Oggi, per la rubrica di Lifestyle, parleremo di un fenomeno che ha preso ormai piede rapidamente ed è diventato un vero e proprio impero, il Fast fashion.
Ma che cos’è realmente?
Fast fashion: moda a basso costo con forte impatto ambientale
Fast fashion è un termine che si riferisce a un modello di produzione e consumo nell’industria dell’abbigliamento che si è sviluppato negli ultimi decenni. Invece di seguire i tradizionali cicli di stagione, in cui le collezioni sono presentate una o due volte all’anno, il fast fashion si basa sulla produzione rapida e su una costante rotazione di nuovi prodotti nelle vetrine dei negozi.
Il fenomeno del fast fashion è stato alimentato principalmente da tre fattori: la globalizzazione, la tecnologia e il cambiamento delle abitudini dei consumatori. La globalizzazione ha reso possibile la produzione su larga scala a basso costo in paesi con manodopera a basso costo. La tecnologia ha reso più efficienti i processi di produzione e comunicazione, consentendo alle aziende di rispondere rapidamente alle nuove tendenze di moda. Infine, i consumatori sono diventati sempre più orientati al prezzo e desiderosi di seguire le ultime tendenze di moda.
Fast fashion: ombre etiche
Tuttavia, il fast fashion ha anche suscitato preoccupazioni legate all’etica e all’ambiente. Dal punto di vista etico, molte aziende di fast fashion sono state criticate per le condizioni di lavoro precarie e sfruttamento dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo in cui vengono prodotti i loro capi di abbigliamento. I lavoratori spesso guadagnano salari bassi e sono costretti a lavorare in ambienti pericolosi.
Dal punto di vista ambientale, il fast fashion è responsabile di un’enorme quantità di inquinamento. La produzione su larga scala richiede l’utilizzo intensivo di risorse naturali, come acqua ed energia, e genera grandi quantità di rifiuti tossici. Inoltre, a causa della rapida rotazione dei prodotti, molti capi di abbigliamento vengono acquistati e scartati rapidamente, finendo nelle discariche. La moda veloce ha contribuito alla cultura dello usa e getta, in cui gli abiti sono considerati oggetti di consumo a breve termine anziché investimenti a lungo termine.
Fortunatamente, negli ultimi anni ci sono state crescenti preoccupazioni e iniziative per contrastare gli effetti negativi del fast fashion. Le organizzazioni ambientaliste e i movimenti per i diritti dei lavoratori hanno messo in luce i problemi legati alla produzione di moda veloce e hanno cercato di sensibilizzare i consumatori. Inoltre, sempre più marchi e consumatori stanno adottando un approccio più sostenibile alla moda, cercando alternative come la moda etica, la moda riciclata e il noleggio di abiti.
È importante che i consumatori siano informati sulle pratiche delle aziende di moda e facciano scelte più consapevoli per ridurre l’impatto negativo della moda veloce sull’ambiente e sulle persone.
Uno dei libri che ti consiglio è Siete pazzi a indossarlo! Perché la moda a basso costo avvelena noi e il pianeta di Elisabeth L. Cline edito da Piemme.
Ecco la sinossi!
Quando compriamo una maglietta o un pantalone per poche decine di euro nei negozi di noti marchi di abbigliamento a basso costo, dobbiamo sapere che il prezzo esposto non è mai il prezzo giusto. In realtà, sono “affari” che paghiamo molto cari.
Perché ci riempiamo l’armadio di capi usa e getta e perché indossiamo tessuti di bassa qualità, sempre più artificiali e meno naturali, tinti chissà come e chissà dove, che si usurano facilmente, prodotti a getto continuo per rifornire le boutique ogni settimana di nuovi arrivi. In Cina, paese da cui arriva la maggior parte dei vestiti, ci sono distretti appositi, dove lo smog riduce la visibilità a pochi metri. Basso prezzo non vuol dire solo bassa qualità, ma anche bassi salari: quelli che percepiscono gli addetti negli Stati in cui le fabbriche sono state delocalizzate, che sono fortemente sfruttati.
In molti Paesi, tra cui l’Italia, il settore tessile ha subito le conseguenze del “fast fashion”, con perdita di posti lavoro e know-how, a vantaggio di stati dove si può produrre per pochi euro capi che qui costerebbero il triplo. Partendo dal proprio armadio, stipato di abiti poco o mai usati, o logori dopo due lavaggi, la giornalista Elizabeth L. Cline compie un’indagine mondiale – dalla Cina al Bangladesh all’Italia – sull’industria dell’abbigliamento a basso costo e sui pericoli e sulle conseguenze che l’accumularsi di “fast fashion” ha sulla nostra salute, sull’economia e sull’ambiente.
E, non ultimo, sulla nostra anima, dato che la rincorsa all’acquisto produce compulsività, insoddisfazione, stress e perdita di personalità e stile.