all’esiguo spazio di una sola giornata, nel corso degli anni. Alterna fortuna e alterno successo di una gara musicale che recentemente è trasmessa e seguita in eurovisione ed è sicuramente una vetrina ambita e ammirata, non solo per la musica.
Un fenomeno di costume chiamato Festival di Sanremo
Ho seguito il Festival di Sanremo anche quest’anno e mi astengo dal commentare nello specifico vincitori e vinti, valore dei testi, degli arrangiamenti musicali o il look degli artisti vecchi e nuovi: non ho le competenze musicali necessarie e preferisco stendere un velo pietoso sui testi, a parte qualche dovuta eccezione. Mi trovo invece fermamente concorde al buon vecchio De Coubertin quando afferma che la cosa più importante è partecipare, non vincere.
Certo è che sul palco del Festival di Sanremo abbiamo visto e sentito passare di tutto, quest’anno come negli anni passati: dai performer più trasgressivi che attirano anatemi da quella parte più integralista della chiesa cattolica, a quelli più intimisti, emozionali o innamorati, nostalgici e tormentati e persino chi saluta con una parte del corpo che normalmente non vede la luce del sole…. Ma va bene tutto, purché se ne parli: è questa la regola regina di quel frullatore che risponde al nome di Festival della canzone italiana.
Sarà poi il pubblico degli ascolti o degli acquirenti a decretare i successi o i flop, sarà anche il tempo a decidere se e quanto ogni singolo brano resti nella memoria collettiva o nella storia della musica leggera. Perché se è vero che, come cantava Gianni Morandi qualche anno fa, “tu non sai che peso ha questa musica leggera” e che solo “uno su mille ce la fa, ma quanto è dura la salita…” è anche vero che per un cantante o musicista, la vera vittoria è diventare una piccola colonna sonora nella vita di qualcuno ed essere ricordati nel tempo.
E il Festival di Sanremo, pur con le sue dure salite, per uno su mille sarà quel trampolino di lancio che si prefigge di essere da settantuno anni.