Ciao mio caro iCrewer, pronto al nuovo viaggio? Avevamo lasciato Dante e Virgilio alle porte della città di Dite alla fine del Canto VIII
La Divina Commedia – Inferno – Canto IX
In questo canto incontreremo come custodi del cerchio le tre furie che vegliano sulla città dannata di Dite, in cui scontano la loro pena gli eretici che giacciono in tombe infuocate.
La legge del contrappasso sostiene che come in vita vissero sepolti nell’errore e illuminati da falsa luce, così ora giacciono in tombe infuocate. Secondo alcuni sono puniti con la stessa pena con la quale venivano puniti gli eretici nel medioevo: il rogo.
Riprendiamo il viaggio…
Dante, vedendo tornare indietro la sua guida turbata e pensierosa, impallidisce, e Virgilio per non accrescere lo sgomento del discepolo, si sforza di mostrarsi tranquillo, ma non sa reprimere alcune parole piuttosto strane in merito alla venuta del Messo celeste.
Dante, che non ha ben compreso, trae queste parole nel senso peggiore e, temendo che il suo Maestro possa aver sbagliato il cammino, gli domanda indirettamente se qualche anima del Limbo non sia mai scesa giù nel profondo Inferno.
Virgilio risponde che ciò accade assai di rado, ma che egli stesso, morto da poco, fece un viaggio giù nell’Inferno, costretto dalle arti della maga Eritone, per prendere uno spirito dal cerchio di Giuda, che è il luogo più profondo dell’Inferno, perciò conosce bene il cammino.
Mentre Dante ascolta le parole di Virgilio, il suo sguardo è attratto verso la cima rovente della torre, sulla quale appaiono improvvisamente tre furie infernali sporche di sangue, che Dante descrive con particolati attinti dall’Eneide, dalle Metamorfosi di Ovidio e dalla Tebaide di Stazio, cioè con con corpi femminili e con serpenti al posto dei capelli.
Virgilio spiega che sono le Erinni: Megera, Aletto e Tisifone e dato che queste, tagliandosi il petto con le unghie e percuotendosi con le mani, invocano Medusa per trasformarlo in pietra, lo esorta a voltarsi indietro e chiudere gli occhi, perché se vedesse la testa della Gorgone, non avrebbe più alcuna possibilità di uscire dall’Inferno. Egli stesso gli copre gli occhi con le sue mani
Ma ecco uno spaventoso fracasso su per le torbide acque, che fa tremare le due sponde, simile a un vento impetuoso che si abbatte su una selva.
Virgilio toglie le sue mani dagli occhi di Dante e lo esorta a guardare sulle acque dello Stige, e Dante vede migliaia di dannati fuggire davanti ad uno che lo attraversa con i piedi asciutti.
È il Messo del Cielo, che, arrivato alle porte di Dite, le apre con una verghetta senza trovare resistenza, rimprovera i demoni, ricordando la sorte già toccata a Cerbero, che ancora porta il mento e il collo pelati. Con la stessa velocità con cui è arrivato se ne va, senza dire una parola ai due poeti e sparisce.
Virgilio e Dante entrano nella città di Dite senza incontrare alcun ostacolo e Dante, che desideroso di osservare la fortezza, vede a destra e a sinistra una grande pianura, piena di sepolcri, ma la loro condizione è spaventosa, perché al loro interno sono sparse fiamme che li arroventano tanto da poter sciogliere il ferro.
Tutti i coperchi sono sollevati e dal loro interno ne escono angosciosi lamenti.
Virgilio spiega a Dante che in questo modo sono puniti gli eresiarchi, i capi degli eretici, e i loro seguaci di ogni setta. I loro sepolcri sono più o meno infuocati a seconda della gravità dell’eresia.
Poi i poeti si girano a destra, procedendo tra i sepolcri e le alte mura di Dite.
Il nostro viaggio attraverso il Canto IX dell’Inferno è finito, continua a seguirci per non perderti i prossimi canti. Se sei curioso di leggere la Divina Commedia puoi provare a dare un occhio a Nel nome di Dante. Diventare grandi con la Divina Commedia.
Un abbraccio virtuale e buona lettura