Con noi oggi Davide Rocco Colacrai, autore di Asintoti ed altre storie in grammi: eccoci pronti dunque per un’altra intervista. A noi piace conoscerli da vicino, per saperne di più. Sarà sana curiosità o interesse oppure entrambe le cose. Una cosa è certa, se le pagine di un libro possono rivelare l’essenza di un autore, un dialogo più o meno filtrato può, più o meno, essere la conferma di quella “rivelazione”.
E quindi, dal momento che ho avuto il piacere (e lo è stato davvero) di recensire ed apprezzare Asintoti ed altre storie in grammi di Davide Rocco Colacrai, la curiosità mi spinge ad andare oltre le pagine di un libro per conoscerlo da vicino.
Intanto ringrazio e saluto Davide Rocco Colacrai…
… E sento anche il dovere di “tranquillizzarlo”. Non sarò invasiva, solo curiosa.
So che i poeti sono in genere piuttosto schivi e riservati del loro privato, consentimi di farti una domanda, banale quanto inflazionata se vuoi che però aiuta i tuoi lettori a capire chi è l’uomo Colacrai: chi è e cosa fa Davide Rocco Colacrai quando non scrive?
Innanzitutto ti ringrazio per l’ospitalità e per questa domanda, che poi così banale non è. Infatti mi piace l’idea di un lettore che, verso dopo verso, immagina chi possa essere l’uomo Colacrai, lo percepisce nelle parole e soprattutto negli spazi tra una parola e l’altra, e lo riviene con una certa sorpresa anche nelle pause. Quando non scrivo – e capita molto spesso di non scrivere – rifletto, ho sempre tanti dubbi a cui non riesco mai veramente a dare una risposta, tanti pensieri che sfrecciano nella mia mente come stelle comete, a volte ci sono delle paure che mi tormentano, altre mi dedico ai sogni e attraverso i sogni a rendere migliore me stesso e, nel mio piccolo, spero anche il mondo. Mi piace molto la compagnia di persone educate e dotate di un grande senso dell’umorismo, amo molto anche la solitudine e attraversare il giorno nel rispetto dei miei ritmi. Non disdegno affatto immergermi nella Natura con il mio cane o dedicarmi alla musica – dopo vent’anni ho ripreso con il pianoforte e da poco ho iniziato a studiare l’arpa. Sono un lettore appassionato e molto interessato al cinema, a volte guardo per ore una fotografia per capirne i segreti. Insomma, mi annoio molto raramente, e quando capita mi annoio liberamente, pienamente e con gioia.
Sei essenzialmente un Poeta (e ancora, come nella recensione, il maiuscolo non è un errore di battitura): quanto e come il “dono” o la “maledizione” della poesia incide nella tua vita? In altre parole come vivi il tuo essere poeta? (Ho definito dono o maledizione l’essere poeta perché penso si possa percepire in entrambi i modi)
Ho paura della tua definizione di Poeta in quanto ogni definizione comporta una precisa responsabilità e un’altrettanto precisa aspettativa. Ero solito definire un tempo il mio essere poeta/ Poeta proprio come un dono e, al tempo stesso, come una maledizione. Infatti, per me si tratta(va) di una vocazione, o di un talento di qualcosa a cui non puoi sfuggire in quanto rientra nella precisa funzione che ti pre-determina e con la quale stai facendo questo percorso terreno. Contemporaneamente si tratta di una maledizione nella misura in cui vedi e percepisci cose e fatti ed energie che altri – quelli che vengono comunemente chiamati “normali” – non vedono né percepiscono. E in questo, sai di avere il dovere, tanto affilato quanto radicato, di condividere tutto ciò.
A parte Asintoti ed altre storie in grammi, personalmente non conosco la tua produzione poetica. Quindi la domanda è legittima quanto curiosa: pensi di aver avuto un’evoluzione nel tuo modo di scrivere dalla prima pubblicazione ad Asintoti?
Sicuramente posso dire che c’è stata una evoluzione poetica – vuoi nel modo di scrivere, vuoi nel modo di verseggiare, vuoi nelle parole che vengono solitamente impiegate (alcune delle quali ricorrono, un po’ come se si trattasse di un marchio) – che è parallela e anche espressione dell’evoluzione stessa come uomo, della consapevolezza come cittadino. Per me, la poesia è al tempo stesso la mia anima e il mio specchio.
Davide Rocco Colacrai, dal titolo ai contenuti
[…] L’asintoto-retta che si avvicina alla curva estesa all’infinito senza mai raggiungerla, è un chiaro richiamo all’opera del poeta che vuole sondare la vita e tutto ciò che ad essa concerne (curva estesa all’infinito), ma senza mai raggiungere la meta: la sfiora soltanto perché mai, né al poeta né a nessun altro, è dato di scoprirne i misteri. […]
Arrivo al dunque. E il dunque riguarda proprio Asintoti ed altre storie in grammi… Il primo elemento che colpisce è il titolo. Sopra ho riportato quanto scrivo nella recensione al riguardo. Ho in qualche modo cercato di “interpretare”… Quanto e cosa ho azzeccato?
Sono solito dire che la poesia non ha, e non può avere, una interpretazione unitaria. La sua bellezza infatti sta proprio nel fatto che ogni lettore, in base a cosa e a come ha vissuto, può riconoscersi in una poesia piuttosto che in un’altra, in un verso piuttosto che un altro. E tutti hanno contemporaneamente ragione nella misura in cui hanno trovato il loro senso. E ha ragione anche chi non si riconosce affatto.
Il tuo non è uno stile poetico semplice e tanto meno lo è il linguaggio che usi. Credi che questo tuo modus possa essere fruibile da tutti oppure è volutamente riservato a pochi? (A volte ai poeti piace il fascino dell’imperscrutabilità)
Personalmente non mi reputo un poeta/Poeta che usa un linguaggio particolarmente complesso o che scrive di cose filosofiche o metafisiche. Infatti non c’è uno studio nel e del linguaggio, e non ho nemmeno una preparazione in tal senso, né sono interessato a trattare argomenti che mi facciano apparire come imperscrutabile. A me interessa la vita in tutte le sue espressioni e manifestazioni in quanto per me la poesia è vita ed è nella vita, di conseguenza racconto spesso e volentieri fatti storici, qualche volte emozioni, più raramente di me stesso, con il preciso scopo di far riflettere e con la riflessione provocare il lettore ad informarsi, studiare e assumere una posizione verso quell’argomento. Pertanto i miei versi si caratterizzano – credo – per essere aperti a tutti – a tutti coloro che hanno il coraggio di essere se sessi e di occupare un posto, il loro, nel mondo.
Le tematiche della tua raccolta spaziano su vari argomenti, dal sociale al privato senza tralasciare il trascendente. Qual è il tuo rapporto con esso? Ho letto tra le righe una sorta di atteggiamento dubbioso e carico di domande, mi sbaglio?
Dovresti innanzitutto darmi la tua definizione di trascendente affinché io sia messo nella condizione di rispondere in modo puntuale a questa domanda. In generale, non mi stanco mai di guardare il cielo, di sentirlo dentro di me, nel cuore (l’unico organo capace di contenere l’infinito, l’immenso e l’oltre), e di pormi continuamente (come dicevo prima) domande. A volte non capisco il senso, altre ho profondi dubbi su chi sono e su come questo si riflette sul mondo, altre ancora mi interrogo su cosa ci sia davvero dietro, su cosa non vediamo. E spesso discuto di queste cose con l’Universo, con Dio.
Un’altra caratteristica che ho riscontrato leggendo Asintoti e altre storie in grammi è la differenza stilistica fra le prime sezioni e l’ultima. Mi spiego: nelle prime adotti uno stile più free, o più da prosa poetica, diciamo così. Nell’ultima invece, pur mantenendo i versi liberi, lo stile è più vicino alla poesia… È un’evoluzione dovuta al tempo intercorso fra la scrittura delle prime poesie e le ultime, oppure è l’evoluzione è dovuta ad una sorta di inevitabile maturazione poetica?
Sicuramente i miei versi sono caratterizzati da un modo di fare poesia che, spesso e volentieri, viene definita come prosa poetica, almeno dai puristi. Ci sono tuttavia poesie che, vuoi per l’argomento trattato, vuoi per il periodo storico in cui si sono manifestate attraverso di me, possono presentare uno stile diverso – alcune volte forse più vicino alla poesia tradizionale, altre volte forse più sperimentale. In fondo, la poesia è (come) la vita – si sperimenta, si prova e ci si diverte.
Ho cominciato con una domanda banale, finisco con una domanda altrettanto banale… Cosa c’è nel futuro poetico di Davide Rocco Colacrai?
Ho già pronto il mio prossimo libro – il nono –, che non vedo l’ora di pubblicare. E poi ho il desiderio (anche la necessità, perché mi manca visceralmente) di partire con i miei spettacoli di “poesia in teatro” e viaggiare per l’Italia. Nel frattempo vi consiglio di recuperare i miei precedenti polaroiD e Istantanee Donna (poesie al femminile).
Davide Rocco Colacrai: un poeta/Poeta che non si sente tale, non ama le definizioni pre-confezionate e che, oltre ad avere il dono/maledizione dello scrivere versi, possiede un altro dono intrinseco non indifferente e molto raro, l’umiltà. E scusate se è poco.